I soggetti processuali alla prova del nuovo rito
Anna Maria CALCAGNO
avvocato, mediatore familiare Aimef
Uno strumento grazie al quale le coppie genitoriali e non possono confrontarsi tramite l’ausilio di un soggetto terzo, in un ambiente protetto dalla riservatezza dove hanno l’opportunità di trovare un accordo voluto, metabolizzato in prima persona e per questo motivo con maggiori possibilità di durare nel tempo.
Un istituto di cui la riforma Cartabia ha colto, finalmente, l’importanza.
Se ante riforma, i riferimenti alla M.F. erano pressoché impliciti (l’art. 155 sexies II comma e l’art. 337 octies, u.c.), oggi si parla esplicitamente di questo prezioso strumento, in particolare all’art. 473-bis.10 intitolato “mediazione familiare”.
La norma al primo comma ci dice che il giudice può in ogni momento informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore da loro scelto tra le persone iscritte nell’elenco formato secondo le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile: ciò per ricevere informazioni circa finalità, contenuti e modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo.
Tale previsione normativa è stata fortemente voluta dalle principali Associazioni di Mediazione Familiari riconosciute dal Mise (Ministero dello sviluppo economico), che fanno parte di Fiamef tra cui Aimef (Associazione Italiana di Mediatori Familiari) e rappresenta un grandissimo traguardo nella misura in cui si valorizza la qualifica del mediatore.
In particolare l’art. 12 quater delle disposizioni di attuazione al cpc prevede che il mediatore familiare, per essere iscritto a questo elenco, che ogni tribunale dovrà prevedere dal corrente anno (2023) dovrà avere determinati requisiti quali, per esempio, essere iscritto da almeno cinque anni ad un’ associazione riconosciuta dal Mise in materia di mediazione familiare e soprattutto essere fornito di adeguata formazione e di specifica competenza nella disciplina giuridica della famiglia nonchè in materia di minori e di violenza domestica e di genere.
Questi alcuni dei requisiti che coloro che vorranno far parte di questi elenchi dovranno possedere.
Il secondo comma dell’articolo 473-bis-10, intitolato appunto mediazione familiare, riporta esattamente il testo previgente, ovverosia l’ articolo 337 octies u.c.: qualora ne ravvisi l’opportunità il giudice, sentite le parti e ottenuto il consenso, può rinviare l’adozione di provvedimenti di cui all’articolo 473-bis.22 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo con particolare riferimento alla tutela di interessi morali e materiali dei figli.
Personalmente credo che, anziché riportare tout-court il testo precedente, si sia persa l’occasione di far riferimento sempre e specificamente al mediatore familiare con i requisiti di cui sopra; ciò in quanto se a fornire l’informazione deve essere un mediatore qualificato, a maggior ragione chi condurrà la mediazione familiare dovrà avere quelle caratteristiche. Parlare di esperti tout-court può creare confusione, a maggior ragione visto che il mediatore familiare spesso viene ancora confuso con altre figure professionali.
Il mediatore familiare, a differenza del CTU, non è un ausiliario del giudice ai sensi dell’articolo 473-bis.26, questo per la natura stessa della mediazione familiare ma anche per ragioni deontologiche; tutto quello che accade nella stanza di mediazione rimane assolutamente riservato e confidenziale tra il mediatore e le parti, pertanto il mediatore familiare non potrà fare nessun tipo di relazione: se la mediazione familiare non va a buon fine, il mediatore familiare non può riferire alcunché. Questo è uno degli aspetti più importanti che caratterizza la M.F., perché le parti nella consapevolezza che tutto rimarrà confidenziale sono più propense ad aprirsi, soprattutto nelle sessioni separate, fondamentali per fare comprendere al mediatore le ragioni che hanno portato al conflitto e al suo acuirsi.
Un aspetto non risolto dalla riforma Cartabia riguarda il momento in cui avviare la mediazione familiare, si parla di MF solo a processo radicato quando il momento ideale per iniziare questo iter è sicuramente ante causam; quando le parti, infatti, leggono i rispettivi atti è sempre più difficile arrivare ad una consensualizzazione.
Credo sia sprecata un’occasione nella misura in cui non è stato previsto non l’obbligo di accedere alla mediazione familiare (se la mediazione non è volontaria questo strumento non può funzionare) ma l’obbligo di informazione, tanto più che oggi esiste un elenco dei mediatori presso ogni Tribunale e in alcuni sono presenti anche gli sportelli informativi, rendendo molto più facile accedere a questo strumento.
In questo senso il Tribunale di Genova è stato lungimirante perché, già nel 2019, con la sottoscrizione di un protocollo firmato dal Tribunale di Genova, dall’Università Dipartimento di Giurisprudenza, dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, da AIMEF (Associazione italiana mediatori familiari) e Ohana (Associazione di mediatori familiari e dei conflitti), si è giunti all’apertura di uno sportello informativo all’interno del Tribunale di Genova dove alcuni volontari mediatori familiari qualificati forniscono tutti i lunedì informazioni su questo strumento.
Noi avvocati abbiamo l’obbligo, nella negoziazione assistita, di informare i nostri clienti della possibilità di avvalersi della MF, mentre nessuna previsione in tal senso prima di radicare la causa, obbligo che a maggior ragione dovrebbe sussistere per l’appunto ante causam.
Ancora una volta il Tribunale di Genova ha mostrato grande sensibilità nei confronti della M.F. siglando nel 2023, in materia di Negoziazione Assistita, un protocollo con la Procura, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, il Comune di Genova, AIMEF e Ohana circa le prassi da seguire, tra cui l’invito esplicito da parte dell’avvocatura ai propri assistiti di rivolgersi allo sportello al fine di acquisire informazioni su questo strumento.
Anche la mera informazione è importante sia effettuata da Mediatori Familiari qualificati che, in quanto tali, hanno gli strumenti per trasmettere il messaggio in modo corretto sul funzionamento di questo iter.
Per quanto la riforma in atto abbia enfatizzato in generale tutte le forme di ADR (anche se la Mediazione Familiare tecnicamente non si può definire tale) e, conseguentemente, responsabilizzato gli avvocati nel loro ruolo di degiurisdizionalizzazione, questo passaggio, a parere della scrivente non è sufficiente. Fondamentale, infatti, è la specializzazione che implica necessariamente la conoscenza approfondita degli strumenti che abbiamo a disposizione, il saper rinviare alle figure professionali più adeguate, ad un mediatore appartenete ad una scuola piuttosto che a un’altra a seconda della situazione familiare che ci troviamo di fronte.
Specializzazione che non potrà non riguardare anche i giudici, a maggior ragione visti i poteri amplissimi che la riforma Cartabia attribuisce loro.
Altra norma dove ritroviamo la presenza della mediazione familiare è l’articolo 337 ter del codice civile intitolato “provvedimenti a riguardo dei figli”.
Nell’articolo si prevede che il giudice prende atto degli accordi intervenuti tra i genitori se non sono contrari agli interessi dei figli in particolare quando raggiunti all’esito di un percorso di mediazione familiare.
E ancora l’articolo 473-bis.14 cpc “deposito del ricorso e decreto di fissazione dell’udienza”: con lo stesso decreto il presidente informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare.
La difficoltà che personalmente intravedo nella riforma è che, essendo venuta meno la fase presidenziale, è importante capire in quale momento del processo avviare la mediazione familiare.
Oggi è sicuramente difficile, se non impossibile, pensare di condurre una mediazione familiare parallelamente al momento in cui viene depositato il decreto di fissazione d’udienza: questo anche perché oggi le parti hanno l’obbligo, a pena di decadenza, di dedurre e produrre prove in tempi molto ravvicinati.
Un’altra occasione mancata riguarda il fatto che la norma tace su quelle che sono le sorti del processo una volta che si instaura la mediazione familiare: non si precisa, ad esempio, se il processo si sospende. Se alla prima udienza, e quindi dopo il deposito di tutte le memorie, il giudice non riesce a conciliare le parti o si rende conto che non hanno ancora acquisito informazioni sulla mediazione familiare è fondamentale che sensibilizzi le stesse e le rispettive difese sull’opportunità di prendere informazioni su questo strumento. Pur nella consapevolezza che si tratti di un “invito”, proprio perché la sua obbligatorietà sarebbe una contraddizione in termini, siamo altresì consapevoli che quando il giudice “invita” difficilmente le parti non ottemperano.
Guardando da un’altra prospettiva l’attuale impalcatura processuale rispetto all’istituto in esame, si può cogliere un aspetto positivo nell’avvio dell’iter a memorie depositate e quindi dopo l’udienza di comparizione in quanto si ha la possibilità, tenuto conto anche del dovere di leale collaborazione previsto dall’art. 473-bis.18, di entrare nella stanza di mediazione giocando a carte scoperte sotto ogni profilo compreso quello economico/patrimoniale, aspetto questo di grande aiuto per il mediatore visti i principi su cui si fonda tale iter, ovverosia la trasparenza. Pertanto nel momento in cui la disclosure è pressoché completata, il mediatore avrà una visione globale che gli permetterà di analizzare ed elaborare insieme alle parti varie soluzioni (che spesso riguardano aspetti non ricompresi nel petitum della separazione/divorzio/loro modifiche come ad esempio la divisione di immobili/quote societarie), evitando così il proliferare di ulteriori contenziosi.
I limiti alla mediazione familiare
L’art. 473-bis.43 prevede il divieto di mediazione familiare: sussiste il divieto quando è stata pronunciata la sentenza di condanna anche di primo grado o di applicazione della pena o se è pendente un procedimento penale nella fase successiva ai termini di cui all’art. 415-bis cpp, ossia la chiusura delle indagini preliminari o se sussistono condotte di cui all’articolo 473-bis.40 cioè violenza domestica o di genere nonché quando queste condotte siano anche semplicemente allegate. E questa ultima previsione costituisce un problema anche se poi il secondo comma dell’articolo 473-bis.42 prevede un escamotage in quanto il giudice può comunque invitare le parti a rivolgersi al mediatore se in corso di causa emerge che i fatti allegati erano infondati.
Inoltre il mediatore deve interrompere immediatamente il percorso di mediazione familiare intrapreso se nel corso di esso emergono o vengono segnalati abusi o violenza. Se è vero che in caso di violenza familiare la mediazione non si deve intraprendere o si deve stoppare, sicuramente la mediazione non si può fare quando c’è una asimmetria, uno squilibrio che non permette al mediatore di lavorare su quella coppia, da non confondere con il conflitto, conseguenza naturale in ogni vicenda separativa anche se quando raggiunge livelli altissimi richiede altri tipi di strumenti come la coordinazione genitoriale, tutti aspetti che saranno oggetto di valutazione da parte del mediatore qualificato circa la mediabilità del caso, come il rinvio ad altre figure professionali.
Nel diritto di famiglia vale ancor più il principio secondo cui ogni caso è a sé per tale ragione l’utilizzo di strumenti come la MF, in presenza di presupposti, costituisce una grandissima opportunità perché permette la personalizzazione di risultati ad hoc per quella famiglia nella delicata fase di trasformazione, opportunità che nessun sistema di intelligenza artificiale potrà mai sostituire.
Avere la possibilità di decidere in prima persona cosa sia meglio per ssé e per i propri figli, metabolizzare le soluzioni condivise a cui si è giunti dopo aver decifrato le ragioni che hanno portato a un conflitto che all’inizio appare come impossibile da superare, riprogrammare la propria vita con una visione costruttiva e non meramente demolitiva di ciò che è stato, elaborare il lutto grazie all’aiuto di un soggetto terzo e in un contesto protetto assume ancora più importanza dopo l’entrata in vigore del divorzio breve, visti i tempi ravvicinati per prendere decisioni.
Al di là delle criticità credo sia importante la specializzazione professionale che implica la conoscenza approfondita degli strumenti deflattivi; essere avvocati non significa tout court essere mediatori, negoziatori, tanto più che gli studi universitari ci hanno preparato alla tecnica avversariale più che valoriale; così come penso sia altrettanto importante chiederci con grande onestà intellettuale se siamo in grado di “stare” nel conflitto altrui e se siamo dotati di strumenti adeguati per gestire in primis i nostri conflitti e, conseguentemente, quelli dei nostri assistiti.
La collaborazione fattiva attraverso convegni, seminari e tavoli tecnici tra le associazioni di diritto di famiglia e di mediazione familiare e tra tutti gli operatori che gravitano intorno a questa delicata materia, così come la previsione di linee guida piuttosto che le prassi presso i Tribunali permetteranno sia la diffusione della cultura degli strumenti deflattivi ma anche la loro corretta applicazione; non ultimo l’ impegno fattivo, visto anche il ruolo sociale dell’avvocatura a promuovere, in presenza di presupposti, convintamente tali strumenti ai nostri assistiti, perché se non ci attiveremo in questo senso il rischio è che gli sforzi della riforma Cartabia si vanifichino e soprattutto venga meno quello che è il valore preventivo della mediazione familiare, non dimenticando che il problema endo familiare spesso è anche un problema sociale.