Intervento alla terza Sessione
Csm e Ministero: quali interventi per attuare la riforma?

Francesco MICELA
presidente Sezione Famiglia Tribunale di Palermo

Premetto che il percorso professionale mi ha portato a ricoprire il ruolo di giudice del Tribunale ordinario per la famiglia, di giudice minorile, di consigliere di Corte d'Appello, di presidente di un tribunale per i minorenni e attualmente di presidente della sezione famiglia del Tribunale di Palermo.

La mia posizione nei confronti della riforma: dal punto di vista della giurisdizione della famiglia è una riforma che mi piace, ho qualche riserva, ma sarebbe impossibile non averne su una riforma così ampia e incisiva, e anche alcune di queste riserve sono destinate probabilmente a rientrare, vedremo quello che succede.

Dal punto di vista della giurisdizione minorile non mi piace: anzi non mi piace affatto.  Sono contento del clima che si è creato anche oggi, perché mi sembra che ci sia una prospettiva di ascolto e di attenzione fra questi due mondi, che conosco per averli frequentati entrambi, e che sono profondamente diversi per varie ragioni. Sono due mondi che devono trovare un punto d'incontro: da questo punto di vista il fatto che la riforma ordinamentale non sia ancora entrata in vigore e manchi ancora parecchio tempo, e il fatto che la stessa relazione al decreto legislativo 149 dichiari che la riforma così come è proposta non va bene (nel commentare l'articolo 50.4 dell'ordinamento giudiziario, la relazione menziona gli ordini del giorno con cui il parlamento ha impegnato il governo ad alcune modifiche, dicendo espressamente “noi confidiamo che la collegialità nei procedimenti ex articolo 330 e 333 c.c. sia introdotta prima dell' entrata in vigore”),  significa che una cosa è fare i conti con una legge già entrata in vigore, altra cosa è parlare di una riforma che si presenta in questo modo.

Sulla riforma dal punto di vista della famiglia

Dal punto di vista dei registri informatici, una prima questione riguarda il fatto che prima dell'entrata in vigore della riforma avevamo alcuni procedimenti che venivano iscritti nel registro volontaria giurisdizione pur essendo contenziosi, come le modifiche alle condizioni di separazione, la modifica delle condizioni di divorzio, l'ordine di protezione contro gli abusi etc.: questo perché c'era un equivoco di fondo sul fatto che, siccome erano procedimenti trattati con rito camerale, venivano associati, con molta approssimazione, alla volontaria giurisdizione. Questo pretesto non c’è più: le modifiche alle condizioni di separazione o divorzio sono trattate con lo stesso identico rito delle separazioni e dei divorzi, un rito inequivocabilmente contenzioso. Ci aspettavamo quindi che il ministero introducesse i relativi codici oggetto – con i quali si designa il tipo di procedimento - nel registro contenzioso: due giorni prima dell'entrata in vigore della riforma ci è stato detto invece che questi codici restavano nella volontaria giurisdizione, con delle giustificazioni legate alla maggiore flessibilità informatica di questo registro e con una promessa di migrazione dei dati. A questo punto i tribunali hanno dovuto adottare una scelta: o si sono adeguati all’indicazione ministeriale, continuando ad iscrivere questi procedimenti nella volontaria giurisdizione, usufruendo di un codice oggetto che è utile ai fini statistici, oppure, più correttamente dal punto di vista giuridico, hanno ritenuto di iscriverli nel registro contenzioso in una categoria residuale, altri procedimenti familiari, nei quali però si confondono senza possibilità di distinzione. Tra l'altro l’iscrizione all'uno o all'altro registro dipende dall'iniziativa del difensore, pur potendo la cancelleria rifiutare l’iscrizione, con la possibilità di incoerenze anche interne all’ufficio. E poiché molte delle decisioni organizzative e politiche vengono prese sulla base delle statistiche, il primo requisito è che il dato sia affidabile: il dato non sarà affidabile e quindi è urgente che il Ministero ponga rimedio almeno a questa questione.

Altra questione: il ministero, due giorni prima dell'entrata in vigore della riforma, ha introdotto dei codici oggetto per i procedimenti in cui si allega violenza, come fossero procedimenti distinti dalle separazioni e dai divorzi, e per giunta li ha inseriti nella volontaria giurisdizione e non nei procedimenti contenziosi. Immaginate quanto confusivo possa essere tutto questo sulle statistiche delle separazioni e dei divorzi. E occorre pure considerare che tale allegazione è definita nella riforma in modo talmente ampio che in realtà non è la scelta del difensore, ma la decisione del giudice ad essere determinante nel ravvisarla (nella relazione si fa riferimento a un'idea molto ampia di violenza, che comprende anche quella economica e psicologica). Per di più l'allegazione di violenza può esser fatta anche soltanto dalla parte convenuta. È chiaro, allora, che riconoscere l’allegazione della violenza è una valutazione di merito, con determinate conseguenze processuali, che si inserisce nei diversi tipi di procedimento, per cui la previsione di uno specifico codice oggetto ‘trasversale’ è impropria e fuorviante, dato che un procedimento può avere un solo codice oggetto, quello appunto del ‘tipo’ di procedimento.

Un'altra questione: la riforma punta moltissimo sull'abbreviazione dei tempi delle decisioni. Questa idea di anticipare le preclusioni prima della prima udienza è finalizzata a mettere il giudice in condizione di decidere immediatamente, quando non ritiene di fare attività istruttoria. È un beneficio innegabilmente importante nell'ambito della conflittualità familiare, che prevede però anche un prezzo da pagare: perché, checché se ne dica, questo determina un'accelerazione del conflitto che può nuocere al tentativo di conciliazione, e perché, checché se ne dica, il convenuto è in una posizione molto difficile, certamente peggiore dell’attore, nel dover replicare a pena di decadenza entro termini molto brevi.

Ora il rischio è come verranno gestiti questi procedimenti: perché la riforma, così come disegnata in astratto, andrebbe forse bene, ma il problema è che ci sono i procedimenti pendenti e quindi il giudice, che dovrà trovarsi a studiare il procedimento e saperlo tutto alla prima udienza ed essere in condizioni di riferire al collegio, avrà contemporaneamente molte altre cause (i procedimenti pendenti) da studiare e di cui dover scrivere le sentenze. Dalla gestione di questi due binari dipenderà molto anche l'esito della riforma, perché il rischio è di pagare un prezzo senza avere i benefici, in quanto il vero beneficio è quello di essere in grado di decidere subito. Quindi anche a seconda del livello di arretrato che ciascun ufficio ha, penso che dovrebbe essere stabilita una mediazione tra un approccio che tenti di capitalizzare al massimo la riforma, per arrivare a decisioni veloci, e la decisione dei procedimenti non dico più antichi ma i medi, i cui tempi di decisione andrebbero inevitabilmente diradati.

Dal punto di vista del monitoraggio sarebbe utile che sia il ministero che il CSM distinguessero i procedimenti iscritti dal primo marzo 2023 da quelli iscritti prima per vedere che effetti ha avuto l’introduzione della riforma sui processi pendenti e sui processi nuovi.

Così come sarebbe utile avere i dati sulle trasformazioni delle separazioni giudiziarie in separazioni consensuali, per vedere se e quanto inciderà l’aspetto delle preclusioni sulle consensualizzazioni.

Il minorile

Credo che oggi sia emerso quanto l'approccio e le funzioni che svolgono il giudice minorile e il giudice della famiglia, pur avendo degli aspetti di somiglianza, siano veramente diverse. Perché una cosa è occuparsi della tutela dei minori nell'ambito di una conflittualità tra genitori che vogliono rivolgersi al tribunale, che chiedono l'intervento del Tribunale a volte con aspettative anche irrealistiche ed esagerate, altra cosa è invece, dal punto di vista della giustizia minorile, occuparsi di quello che è il pregiudizio nell'ambito di famiglie i cui genitori tutto vogliono tranne che venire in tribunale: anzi vogliono scappare dal tribunale.  Ma questa funzione oggi svolta dai Tribunali per i minorenni è una funzione costituzionale, di tutela dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza: è prevista dall’articolo 31 della nostra Costituzione. Ora questa riforma sembra improntata alla esigenza di contenere l'intervento dello Stato sulle famiglie, come se  in Italia il problema della tutela dell'infanzia e dell' adolescenza fosse che i giudici minorili, gli assistenti sociali, esorbitano ed intervengono nelle famiglie in modo improprio: il che trova un appiglio in quello che ha detto oggi il professore Rimini il quale ha detto che probabilmente questa è una reazione a un modo di procedere dei Tribunali per i minorenni che comportava una gestione troppo lunga dei procedimenti e una violazione dei diritti del contraddittorio. Ma il prof. Rimini ha aggiunto due considerazioni importanti: che questo si verificava negli anni passati e che “forse il pendolo è andato troppo dall'altra parte”, andando nella direzione di considerare il giudizio minorile con un giudizio civile, identico a tutti gli altri.

Ma se dobbiamo occuparci di questa funzione costituzionale, è fondamentale tenere conto del principio dell'effettività. Quando si fa una riforma sulla giustizia minorile, ha rilevanza il fatto che in tutta Europa noi siamo al terzultimo posto per abbandono scolastico?  Dietro di noi, in Europa, su 27 stati ci sono soltanto la Romania e la Spagna, che hanno un abbandono scolastico superiore a quello che c'è in Italia. È un esempio per segnalare le dimensioni di un ambito che, per alleviare il termine, possiamo chiamare disagio, ma che in realtà vede esistenze di bambini e adolescenti bruciate, di bambini e adolescenti che vivono in condizioni di vita assolutamente inadeguate e nei cui confronti lo Stato è un debitore largamente inadempiente. Noi non abbiamo in Italia uno stato che entra pesantemente nelle famiglie: lo dicono tutte le statistiche rispetto agli altri Paesi europei. In Germania e in Francia si allontana più di quattro volte in percentuale di quanto si allontanino i minori dalle famiglie in Italia. Esiste invece un problema di tutela dell'infanzia. Richiamo l’intervento della professoressa Manoukin: dice correttamente che i servizi sociosanitari sono nati negli anni settanta per tutelare le persone più fragili e più deboli, perché i diritti inviolabili delle persone più fragili (anziani, poveri) venissero realmente tutelati. È da questa radice che si sommano le funzioni di assistenza e di controllo, che sono entrambe funzionali alla inviolabilità dei diritti dei più deboli. La storia dell'Italia degli ultimi venti anni è invece che lo Stato ha totalmente delegato agli enti locali i servizi socio sanitari, rinunziando a qualsiasi forma di coordinamento rispetto a questi servizi a livello locale: cosa che ci è stata rimproverata e ci viene rimproverata ogni quattro anni dal comitato Onu dei diritti dell'infanzia che analizza non in generale e in modo teorico i principi, ma viene in Italia, ascolta tutti e dice quali sono le priorità. La prima priorità è questa: noi manchiamo di un organismo centrale che in qualche modo coordini questo intervento nei confronti dei minori. Un organismo centrale, un servizio sociale ministeriale, esiste per la verità in Italia per il minorile, ma riguarda solo il penale, perché evidentemente gli interessi pubblici connessi al penale sono più avvertiti. Invece l'interesse di tutelare i bambini lo è molto meno, tanto che non c’è alcuna forma di coordinamento centrale dei servizi. In generale, come è testimoniato da questa riforma, noi siamo uno Stato che si preoccupa dei figli dei genitori che confliggono, ma non si occupa dei suoi figli, se ancora esistono dei figli che non sono soltanto dei genitori. Perché il paradosso è che qualche anno fa abbiamo cambiato il nome da potestà a responsabilità, sottolineando il principio che il ruolo dei genitori non è fondamentalmente quello di esercitare un potere, ma si caratterizza per il fatto di essere in primo luogo una responsabilità. Dopo qualche anno, interveniamo dicendo sostanzialmente che lo Stato non deve intervenire perché troppo invasivo. È una chiara contraddizione.

Lo Stato, per di più, dopo aver delegato tutto ai servizi sociali del territorio, negli ultimi vent'anni ha sottratto risorse agli enti locali, senza che nessuno se ne accorgesse, tranne i sindaci e le aziende sanitarie. L’Osservatorio ONU sui diritti dell'infanzia ci ha detto chiaramente che in questi anni di crisi noi abbiamo fatto pagare la crisi ai bambini.

E adesso cosa è avvenuto sul fronte giudiziario?

Quando sono arrivati i soldi in nome della “Next Generation”, quando il Presidente del Consiglio dell'epoca ha detto “questo è il momento di dare”, si è costruita una riforma del tribunale per la famiglia a costo zero. Si è fatta la riforma erodendo le capacità decisorie del tribunale in questa materia, facendolo diventare monocratico (poi hanno detto almeno che così non va bene e che deve diventare collegiale) e riducendone le capacità istruttorie, nonostante la situazione dei servizi nel territorio nazionale sia gravemente critica, e in taluni casi disastrosa: quale giudice monocratico potrà mai sostenere le migliaia di udienze istruttorie che ogni giorno vengono svolte in Italia dai giudici onorari?. E trattandosi di una riforma a costo zero, non si è riusciti neanche a rimanere coerenti con l’intento di costruire un processo fra parti, perché il Pubblico Ministero è autorizzato per legge a non venire in udienza. Quindi quando il Pubblico ministero inizia una causa normale se non si presentati la si estingue: quando invece c'è da tutelare un bambino il giudice monocratico sarà solo nel suo circondario, e un esercito di curatori speciali dovrà riuscire a tutelare l'infanzia. Il curatore speciale non è un ausiliario del giudice: è il rappresentante del minore, non è un servizio pubblico. Immaginare questi curatori speciali che girano per l’Italia cercando di tutelare i bambini senza poteri autoritativi, per di più senza essere pagati, è quasi surreale.

Cerchiamo insieme, finché siamo in tempo, di porre rimedi possibili rispetto all’entrata in vigore della riforma: io comprendo il disagio di adesso dei colleghi, ma la preoccupazione maggiore è legata soprattutto a quando ci sarà un giudice monocratico che potrebbe dover gestire da solo, dal punto di vista istruttorio e decisorio, situazioni così complesse e numerose.

Gli altri interventi

Saluti

Prima sessione
L’impatto della riforma sull’organizzazione degli uffici giudiziari

Seconda sessione
I soggetti processuali alla prova del nuovo rito

Terza Sessione
Csm e Ministero: quali interventi per attuare la riforma?

Quarta sessione
L’impatto sulla tutela dei diritti

Interventi al dibattito

Conclusioni