L’impatto della riforma sull’organizzazione degli uffici giudiziari
Manuela MASSENZ
procuratore aggiunto Procura di Monza
Buongiorno a tutti a tutti grazie per questo invito che mi preoccupa un po’, naturalmente, perché sono fuori dal mio ambito ordinario che, come sapete, è molto impegnato in questo momento ad applicare un’ altra riforma, quella che porta il numero successivo alla riforma Cartabia del processo civile, la riforma Cartabia del processo penale.
Parto ovviamente da una prospettiva diversa da quella della visione sul minore: parto dal tema della violenza domestica/di genere perché questo è un ambito che noi trattiamo ordinariamente e continueremo a trattare ma sul quale si è già da qualche anno creato un grosso problema, quello della comunicazione con il tribunale civile per tutte le vicende che trattiamo in sede penale. Con la legge 69 del 2019 è stato, infatti, inserito l’articolo 64 bis delle disposizioni di attuazione del codice procedura penale, che impone la trasmissione al tribunale civile degli atti più significativi del procedimento penale, cioè le ordinanze che applicano, revocano o modificano le misure cautelari, l’avviso di chiusura delle indagini preliminari, la sentenza e il decreto di archiviazione. Tale norma impone la trasmissione di questi atti al giudice civile qualora penda una causa civile di separazione o riguardante i figli minori. Questo obbligo di trasmissione è però rimasto in questi anni appeso a contatti spesso informali e volontari perché la norma non ha previsto il corrispondente onere per il giudice civile di comunicare alla Procura l’esistenza del procedimento civile nel quale siano stati dedotti fatti di violenza domestica. Quindi da qualche tempo, prima dell’approvazione della riforma, abbiamo cominciato a lavorare su questo problema della mancanza di strumenti normativi di comunicazione, problema che è stato rilevato da più parti e da ultimo è emerso in modo plateale con gli esiti del lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio e sulla vittimizzazione secondaria, che ha sostanzialmente accertato che molti giudici civili trattano i procedimenti civili senza sapere e senza conoscere l’esistenza e gli esiti dei procedimenti penali.
La Commissione parlamentare ha evidenziato che i tribunali spesso trattano come semplici conflittualità tra i coniugi situazioni dove invece ci sono segnalazioni importanti di violenza domestica: con tutto ciò che questo comporta in termini, per esempio, di avvio di mediazioni e tentativi di conciliazione che, come sappiamo, la convenzione di Istanbul e altri atti nazionali e transnazionali raccomandano di non attivare.
Abbiamo quindi cominciato a lavorare alla ricerca di una modalità di comunicazione che consentisse al Tribunale di comunicare alla Procura la pendenza dei procedimenti civili di interesse e alla Procura e al Tribunale penale di trasmettere tempestivamente gli atti in occasione della loro adozione.
Nel corso dell’elaborazione di un protocollo che quindi in qualche modo creasse un onere in carico al giudice che la norma non prevedeva è intervenuto l’articolo 473-bis.42 c.p.c. che ha colmato almeno in parte questo vuoto perché dispone espressamente che il giudice, con il decreto con cui fissa l’udienza di comparizione e laddove sia dedotta violenza domestica, chieda al Pubblico Ministero notizie sul procedimento e la trasmissione degli atti. Questo ci ha consentito l’elaborazione finale del protocollo che avevamo in lavorazione coinvolgendo anche il Tribunale per i minorenni, e quindi di colmare anche qualche manchevolezza in questa nuova disposizione che interviene solo a seguito dell’atto introduttivo del giudizio e in sede di fissazione della prima udienza. Il terzo comma del nuovo art. 473-bis.42 c.p.c. dice infatti che il giudice, quando fissa l’udienza, se ha in qualche modo notizia dell’esistenza di situazioni di violenza domestica, non deve rivolgere l’invito a rivolgersi al mediatore familiare. La Procura, dunque, ha il problema di riuscire ad anticipare al giudice civile le informazioni di cui dispone anteriormente al momento in cui quest’ultimo comunica alla Procura il decreto di fissazione dell’udienza. Abbiamo quindi cercato in questo protocollo di tener conto di qualsiasi informazione che il giudice abbia di deduzione di violenza domestica e quindi di garantire una maggiore tempestività nella risposta. La norma parla infatti di quindici giorni per la risposta, ma noi abbiamo cercato di mettere un termine di tre giorni quanto meno per dire al giudice “guarda, il procedimento penale c’è, è iscritto, questo è il Pubblico Ministero che lo ha in carico”, fornendo così anche il contatto che Il giudice civile, che adesso ha anche poteri ufficiosi, può attivare per avere ulteriori informazioni.
Prima di adottare il protocollo lo abbiamo di fatto sperimentato interloquendo con il giudice civile per sapere come dare le risposte: abbiamo rilevato uno sfasamento temporale importante perché le denunce per maltrattamenti arrivano spesso prima che le persone sì determinino ad attivare una separazione e quindi qualche volta siamo già in grado di dire se è intervenuta un’ordinanza applicativa di misure cautelari o addirittura una sentenza o un patteggiamento, qualche volta invece la risposta è semplicemente “pende un procedimento, ma siamo in fase di indagini”; non possiamo dire di più perché abbiamo motivi di segretezza legati alle indagini e il pubblico ministero non ha ancora un’idea completa su come determinarsi.
L’altro aspetto di manchevolezza di questa norma, che pure ci ha favorito nello scambio degli atti, è che prevede questo obbligo del giudice civile solo al momento in cui fissa l’udienza e quindi nell’ ipotesi in cui la violenza domestica sia dedotta nell’atto introduttivo: non disciplina le ipotesi in cui la deduzione di violenza domestica sia per esempio contenuta nella comparsa di costituzione o in momenti successivi nel corso del procedimento. Abbiamo invece la necessità di favorire lo scambio di informazioni in qualsiasi momento, perché il giudice civile sia messo in condizioni di conoscere il più possibile gli atti che fanno parte del procedimento.
La modifica dell’articolo 64.bis delle disposizione di attuazioni del codice di procedura penale che è intervenuta ha fatto un po’ più di chiarezza anche sul “chi fa cosa”: la formula originaria dell’art. 64 bis diceva che questi atti devono essere trasmessi senza specificare chi dovesse farlo (pubblico ministero o giudice), oltre, come detto, a non determinare come si potesse creare questa opportunità di comunicazione.
Ora l’art. 64bis è stato modificato perché per alcuni atti onera specificamente il pubblico ministero, per altri onera la cancelleria: previsione, quest’ultima, da cui deduciamo che il legislatore ha pensato che non fosse più quindi il pubblico ministero a doversi attivare, visto che la Procura come sapete non ha la cancelleria, ma che fosse il giudice. Nell’adozione di questo protocollo ci siamo fatti carico anche di questo, cioè delle diverse fasi del procedimento: è chiaro che nel momento in cui il giudice civile manda alla Procura una richiesta di informazioni e noi abbiamo già un decreto di archiviazione o una sentenza, siamo in grado di trasmetterli. Ma quando la comunicazione arriva e per il procedimento è già stata esercitata l’azione penale, si pone il problema di mettere il Gip, il Gup e il giudice del dibattimento in condizione di adempiere all’obbligo di trasmissione degli atti successivi: perché il pubblico ministero una volta che chiede un’ archiviazione di un procedimento si spoglia del fascicolo e non vede il decreto di archiviazione quindi è indispensabile che sia il Gip che archivia a farsi carico della trasmissione di questo atto al tribunale civile. Lo stesso vale per il giudizio abbreviato: il Pubblico ministero perde il fascicolo quando lo trasmette all’ ufficio del giudice per l’udienza preliminare ed è il Giudice che emette la sentenza in sede di giudizio abbreviato a doverla mandare al giudice civile. Per questa parte la soluzione è facile perché nel fascicolo del pubblico ministero c’è la comunicazione della pendenza del procedimento civile: noi l’abbiamo disciplinata in termini di comunicazione che io, in quanto coordinatrice del settore di specializzazione, invio ai sostituti procuratori e che loro inseriscono nel fascicolo in modo più visibile possibile; il Gup che ha il fascicolo del PM, quindi, sa che deve fare questa trasmissione.
Per quanto riguarda la fase dibattimentale la cosa è leggermente più articolata perché il giudice del dibattimento che non conosce il contenuto del fascicolo del pubblico ministero deve essere notiziato inevitabilmente dal PM di udienza: o trasmettendo e depositando la comunicazione della pendenza del giudizio civile o anche semplicemente mettendo a verbale detta informazione affinché il giudice del dibattimento penale sia in condizione di disporre che la sua sentenza sia trasmessa al giudice civile.
L’altro aspetto è quello legato all’ urgenza, nel caso al giudice civile sia presentata richiesta di emissione di un ordine di protezione o in ogni caso quando in fase anteriore alla fissazione dell’udienza civile sia necessario avere subito contezza dell’inopportunità di avviare percorsi di mediazione.
Anche sugli ordini di protezione il coordinamento con la Procura è naturalmente importante: anche se non vi è incompatibiità in astratto tra misure cautelari in sede penale (allontanamento dalla casa coniugale e/o divieto di avvicinamento) e ordini di protezione in sede civile, è importante il coordinamento anche in termini di successione temporale, perché entrambe le misure hanno una durata limitata nel tempo e può essere opportuna, anziché la loro sovrapposizione, la loro successione nel tempo.
In un interessante caso di coordinamento, noi abbiamo comunicato al giudice civile il fatto che c’era già stata una sentenza di primo grado di condanna per maltrattamenti, il giudice civile che ha deciso la sua causa di separazione ci ha mandato agli atti non potendo più reiterare, dopo la prima volta, l’ordine di protezione pur ravvisando la permanente pericolosità dell’autore delle violenze e questa trasmissione di informazioni ci ha consentito di richiedere una misura di prevenzione personale, a salvaguardia dell’incolumità della persona offesa.
Altro profilo più strettamente organizzativo riguarda la trasmissione di ulteriori atti oltre a quelli contemplati dall’ articolo 64bis, quindi i verbali di sommarie informazioni testimoniali e gli altri atti di indagine. E’ vero che la riforma onera il difensore della parte che propone l’azione civile di mettere il giudice a conoscenza di eventuali atti del procedimento penale, ma non sempre la parte ne ha la disponibilità: per esempio la persona che denuncia un reato di maltrattamenti probabilmente ha copia della denuncia ma non ha copia delle sommarie informazioni che rende subito dopo (la legge cosiddetta Codice Rosso impone l’ audizione della persona offesa entro tre giorni dall’ iscrizione).
Sussiste un problema di trasmissione degli atti perché i sistemi informatici non si parlano (noi stiamo cercando di avere la visibilità sui procedimenti civili e so che qualche collega in Italia ci sta riuscendo ma con molta difficoltà). Devo dire tra l’altro che questo aspetto del collegamento con il tribunale civile nelle Procure a volte è demandato al cosiddetto PM che cura gli affari civili che però nelle procure piccole e medie non è un PM che fa solo quello e che mette tantissimi visti spesso in modo un po’ inconsapevole. Il rapporti con il Tribunale civile di cui stiamo parlando, invece, devono essere gestiti dai pubblici ministeri che si occupano del singolo procedimento penale.
Quindi esiste un problema di dialogo tra gli strumenti informatici: noi per esempio scansioniamo interamente i procedimenti penali nella fase dell’avviso di chiusura indagini (sistema TIAP), ma non tutte le Procure lavorano in questo modo; resta in ogni caso il problema di come mettere in condivisione con il Tribunale questi atti visto che le scansioni del sistema Tiap non possono essere condivise con il Tribunale civile.
Quindi se vogliamo mettere il tribunale civile in condizione di conoscere l’intero contenuto del fascicolo del procedimento penale dobbiamo creare cartelle condivise nelle quali mettiamo tutti gli atti proprio perché, soprattutto se sono fascicoli voluminosi, non abbiamo modalità di trasmissione informatiche. Questo è uno degli aspetti sui quali stiamo cercando di lavorare per trovare qualche modo per dialogare meglio.
L’altro tema che ancora non è stato oggetto di soluzioni pratiche è quello del trasferimento sul tribunale civile dei procedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il Tribunale per i minorenni si spoglia del fascicolo e lo trasmette al tribunale civile perché a conoscenza della pendenza del procedimento di separazione.
L’articolo 38 delle disposizioni di attuazione al codice civile prevede che il Tribunale per i Minorenni trasmetta il fascicolo al Tribunale civile e che la Procura minorile trasmetta il suo fascicolo alla Procura ordinaria. In realtà, però, la Procura minorile non ha più il suo fascicolo, perché lo ha trasmesso al Tribunale per i minorenni quando ha proposto ricorso. Il Tribunale per i minorenni lo ha inserito nel suo fascicolo d’ufficio e, all’atto della trasmissione al Tribunale civile, è bene che non lo scorpori perché nel fascicolo della Procura ci sono molti atti indispensabili alla decisione.
Quindi c’è un problema di conoscenza in capo alla Procura ordinaria dell’esistenza di questo procedimento che viene trasmesso al Tribunale ordinario e che viene riunito al procedimento di separazione: c’è un problema di conoscenza perché quell’ azione promossa dal Pubblico ministero minorile è un’azione che ha necessità di essere in qualche modo rinnovata dal Pubblico ministero ordinario. Quindi il problema che in questo momento stiamo discutendo con la Procura minorile è come trasmettere a noi quelle conoscenze acquisite che non necessariamente sono collegate a un procedimento penale pendente davanti a noi.
Trascuro, poi, il tema della competenza, non in senso processuale ma in termini di esperienza su questo settore, perché noi non ne abbiamo per niente e quindi abbiamo bisogno anche di imparare quella parte che fino ad adesso ha sempre svolto il procuratore minorile e che ora non svolge più se viene a conoscenza dell’esistenza del procedimento civile. Infatti il Procuratore minorile non farà comunque ricorso al suo Tribunale minorile se sa che il Tribunale minorile si dichiarerà incompetente e trasmetterà gli atti al tribunale civile e quindi se, come spesso capita, il Procuratore minorile viene a conoscenza del fatto che esiste un procedimento civile di separazione e divorzio (e spesso lo viene a sapere dai servizi sociali) può mandare il proprio fascicolo alla Procura ordinaria perché nel frattempo non lo ha ancora mandato al tribunale minorile. Quindi noi dobbiamo riuscire a strutturare una modalità di trasmissione e di conoscenza di queste informazioni perché possiamo farci carico del nostro ruolo nel procedimento civile.
Un primo aspetto dunque, è la conoscenza dell’avvenuto trasferimento del fascicolo del Tribunale minorile che contiene anche il fascicolo del pubblico ministero: la Procura ordinaria non lo vede e non sa nemmeno che c’è stata questa trasmissione, per cui forse un coordinamento con il tribunale minorile potrebbe avvenire in termini almeno di notificazione alla Procura ordinaria di quel provvedimento che dispone la trasmissione degli atti.
Il secondo aspetto riguarda invece il collegamento diretto con la Procura minorile per l’acquisizione del suo fascicolo quando la pendenza del giudizio civile impone alla Procura ordinaria di prendere l’iniziativa a tutela dei minori.
Ulteriore aspetto di carattere generale, che forse adesso si fa un po’ più pressante, è quello di riuscire a disciplinare maggiormente l’ostensione degli atti nei rapporti tra Procura ordinaria e Procura minorile. La Procura di Monza ha già disposto con direttiva alle forze dell’ordine che tutte le comunicazioni di notizia di reato che ci trasmettono per fatti di violenza domestica e che comunque comportino coinvolgimento di minori siano mandate sempre in copia anche alla Procura minorile. Quando questo non avviene lo facciamo noi, segnalando anche il numero del nostro procedimento e il magistrato assegnatario, per facilitare i contatti tra i due PM. Questo sistema funziona abbastanza bene.
Non abbiamo burocratizzato un sistema di nulla osta come ho sentito dire avviene in alcune Procure nelle quali si è previsto un termine per la negazione del nulla osta che dura quindici giorni, lasciando il PM minorile, in quel lasso di tempo, in condizione di non conoscere gli atti e di non sapere se verranno liberalizzati.
Preferiamo che i due PM coinvolti si confrontino per contemperare nel modo migliore – diverso per ogni singolo caso – le esigenze di segretezza delle indagini con quelle di tutela del minore.
Ciò che possiamo meglio dettagliare sono le tipologie di atti per i quali è possibile dare una sorta di nulla osta anticipato e generalizzato, quali, ad esempio, le relazioni di intervento presso le abitazioni quando i soggetti coinvolti, maltrattato e maltrattante, siano entrambi a conoscenza dell’intervento della polizia giudiziaria e non sussista dunque un problema di segretezza rispetto al contenuto di quegli atti.