APRILE
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Diario dal Consiglio del 24 aprile 2025

Chi vuole un magistrato silente e senza idee?

Nella seduta del 16 aprile scorso il Plenum del CSM ha archiviato, a maggioranza, la pratica aperta - ai fini di un eventuale trasferimento di ufficio ex art. 2 della legge sulle guarentigie - sulle affermazioni contenute in una e-mail inviata dal dott. Marco Patarnello, sostituto procuratore generale della Corte di cassazione, alla mailing list dell’Associazione Nazionale Magistrati e pubblicate in un articolo apparso sul quotidiano “Il Tempo” del 20 ottobre 2024 dal titolo “La mail choc della toga rossa «Meloni più pericolosa del Cav. Compatti per porre rimedio»”.

La procedura era stata aperta su richiesta dei consiglieri laici espressi dal centrodestra Aimi, Bertolini, Bianchini, Eccher e Giuffrè.

La Prima commissione aveva proposto l’archiviazione della pratica sul rilievo che le affermazioni censurate dai suddetti consiglieri erano contenute in una e-mail inviata ad una mailing list non pubblica (la mailing list dell’A.N.M. è aperta esclusivamente agli iscritti all’associazione), “ambito, come è noto, riconducibile a quello della corrispondenza privata per la quale vige la tutela della libera manifestazione del pensiero”.

La stessa proposta di delibera, tuttavia, sostiene che: “l’ampia risonanza mediatica del ricordato intervento, sfuggito – per fatto estraneo alla volontà del Dott. Patarnello – alla riservatezza cui era destinato, sebbene esulante dal rigoroso perimetro dell’art. 2 cit. rende, comunque, opportuno ribadire, l’attualità della pronuncia della Corte costituzionale n. 100/1981” e, quindi, riporta lo stralcio di tale pronuncia in cui si afferma che “i magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101, comma secondo, e 104, comma primo, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità nell’adempimento del loro compito”.

In commissione la proposta di delibera era stata approvata con il voto contrario del cons. Aimi e con l’astensione sulla sola motivazione di Tullio e del cons. Papa.

In Plenum noi di Areadg, insieme con la cons. Miele, abbiamo proposto un emendamento soppressivo del periodo contenente la citazione della sentenza della Corte costituzionale, ritenendo, come già aveva valutato Tullio in commissione, che, nel contesto di una delibera che si fondava sulla riconosciuta natura privata della comunicazione svolta dal collega, l’evocazione dei principi fissati nella suddetta sentenza – evidentemente concernenti le esternazioni pubbliche dei magistrati – risultasse contraddittoria e, in definitiva, indebolisse e rendesse meno leggibile la ratio decidendi della proposta di archiviazione.

Del resto, se si fosse invece ritenuto che una comunicazione rivolta a una mailing list molto ampia sia assimilabile, almeno potenzialmente, a una comunicazione pubblica, sarebbe stato necessario dirlo nella motivazione e, dopo di ciò, sarebbe stato necessario prendere una posizione espressa sulla questione se l’e-mail del dott. Patarnello eccedesse i limiti della continenza verbale, eventualmente precisando dove e perché tali limiti sarebbero stati superati.

Evocare la sentenza n. 100/1982 della Corte costituzionale senza nulla dire di tutto ciò ci è parso un furbesco espediente per dire e non dire, ammiccare a chi ha criticato il dott. Patarnello senza assumersi la responsabilità di trarre le conseguenze implicite in tali critiche; un esempio di tartufesco cerchiobottismo che avremmo preferito non vedere.

Il nostro emendamento – votato solo da noi e dai consiglieri Miele, Fontana e Papa – non è stato approvato dal Plenum. È stata invece approvata, nel testo originario, la proposta di archiviazione, con il voto contrario dei soli consiglieri laici espressi dal centrodestra e con l’astensione dei consiglieri di M.I. Nicotra, Scaletta, Paolini e D’Ovidio.

Il lungo dibattito (di circa cinque ore) che ha preceduto il voto finale ha visto intervenire numerosi consiglieri  e ha toccato molti dei temi che già nel Plenum del 2 aprile scorso erano stati affrontati con riferimento alla pratica aperta, sempre dai consiglieri laici espressi dal centrodestra, nei confronti del dott. Stefano Musolino,  procuratore aggiunto di Reggio Calabria, per le dichiarazioni dal medesimo rese in un incontro sul disegno di legge “sicurezza” organizzato dal Centro sociale Nuvola Rossa di Villa San Giovanni (si veda il nostro POST IT del 2.4.2025).

La vicenda del dott. Patarnello è però diversa; il dott. Musolino parlava in un dibattito pubblico, mentre il primo scriveva in una mailing list, che, ancorché composta da moltissimi iscritti, soggiace comunque alle regole che presidiano la tutela della segretezza della corrispondenza. Ma la diversità – fattuale e giuridica – delle due vicende non fa velo all’identità dell’ideologia sottesa alle iniziative censorie dei consiglieri laici del centrodestra, entrambe sostanziatesi in richieste di trasferimento d’ufficio dei colleghi interessati (istituto ancora una volta strumentalizzato per altri, fin troppo evidenti, scopi).

Tale ideologia è quella del giudice silente, del giudice che non ha idee sulla società, sulla politica, sulla giustizia; è l’idea del giudice come bouche de la loi, creatura inanimata, vuota di opinioni e valori. Noi sappiamo, però, che un giudice vuoto di opinioni e valori non esiste e, se esistesse, non sarebbe un buon giudice, perché non sa nulla di diritto chi sa solo di diritto. Questa ideologia, allora, si risolve in un invito al nicodemismo, al nascondere le proprie idee, coltivandole solo riservatamente, in circuiti privati, spesso tanto discreti quanto influenti e tanto influenti quanto influenzabili da chi abbia il potere per influenzarli.

È una ideologia - quella del giudice muto (pubblicamente) - espressa con forza dai consiglieri laici del centrodestra (la cons. Bertolini, nel proprio intervento, ha detto con chiarezza: “Non è che si deve vincere un concorso in magistratura per scendere nell’agone politico. Ci si toglie la toga, ci si candida in un partito, si prendono i voti”), ma condivisa, va pur detto, da molti consiglieri togati, come fatto palese dai loro interventi in Plenum. Ci permettiamo di suggerire l’ascolto integrale del dibattito; è lungo, ma consente di cogliere con chiarezza - più di quanto non emerga dalla mera espressione di voto - come gli orientamenti culturali rappresentati in Consiglio si dividono sul tema della partecipazione dei magistrati al dibattito civile.

Noi restiamo convinti che i magistrati hanno non solo il diritto ma anche un dovere civile di partecipare al dibattito pubblico e di portarvi il contributo della propria competenza tecnica e della propria esperienza; certo, devono farlo con la continenza, con la misura, con la razionalità imposte dal ruolo che essi rivestono nella società.  Ma l’imparzialità che si richiede al magistrato è imparzialità rispetto alle parti del processo, non è imparzialità rispetto ai valori e alle ideologie. Lo schierarsi pubblicamente e disinteressatamente sui temi che formano oggetto del dibattito pubblico contribuisce alla trasparenza della dialettica delle idee ed alla crescita della cultura civile; non è da lì che vengono i pericoli per la credibilità del magistrato.

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

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