

Diario dal Consiglio del 15 febbraio 2025
Indebolendo la magistratura aumenteranno le diseguaglianze
Per l’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, come consiglieri di AreaDG, non abbiamo mancato di rappresentare, nelle diverse sedi in cui siamo stati inviati, la posizione assunta dal Consiglio col parere deliberato l’8 gennaio scorso sulla riforma costituzionale proposta dal Governo.
Tutti abbiamo rilevato come esso riguardi tre grandi temi: la separazione della magistratura giudicante da quella requirente; la duplicazione dei CSM; l’istituzione dell’Alta corte disciplinare. Ciascuno di noi, pur nel rispetto del carattere istituzionale ruolo e dell’evento cui eravamo chiamati, ha espresso un angolo visuale proprio, che proponiamo riportando gli stralci dedicati, estrapolati dalle rispettive relazioni
Mariafrancesca Abenavoli (a Reggio Calabria): “Non è possibile affrontare compiutamente in questa sede un argomento così delicato. Il parere ha evidenziato tutte le criticità del disegno riformatore dichiaratamente destinato al “miglioramento della qualità della giurisdizione” ma che di fatto si risolve esclusivamente in modifiche dell’attuale modello di governo autonomo della magistratura ordinaria.
Si è evidenziata la sostanziale inutilità della separazione delle carriere che, a differenza di quanto viene sostenuto, non risponde ad alcuna necessità imposta dalla Costituzione, in un sistema in cui la separazione delle funzioni è ormai già una realtà, tanto che i passaggi dall’una all’altra funzione, requirente e giudicante, riguardano da anni percentuali largamente inferiori all’1% dei magistrati in servizio. Si è, peraltro, anche evidenziato come dal complesso dei principi ricavabili dalla Carta fondamentale, così come ricostruiti dalla stessa giurisprudenza della Corte, emerge che le parti del processo – pubblica accusa e difesa – presentano un tasso di irriducibile diversità, derivante non solo dalle “diverse condizioni di operatività”, ma anche dai “differenti interessi dei quali, anche alla luce dei precetti costituzionali, le parti stesse sono portatrici”. Tali diversità giustificano la fisiologica “asimmetria strutturale” che caratterizza il processo penale, che colloca il P.M. nell’ambito di quella “cultura della giurisdizione” quale cifra unitaria di fondo della sua azione, per cui la funzione requirente deve fondarsi, sia pure muovendo dalla posizione di “parte”, su principi e regole di azione comuni a quelli ai quali è ispirata e vincolata l’azione del giudice. Una separazione avrebbe il solo effetto di allontanare il P.M. da quella cultura della giurisdizione che deve ispirare il suo operato.
Allo stesso tempo si è sottolineata l’assoluta irragionevolezza e antidemocraticità di un sistema di selezione, previsto per i soli componenti togati del CSM, tramite sorteggio, che nel privare il corpo dei magistrati del diritto all’elettorato, appare incompatibile con la natura di organo di rilevanza costituzionale del Consiglio che come tale deve essere composto da componenti dotati di una loro rappresentatività, che solo un sistema elettivo trasparente e democratico può assicurare.
Infatti, solo assicurando la rappresentatività dei propri componenti, espressione di un pluralismo democratico, il Consiglio può svolgere il compito affidatogli dalla Costituzione di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, tutelando il singolo magistrato da gravi e strumentali attacchi che purtroppo si rinnovano con preoccupante frequenza e con sempre maggiore intensità anche da parte di chi ricopre alte cariche istituzionali, attacchi che non favoriscono di certo la collaborazione tra Istituzioni e che ingenerano la sfiducia dei cittadini.
Occorre, invece, dismettere ogni approccio polemico e pregiudiziale, affinché ciascuno degli attori istituzionali faccia la propria parte, si confronti sul merito dei singoli problemi, tenendo esclusivamente a mente il valore rappresentato dal corretto andamento del servizio giustizia.
Concludo condividendo con voi le parole pronunciate ieri dalla Prima Presidente in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario in Cassazione quando, dopo aver invocato rispetto reciproco, pacatezza, equilibrio, ha auspicato “un vero e proprio patto per lo Stato di diritto in grado di alimentare la fiducia dei cittadini nei confronti di tutti gli organi cui la Carta fondamentale assegna l’esercizio di funzioni sovrane”.
Marcello Basilico (a Cagliari): “il titolo IV della Costituzione è intitolato “La magistratura”. La sezione I, in cui vi sono le modifiche proposte, è dedicato al “Ordinamento giurisdizionale”. Già questo solo elemento dovrebbe smentire l’assunto per cui quella approvata dal Parlamento in prima lettura sarebbe una riforma della giustizia.
È piuttosto una riforma della magistratura, estranea ai due obiettivi enunciati nella relazione illustrativa del Governo: l’attuazione del giusto processo e il miglioramento della qualità della giustizia. Sul primo obiettivo il parere del CSM si dà carico di spiegare perché gli argomenti di ordine processuale, istituzionale e comparato non impongono la separazione della magistratura ordinaria in giudicante e requirente. Del secondo obiettivo neppure la relazione stessa spiega la connessione con la riforma.
Il Consiglio superiore della magistratura, che oggi ho l’onore di rappresentare, è disciplinato dai capoversi dell’art. 104 Cost., dopo che il primo comma dello stesso articolo enuncia solennemente che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. È nel disegno del Costituente, quindi, il collegamento tra autonomia e indipendenza della magistratura e governo autonomo.
Tali valori – che, va ricordato, a loro volta implicano l’imparzialità del giudicare e sono quindi espressione del principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge – risiedono anche nel metodo di elezione (art. 104, co. 4) dei componenti, in particolare di coloro che devono rappresentare i magistrati nel loro autogoverno. L’introduzione del sorteggio (in entrambi i CSM che si vorrebbero istituire) sottrarrà ai magistrati quella scelta. Il governo della magistratura, dunque, sarà meno autonomo. Tanto più se l’autorevolezza dei componenti togati sarà ridimensionata mentre la componente laica continuerà a essere selezionata dal Parlamento.
Pare incredibile dovere parlare di “sorteggio” per un organo di rilievo costituzionale. E tuttavia la magistratura asseconderà doverosamente la volontà del Parlamento. Ma non potrà tacere di fronte alle conseguenze che essa avrà per i cittadini.
Un’analoga asimmetria sarà nella struttura dell’Alta Corte, che dovrebbe essere chiamata ad assumere la funzione disciplinare dei magistrati. Anche qui, componenti eletti scelti, magistrati sorteggiati. Per di più nell’Alta Corte entreranno solo magistrati che abbiano esperienza nelle funzioni di legittimità. Solo i consiglieri di Cassazione potranno dunque giudicare i loro colleghi. C’è da chiedersi come questa soluzione possa conciliarsi con l’art. 107, co. 3, Cost. (“i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni”).
Si viene così a incidere su questo enunciato – da molti ritenuto un principio fondamentale della parte II della Costituzione – senza formalmente modificarlo.
Verrebbe sottratta così alla magistratura una delle attribuzioni centrali del proprio governo autonomo, senza giustificazione alcuna. Qualsiasi argomento speso dai presentatori della riforma, infatti, viene meno di fronte al dato statistico [..], alla logica [..] e di fronte al testo costituzionale, perché un’eccezione al divieto di istituzione di giudici speciali dell’art. 102 co. 2 si dovrebbe ragionevolmente motivare.
È quindi a tutti evidente che l’effetto – voluto o inconscio, non spetta a noi dirlo – della riforma non sarà la funzionalità della giustizia, non la giustezza del processo penale. Sarà la divisione della magistratura o, meglio, della magistratura ordinaria. Quella che viene retoricamente definita “separazione delle carriere” non potrà assicurare maggiori garanzie al cittadino, ma le ridurrà inevitabilmente.
In questa divisione i magistrati requirenti saranno sempre più distanti – nell’accesso, nella formazione, nelle valutazioni professionali, nel confronto quotidiano – dai giudicanti. Proprio ora che il processo penale vuole un p.m. capace già alla chiusura dell’indagine di formulare una prognosi anticipata della probabilità di condanna; proprio ora che il p.m. dovrà vagliare le prospettive pratiche di applicazione di sanzioni alternative alla pena per il condannato, con un’operazione, quindi, prossima a quella richiesta al giudice e financo al magistrato dell’esecuzione penale.
Di qui l’inevitabile indebolimento dell’autorevolezza dei magistrati ordinari. E quand’anche a questo risultato non si accompagnasse la sudditanza del p.m. al potere esecutivo – sebbene nel testo normativo non si preveda una sola contromisura diretta a scongiurare tale pericolo – noi già oggi dovremmo preoccuparci di quanto accade, perché il vulnus all’autonomia dei magistrati è un vulnus al principio di eguaglianza dei cittadini. In una società sempre più disuguale, ciò dovrebbe essere sufficiente a preoccuparci tutti”.
Genantonio Chiarelli (a Potenza): “Non è possibile approfondire in questa sede questo argomento così delicato.
Quale componente del Csm, però, sento il dovere di rammentare che la magistratura trae la sua legittimazione direttamente dalla Costituzione che la costruisce come ordine autonomo ed indipendente dagli altri poteri, affinché il singolo magistrato, a sua volta autonomo ed indipendente dagli altri magistrati, possa esercitare il suo potere-dovere diffuso di garanzia, per assicurare il principio di uguaglianza di tutti dinanzi alla legge.
Nel nostro ordinamento l’autonomia e l’indipendenza non sono privilegi dei magistrati, ma baluardi a tutela dei cittadini.
La concezione della democrazia accolta dalla nostra Carta Costituzionale è quella di un sistema fondato sui diritti individuali, sulla partecipazione, sull’inclusione, attenta alle prerogative delle minoranze e a promuovere la partecipazione dei cittadini nelle scelte fondamentali della collettività e dello Stato. E tale concezione presuppone una giurisdizione geneticamente rivolta a luogo di controllo e promozione di tali diritti.
In tale ottica l’indipendenza della magistratura è inscindibilmente connessa al Consiglio Superiore della Magistratura ed alle sue prerogative, in un modello istituzionale di cui essere orgogliosi e da preservare gelosamente. Si è autorevolmente scritto che: “riferire sui precedenti storici del Consiglio Superiore della Magistratura equivale a scrivere la storia del progressivo affermarsi, non solo nella coscienza collettiva, ma anche nel nostro ordinamento positivo, del principio dell’indipendenza dei giudici dal potere esecutivo”.
Con la riforma si finisce per incidere in modo profondo sull’assetto del sistema che il Costituente ha delineato, ponendo precisi confini tra poteri dello Stato. Il CSM è un organo funzionale rispetto a quell’equilibrio che la riforma rompe pericolosamente. Affidarsi alla sorte per la selezione dei componenti togati svilisce un organo di rilievo costituzionale così importante, indebolendo la rappresentatività dei suoi componenti e attenuandone la forza, a detrimento del principale scopo per cui il CSM è stato previsto, quello, lo si ribadisce, di tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.
Ed allora, attenti ad indebolire il Csm, attenti ad indebolire i giudici nell’esercizio della giurisdizione: il vulnus all’autonomia dei magistrati è un vulnus al principio di eguaglianza dei cittadini.
Viviamo momenti difficili, di grande cambiamento nei quali sembra che le divisioni prevalgano su ogni possibilità di pacato ragionamento.
Non sdoganiamo le offese, il vilipendio, il disprezzo, la delegittimazione, quali modalità di manifestazione del pensiero o strumenti di lotta politica, ed indigniamoci contro l’utilizzo di questo linguaggio nel dibattito pubblico. A tale proposito, su impulso della Prima Commissione, è stata approvata una pratica a tutela dei magistrati della sezione immigrazione del Tribunale di Bologna, oggetto di violenti attacchi mediatici, anche da parte di titolari di altissime cariche istituzionali, soltanto per aver osato sollevare un rinvio pregiudiziale in ordine alla esatta interpretazione della disciplina euro unitaria in materia di procedure di riconoscimento del diritto di asilo. E’ stato questo un momento di grande tensione, purtroppo non l’ultimo, fra la magistratura e il mondo politico e il Csm non si è sottratto al proprio dovere costituzionale di garanzia.
Al contrario, invitiamo tutti a dismettere ogni approccio polemico e pregiudiziale, affinché ciascuno degli attori istituzionali protagonisti faccia la propria parte, si confronti sul merito dei singoli problemi, tenendo a mente il valore rappresentato dal corretto andamento del servizio giustizia.
Come ha detto ieri la Prima presidente della Cassazione, lo sforzo della magistratura teso ad inverare i più alti valori espressi dalla Costituzione, necessita di essere accompagnato da un contesto improntato al rispetto reciproco fra le varie istituzioni dello Stato, a razionalità, pacatezza, equilibrio : occorre un vero e proprio patto per lo Stato di diritto in grado di alimentare la fiducia dei cittadini nei confronti di tutti gli organi cui la Carta fondamentale assegna l’esercizio di funzioni sovrane”.
Maurizio Carbone (a Catanzaro): il parere consiliare ha portato alla luce “tutte le criticità del disegno riformatore destinato a mutare in modo radicale l’assetto costituzionale della magistratura, con la previsione della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, ma anche con la formazione di due distinti CSM, modificando anche le modalità di selezione dei componenti togati, attraverso un sorteggio secco e attribuendo ad altro organo – l’ Alta Corte di giustizia – il potere disciplinare. Nel parere approvato si evidenzia la sostanziale inutilità della separazione delle carriere che, a differenza di quanto viene sostenuto, non risponde ad alcuna necessità imposta dalla Costituzione, in un sistema in cui la separazione delle funzioni è ormai già una realtà, tanto che i passaggi dall’una all’altra funzione requirente e giudicante, riguardano da anni percentuali largamente inferiori all’1% dei magistrati in servizio.
Nel parere si è altresì evidenziato come dal complesso dei principi ricavabili dalla Carta fondamentale così come ricostruiti dalla stessa giurisprudenza della Corte, non deriva alcuna indicazione specifica – e tantomeno vincolante – in tema di ordinamento giudiziario, e in particolare in punto di disciplina della carriera dei magistrati, emergendo al contrario che le parti del processo – pubblica accusa e difesa – presentano un tasso di irriducibile diversità, derivante non solo dalle “diverse condizioni di operatività”, ma anche dai “differenti interessi dei quali, anche alla luce dei precetti costituzionali, le parti stesse sono portatrici”. Tali diversità giustificano la fisiologica “asimmetria strutturale” che caratterizza il processo penale, che colloca il P.M. nell’ambito di quella “cultura della giurisdizione” quale cifra unitaria di fondo della sua azione, per cui la funzione requirente deve fondarsi, sia pure muovendo dalla posizione di “parte”, su principi e regole di azione comuni a quelli ai quali è ispirata e vincolata l’azione del giudice. Una separazione che avrebbe il solo effetto di allontanare il P.M. da quella cultura della giurisdizione che deve ispirare il suo operato, quale organo pubblico che tutela interessi collettivi: primo garante dei diritti dei cittadini, soprattutto dei più deboli!
Allo stesso tempo si evidenzia l’assoluta irragionevolezza e antidemocraticità di un sistema di selezione, previsto per i soli componenti togati del CSM, tramite un sorteggio secco, che nel privare il corpo dei magistrati del diritto all’ elettorato, appare incompatibile con la natura di organo di rilevanza costituzionale del Consiglio che come tale deve essere composto da componenti dotati di una loro rappresentatività, che solo un sistema elettivo trasparente e democratico può garantire.
Solo assicurando la rappresentatività dei propri componenti, espressione di un pluralismo democratico, il Consiglio può svolgere il compito affidatogli dalla Costituzione di garantire l’ autonomia e l’ indipendenza della magistratura, tutelando il singolo magistrato da gravi e strumentali attacchi che purtroppo si rinnovano con preoccupante frequenza e con sempre maggiore intensità anche da parte di coloro che ricoprono alte cariche istituzionali, tanto da assumere in alcuni casi le dimensioni di una vera e propria “gogna mediatica”, attacchi che non favoriscono di certo la collaborazione tra Istituzioni e che ingenerano la sfiducia dei cittadini”.
Antonello Cosentino (a Bari): ha sottolineato come i problemi della giustizia siano sostanzialmente riducibili a due tematiche. “Una prima tematica – relativa al rapporto tra magistratura e società – concerne l’efficienza della macchina giudiziaria e si risolve nella duplice questione dei tempi dei processi civili e penali, certamente troppo lunghi, e della prevedibilità dei relativi esiti, da più parti ritenuta insufficiente. Una seconda tematica – relativa al rapporto tra magistratura (ordinaria) e altri poteri dello Stato – concerne il nodo dei rapporti tra giustizia e politica.
Il progetto governativo di riforma costituzionale riguarda esclusivamente la seconda delle due tematiche sopra menzionate, in quanto le disposizioni ivi contenute non incidono in alcun modo sui problemi di efficienza dell’amministrazione della giustizia [..].
Non ho il tempo per illustrare la labilità dei nessi tra la separazione delle carriere e la struttura del (giusto) processo penale, tra l’elezione dei componenti degli organi di autogoverno e le degenerazioni correntizie, nonché tra la giurisdizionalizzazione del procedimento disciplinare e la creazione di un nuovo giudice speciale. Qui mi limito ad evidenziare che tutte e tre le riforme contenute nel disegno di legge governativo si risolvono esclusivamente in modifiche dell’attuale modello di governo autonomo della magistratura ordinaria.
La creazione di due Consigli superiori della magistratura, uno per la magistratura giudicante ed uno per la magistratura requirente, è infatti un intervento sul sistema di governo autonomo della magistratura, del tutto eccedente rispetto al mero obbiettivo della separazione delle carriere, il quale ultimo, come reiteratamente precisato dalla Corte costituzionale, sarebbe realizzabile senza alcuna necessità di revisione costituzionale. L'obiettivo della riforma non è separare le carriere (che già sono di fatto separate, perché negli ultimi 5 anni i magistrati che hanno cambiato funzioni sono meno dello 0,5% dei magistrati mediamente in organico) ma separare gli organi di autogoverno della magistratura. Separarli per indebolirli. Lo sapevano già gli antichi: divide et impera.
La previsione delle modalità di selezione dei componenti dei due istituendi Consigli superiori della magistratura con il metodo del sorteggio sottrae agli organi di autogoverno della magistratura ordinaria il carattere della rappresentatività, che costituisce il principale punto di forza dell'attuale C.S.M. L’elezione, per un verso, genera nell’eletto una responsabilità rispetto a chi lo ha votato; per altro verso, gli garantisce il supporto dell’elaborazione culturale collettiva della corrente per la quale è stato eletto.
Il consigliere superiore eletto non è solo: ha dietro di sé un gruppo, una rete di relazioni, un serbatoio di conoscenze e di pensiero che egli porta nell’attività consiliare per assegnare alla stessa una direzione, un orizzonte culturale, una progettualità. Il consigliere superiore sorteggiato, per contro, da un lato non ha alcun dovere di accountability e, dall’altro, non si può giovare del contributo di alcun “intellettuale collettivo”: egli è solo. Quand’anche un caso felice selezionasse, quali componenti dei Consigli superiori della magistratura, i magistrati più adatti caratterialmente, più attrezzati culturalmente, più preparati sui temi ordinamentali, essi sarebbero comunque più deboli di un magistrato eletto, perché rappresenterebbero solo se stessi.
Riguardo all’Alta Corte disciplinare, infine, il semplice rilievo che essa non sia investita della giurisdizione sui magistrati amministrativi, contabili e militari è sufficiente a palesare come la riforma non persegua un modello teorico di giustizia disciplinare ma intenda semplicemente ridurre il peso istituzionale degli organi di governo autonomo della magistratura ordinaria (già grandemente ridimensionati, perché sdoppiati e resi privi di qualunque rappresentatività) sottraendo loro l’esercizio della potestà disciplinare.
Le tre linee di intervento oggetto del disegno di revisione costituzionale in esame convergono dunque, a ben vedere, su un unico obiettivo: l’attuale sistema di governo autonomo della magistratura ordinaria, il cui peso costituzionale viene radicalmente ridimensionato. Si tratta dunque di una riforma non della giustizia ma della magistratura, il cui principale presidio di autonomia e di indipendenza viene nettamente depotenziato, così realizzandosi le premesse istituzionali per il graduale ritorno della stessa verso il modello pre-costituzionale di ceto funzionariale”.
Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello