Diario dal Consiglio del 1º febbraio 2025
Applicazioni extradistrettuali, tra regole e problemi
Due interessanti pratiche di Settima hanno animato il dibattito nel Plenum del 22 gennaio scorso e hanno consentito a noi consiglieri di Area di riaffermare alcuni principi importanti in tema di interpretazione dell’istituto delle applicazioni extradistrettuali, nelle varie forme in cui esso si esplica. E di riaffermare, in particolare, la necessità che le norme regolamentari vadano applicate dopo un sapiente ed equilibrato confronto fra le primarie esigenze degli uffici e le altrettanto rilevanti esigenze personali. Le esigenze degli uffici perseguono non tanto e non solo obiettivi di efficienza, risultati PNRR, saggia distribuzione del lavoro, ma piuttosto il diritto dei cittadini a una risposta quanto più possibile rapida ed efficiente che, per esempio, con riferimento ai procedimenti, penali, non veda azzerato il lavoro di anni di istruttoria dibattimentale.
La prima delle due pratiche, certamente più rilevante, vedeva due proposte contrapposte, in commissione sostenuta l’una (proposta A) dai consiglieri laici e dalle colleghe di MI Mazzola e Marchianò, l’altra sostenuta soltanto da Geno e Bisogni (proposta B).
In particolare, il presidente f.f. della Corte di appello di Salerno, nel condividere e fare propria la proposta del presidente del tribunale di Salerno, ha chiesto l’applicazione extra distrettuale al Tribunale di Salerno (applicazione cd. “ad processum”, ex art. 131 della circolare applicazioni e supplenze 20 giugno 2028 e succ. mod.) di una collega – già giudice del Tribunale di Salerno, trasferita alla Corte di Appello di Brescia – allo scopo di permetterle di definire tre procedimenti penali, tutti complessi, aventi ad oggetto gravi reati e con lunga istruttoria già espletata ed in fase di definizione, essendo stata per ciascuno fissata e calendarizzata la fase della discussione, per un totale di sei udienze.
Per detti processi, peraltro, il Csm aveva già disposto un’analoga applicazione extra distrettuale nei confronti di un altro componente del collegio, nel frattempo trasferito alla Corte di cassazione, nonostante il parere contrario della prima presidente dell’ufficio di legittimità.
La collega interessata non aveva manifestato disponibilità all’applicazione (invocando la notevole distanza geografica e l’impatto insostenibile che l’applicazione richiesta poteva avere), pure il presidente della corte di appello di Brescia vi si era opposto, quanto meno con riferimento ad uno dei tre processi, quello per il quale era stato fissato il numero più alto di udienze, pari a quattro.
Quest’ultimo è stato in effetti escluso nella proposta A, che ha prospettato di deliberare l’applicazione extradistrettuale del magistrato per soli due processi, sostenendo che le contrapposte esigenze dell’ufficio di provenienza e dell’ufficio di destinazione, in particolare tenuto conto della situazione emergenziale della corte bresciana, consentivano di accogliere la richiesta solo parzialmente.
Con la nostra proposta, poi approvata a maggioranza, si è invece proposto di accogliere la richiesta integralmente, in quanto in tal senso e solo in tal senso poteva militare l’interpretazione dell’art. 131 richiamato. Esso, infatti, prevede che nel vagliare le richieste di applicazione ad processum debbano essere considerati lo stato, il numero e la tipologia dei procedimenti, oltre che le esigenze degli uffici coinvolti. Abbiamo così evidenziato che i processi erano solo tre, per sole sei udienze, tutti delicati ed in fase di discussione, e che le esigenze legate alle pur difficili condizioni della corte di appello di Brescia erano di minore pregnanza rispetto a quelle della corte di Salerno, caratterizzata da un più elevato tasso di scopertura e da un numero di procedimenti pendenti pro capite sensibilmente superiore.
D’altro canto, il mancato assenso dell’interessato era da ritenersi ininfluente, non essendo subordinata ad alcuna manifestazione di disponibilità l’applicazione extradistrettuale ad processum ex art. 131.
Negli interventi in Plenum abbiamo non solo rimarcato la maggiore fedeltà della nostra proposta al dettato regolamentare, ma abbiamo soprattutto evidenziato come in casi siffatti le esigenze degli uffici debbano trovare piena attuazione e prevalere sulle pur comprensibili esigenze dei singoli.
Senza dire che lo stesso Consiglio si era già espresso accogliendo analoga richiesta di applicazione con riferimento ad altro componente dello stesso collegio per i medesimi tre processi! Sarebbe stato davvero incoerente andare di contrario avviso.
Sappiamo tutti che nel nostro lavoro quotidiano quella della rinnovazione degli atti nel processo penale per mutamento della composizione del collegio è attività assai frequente e necessaria, collegata alle evenienze più disparate. Ma sappiamo anche che in tali casi l’immagine del sistema esce parecchio offuscata e provoca il rischio di creare sfiducia nei cittadini che vedono di fronte a loro, al momento della decisione, un giudice diverso rispetto a quello che ha seguito l’istruttoria, magari lunga e complessa.
Di conseguenza, ove possibile, ove il sistema lo consenta – anzi imponga di considerare la possibilità che venga salvaguardata l’esigenza di definire uno o più processi penali pendenti in avanzato stato d’istruttoria – il Consiglio deve fare la sua parte e deliberare di conseguenza.
Il tema delle applicazioni, specie extradistrettuali, lo abbiamo detto e scritto anche in altre occasioni, è delicato e richiede un’attenzione consapevole del fatto che con esse si va ad incidere pesantemente sugli uffici giudiziari, specie in un momento di gravissima e diffusa scopertura di organico. Perdere un magistrato è sempre difficile per un ufficio. Ma al contempo non dobbiamo dimenticare che l’istituto, dalla chiara ispirazione solidaristica, serve a fornire aiuto ad uffici che presentino situazioni di difficoltà particolari, non altrimenti risolvibili.
L’altro caso affrontato dal Consiglio aveva ad oggetto la “sospensione” di una applicazione extradistrettuale, al fine di consentire la celebrazione di alcuni processi nell’ufficio di provenienza.
Se, nel precedente, ci si trovava di fronte all’ipotesi del magistrato trasferito, chiamato a chiudere alcuni processi penali nella sede di provenienza, nel secondo il magistrato applicato ad altro ufficio era invece chiamato a celebrare alcune udienze nella sede di titolarità. Situazioni, dunque, solo apparentemente analoghe.
Recita l’art. 129 della circolare che “può essere disposta per esigenze di servizio la sospensione per un periodo determinato di un’applicazione già in corso”.
La norma, forse troppo vaga, è stata sin ora applicata solo nel senso di consentire al giudice “applicato” la trattazione nella sede di titolarità di processi penali complessi, in numero limitato e prossimi alla definizione; nel caso in esame, invece, si trattava di continuare a gestire alcuni procedimenti del settore lavoro, peraltro senza alcuna indicazione in ordine alla rilevanza o urgenza dell’oggetto delle controversie e alla durata dell’impegno.
La delibera di autorizzazione è passata a maggioranza, sulla base del preminente rilievo della presenza del consenso di tutti i soggetti interessati e dopo un emendamento che ha reso la motivazione più puntuale. Alcuni di noi si sono astenuti comunque per i dubbi e le ragioni che seguono:
- la compatibilità dell’applicazione extradistrettuale in esame con la previsione dell’art. 112 circolare (“se è disposta a tempo pieno, l’applicazione determina il temporaneo abbandono dell’ufficio di cui il magistrato applicato è titolare”);
- la concreta possibilità di gestire in contemporanea e con efficacia i ruoli di due uffici distinti e a centinaia di chilometri di distanza;
- l’insufficienza della motivazione in delibera sul dato relativo alla durata ed all’entità dell’impegno;
- la probabile opportunità d’intervenire a modificare l’art. 129 della circolare per la sua genericità (forse meritevole di modifica).
Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello