APRILE
24

Diario dal Consiglio del 24 aprile 2025

Passaggio di funzioni e incarichi fuori ruolo

Le decisioni sui trasferimenti chiesti da due colleghi, rispettivamente, alla procura generale presso una corte d’appello e a un tribunale sono state l’occasione per una valutazione compiuta, da parte del Consiglio, dell’inedita questione concernente l’incidenza del periodo di servizio in carico fuori ruolo sul regime dei limiti al cambio di funzione posti dalla cosiddetta “riforma Cartabia” (art. 12 della legge n. 71/2022) nella parte in cui ha modificato l’art. 13 d. lgs. n. 160/2006.

Nel testo vigente questa norma, dopo avere enunciato la regola del divieto del passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti e viceversa all’interno dello stesso distretto o di distretti presenti nella stessa regione o nel capoluogo del distretto competente ex art. 11 c.p.p., ha ammesso un’eccezione quando questo si verifichi una volta entro sei anni dalla data di prima maturazione della legittimazione ai sensi dell’art. 194 OG. Oltre quest’arco temporale si può transitare una sola volta alle funzioni requirenti, dalle giudicanti penali, oppure dalle funzioni requirenti alle giudicanti civili o del lavoro svolte in un ufficio diviso in sezioni (art. 13, co. 3). 

Ai limiti territoriali posti in relazione alla regola generale di divieto fanno eccezione due casi: quello del giudice che chieda di andare a fare il p.m. dopo avere svolto solo funzioni civili o lavoristiche nell’ultimo quinquennio e quello del requirente che chieda di andare a svolgere funzioni civili o lavoristiche in un ufficio diviso in sezioni. In entrambe queste ipotesi il tramutamento può avvenire solo in un circondario e in una provincia diversi rispetto a quelli di provenienza (art. 13., co. 4).

Lo stesso quarto comma precisa che il trasferimento a funzioni di secondo grado può avvenire solo in un distretto diverso da quello di provenienza.

Le due domande di tramutamento esaminate hanno posto il problema dell’applicabilità dei limiti territoriali al cambio di funzione per i magistrati collocati fuori ruolo al momento della domanda (in un caso presso il Ministero della giustizia, nel secondo presso il CSM). L’8 novembre 2023 il Consiglio aveva già ritenuto inammissibile un’analoga domanda diretta al passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti di secondo grado, ritenendo insuperabile il disposto finale dell’art. 13, co. 4, appena menzionato.

Peraltro, con sentenza coeva il Consiglio di Stato, in una fattispecie che aveva visto l’applicazione della disciplina previgente alla riforma Cartabia, aveva affermato che il magistrato collocato fuori ruolo può partecipare alla procedura di trasferimento per assumere funzioni requirenti presso un ufficio situato nel medesimo ambito territoriale regionale della sede in cui aveva precedentemente svolto funzioni giudicanti, senza incorrere nel divieto dell’art. 13 d.lgs. n. 160/2006 (sentenza 975/2023).

  Il giudice amministrativo ha premesso che tale divieto è motivato dall’esigenza non di tenere separate le carriere giudicante e requirente, ma di evitare il passaggio a funzioni diverse nello stesso ambiente giudiziario senza soluzione di continuità, nel rispetto dei principi di terzietà e imparzialità, rischio che non sussiste quando il magistrato, dopo avere svolto funzioni giudicanti in una determinata sede, venga poi assegnato a funzioni requirenti nel medesimo ambito territoriale a seguito di un adeguato intervallo temporale, durante il quale sia stato fuori ruolo. Ha poi proseguito osservando che il collocamento fuori ruolo comporta la cessazione delle funzioni giurisdizionali e la perdita del posto nell’ufficio giudiziario di provenienza; risulta così superato il duplice limite di carattere geografico e temporale (identità dell’ambito territoriale tra sede di provenienza e ufficio di assegnazione e immediatezza del mutamento delle funzioni) in presenza del quale vale il divieto.

  Per la sua portata generale questo enunciato – secondo l’ufficio studi del CSM, interpellato dalla Terza commissione – è riferibile anche al regime ora vigente, giacché la riforma non ha intaccato ratio e presupposti del divieto. Alla sua applicazione per la domanda della collega rivolta alle funzioni requirenti d’appello, non è di ostacolo la rigida disposizione inserita al riguardo nell’art. 13, co. 4 (“Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza”), poiché essa ha efficacia circoscritta alla specifica disciplina contenuta nello stesso quarto comma (derogatoria al “divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni”).

  D’altro canto, l’assimilazione prevista dall’art. 50 d. lgs. 160/2006 (“il periodo trascorso dal magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura è equiparato all’esercizio delle ultime funzioni giudiziarie svolte”) è volta solo a conferire una valorizzazione oggettiva alle funzioni svolte nell’incarico fuori ruolo, senza creare – così ha puntualizzato la sentenza 975/2023 - una fictio juris che consenta di ritenere il magistrato fuori ruolo ancora incardinato nel territorio di provenienza.

La legge n. 71/2022 non ha inciso sulla natura e sui connotati del collocamento fuori ruolo. Questo continua a rappresentare una parentesi temporanea nel percorso professionale giudiziario del magistrato, avulsa dalle funzioni giurisdizionali. E’ dunque condivisibile il parere dell’ufficio studi in ordine all’attualità del principio enunciato dal Consiglio di Stato anche dopo la riforma Cartabia, malgrado le modifiche apportate ai commi terzo e quarto dell’art. 13 d. lgs. n. 160/2006.

Va, se mai, vagliata la presenza nell’ordinamento - dopo la soppressione del termine quinquennale anteriormente stabilito dall’art. 13, co. 3, quale durata minimale della permanenza continuativa nelle stesse funzioni - di una regola generale da cui ricavare la durata dell’incarico fuori ruolo idonea a rappresentare la cesura utile a consentire il cambio di funzione. Questa verifica s’impone al fine di evitare il paradosso di un cambio favorito da una permanenza brevissima fuori ruolo.

Il Consiglio ha ravvisato nella norma dell’art. 194 OG, in quanto “punto di riferimento ordinamentale per i trasferimenti dei magistrati”, la fonte per l’individuazione del termine di apprezzabile durata: la permanenza continuativa nell’incarico per quattro anni costituisce dunque un periodo adeguato dopo il quale il collocamento fuori ruolo legittima al passaggio di funzione oltre i limiti territoriali imposti dall’art. 13 d. lgs. 160/2016.

Entrambi i magistrati richiedenti avevano superato abbondantemente tale limite.

Per entrambi v’erano, inoltre, le ulteriori condizioni che rendevano ammissibili le rispettive domande: l’applicabilità del regime intertemporale previsto dall’art. 12, co. 2, l. n. 71/22 (per chi non avesse effettuato in precedenza più di un cambio di funzioni); la partecipazione all’apposito corso di conversione; il parere d’idoneità al cambio di funzione da parte del Consiglio giudiziario.

In definitiva, grazie all’affermata autonomia della disciplina del collocamento fuori ruolo rispetto a quella dei tramutamenti, il CSM ha potuto individuare situazioni in cui risulta ancora possibile il passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti e viceversa oltre i limiti stabiliti dalla riforma Cartabia.

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

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