LUGLIO
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Diario dal Consiglio del 6 luglio 2024

Perché Pinelli ha sbagliato in forma, metodo e sostanza

Nel Plenum del 3 luglio –  dopo la lunga e approfondita discussione dedicata alla nuova circolare sull’organizzazione degli uffici di procura, chiusa dalle repliche dei relatori Bisogni, Fontana e Maurizio Carbone, e dopo la dichiarazione di voto del cons. Scaletta – il vicepresidente, avendo verificato che nessun altro consigliere intendeva formulare una dichiarazione di voto, ha pronunciato un lungo intervento,  da lui stesso qualificato come dichiarazione di voto, concluso dall’annuncio che egli non avrebbe partecipato al voto.

Detto intervento si è risolto, al netto dei ringraziamenti di rito, in una critica radicale alla circolare che il Plenum stava per approvare.

Tale circolare si caratterizzerebbe, secondo il vicepresidente, per una “sorta di prospettiva di riunione permanente degli uffici di gestione di procura”, non “in linea con le necessità di efficienza e di snellezza delle procedure decisionali proprie della modernità”; nella stessa si avvertirebbe “una diffidenza sul fatto che siano previste le possibilità di decisione, in una sorta di intento limitativo dei procuratori che sono visti, appunto, con sfiducia e diffidenza, anziché come valore aggiunto”; diffidenza che, nell’argomentazione del vicepresidente, nasconderebbe una “soverchia sfiducia  nel riservare a taluno il potere decisionale e quindi nell'accettare che le strutture complesse abbiano in sé anche chi è chiamato a decidere e poi eventualmente, se decide male, rispondere”. Per il vicepresidente, in sostanza, la circolare introdurrebbe “un meccanismo fondato sulla sfiducia del procuratore, sulla riunione permanente per far sì che ci sia una verifica passo passo dei modelli organizzativi o delle scelte decisionali anche spicce che è chiamato a compiere”.

Non è mancato il caveat sul fatto che “le democrazie funzionano se sono decidenti, non se sono ingessate, e le moltiplicazioni dei controlli fanno sì che non ci sia nessuna possibilità di esercizio del proprio potere decisionale”.

La critica alla circolare è poi trascolorata nella considerazione che “la maturità, le competenze professionali spingono per comportamenti prudenti” e, quindi, “evitano il rischio anche di scelte nella fase delle indagini preliminari rispetto alla compromissione dei diritti dei cittadini”.  “Si ha poco da dire”, ha proseguito il vicepresidente, “che poi ci sarà un giudice, … perché è vero che ci sarà un giudice, ma il giudice arriverà quando il profilo reputazionale, professionale, personale sarà ormai completamente compromesso. Il giudice a Berlino arriva quando ormai le vite sono distrutte.”. Donde la conclusione che: “questi sono i profili che necessitano del riconoscimento di adeguati poteri al procuratore titolare dell’azione, cioè le prerogative nascono dalle esigenze di garanzia dei cittadini: non basta la vittoria del concorso pubblico per valutare autonomamente un quadro probatorio, non basta: bisogna fare molta esperienza, molta esperienza, perché è troppo grande il potere che poi si ha nelle proprie mani. Allora io credo che la prospettiva della valorizzazione della maturazione, delle competenze, delle capacità professionali ai procuratori avrebbe dovuto, come dire, essere maggiormente tenuta in considerazione nella preparazione della circolare”.

Insomma, al vicepresidente è parso che “concentrare l'attenzione sull’ormai logora dicotomia gerarchia/indipendenza abbia in larga parte fatto smarrire la centralità del problema dell’effettività del coordinamento al fine di garantire un’azione autorevole e davvero imparziale che sola può evitare abdicazioni alla funzione di direzione delle indagini, congetturalismi nelle iniziative cautelari e personalismi, atomizzazione dell’attività degli uffici che non possono che produrre tensioni perniciose all’istituzione, gravi inefficienze contrarie al buon andamento dell’attività, burocratizzazione dell’ufficio tutta concentrata sul procuratore e poco o nulla sui sostituti”.

Rimandando all’ascolto integrale dell’intervento del vicepresidente (reperibile a questo link) ci sembrano necessarie tre considerazioni, una di forma, una di metodo e una di sostanza.

La considerazione di forma riguarda la scelta del vicepresidente di presentare il suo intervento come dichiarazione di voto. A prescindere dalla singolarità di una dichiarazione di voto espressa da chi non partecipa al voto (infatti non si è astenuto, ma si è sottratto alla partecipazione al voto), non possiamo non rimarcare che lo stesso vicepresidente, presentando l’intervento come dichiarazione di voto, pronunciata dopo che nessun altro consigliere aveva chiesto di dichiarare il proprio, ha di fatto precluso ogni possibilità di replica, chiudendo il dibattito – e, al contempo, la stessa seduta antimeridiana del Plenum – con una lunga (31 minuti) analisi demolitiva della circolare che il Consiglio stava per approvare.

Ed è proprio per non avere potuto replicare in sede di dibattito che tutti (tutti, va sottolineato) i consiglieri togati, nonché il prof. Romboli, hanno condiviso il seguente comunicato, letto da Antonello in apertura della seduta pomeridiana: Abbiamo ascoltato il lungo intervento effettuato dal Vicepresidente, avvocato Fabio Pinelli, a conclusione della discussione sulla nuova circolare sull’organizzazione degli uffici di Procura, in sede di dichiarazione di voto e senza possibilità di replica. Premesso il diritto di ogni consigliere di esprimere nel dibattito le proprie opinioni, non possiamo tacere il nostro fermo dissenso rispetto al metodo e al contenuto di dichiarazioni che si sono di fatto risolte in un atto di delegittimazione del ruolo del pubblico ministero e di generalizzata sfiducia nel lavoro degli uffici di Procura e, quindi, della magistratura tutta. Rappresentazione che non solo non trova alcun riscontro nell’assetto istituzionale ma che è ancora più grave perché offerta da chi riveste il ruolo di Vicepresidente dell’organo di governo autonomo della magistratura.

La considerazione di metodo riguarda il modo con cui l’avv. Pinelli interpreta il ruolo di vicepresidente del CSM consegnatogli dalla maggioranza del Plenum.

È indubbio che qualunque consigliere, e quindi anche il vicepresidente, abbia il diritto di manifestare la propria opinione sugli atti consiliari; ma altra è una argomentazione critica, altra è una generica e generale delegittimazione delle procure italiane (“congetturalismi nelle iniziative cautelari e personalismi, atomizzazione dell'attività degli uffici”, “il giudice a Berlino arriva quando ormai le vite sono distrutte”).

Nella parte inziale del proprio intervento il vicepresidente ha detto: “tutti noi siamo, come dico sempre, anche a volte inconsciamente condizionati dalle esperienze che viviamo quotidianamente, a maggior ragione quando si protraggono per così tanti anni, come è stata la mia esperienza di avvocato penalista”; comprendiamo che l’avv. Pinelli possa essere condizionato dalla propria storia professionale, ma non possiamo accettare che il vicepresidente dell’organo a cui la Costituzione affida il compito di tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura si abbandoni a toni così schiacciati sui più vieti stilemi della polemica tra ceti professionali.

La considerazione di sostanza, infine, riguarda le due idee di fondo che emergono dall’intervento del vicepresidente: a) la procedimentalizzazione dell’esercizio del potere contrasterebbe con la “necessità di efficienza e di snellezza delle procedure decisionali proprie della modernità”; b) i sostituti procuratori della repubblica dovrebbero essere guidati e diretti da un dirigente (meglio: da un Capo) esperto e prudente, per evitare che essi facciano danni.

Chi, come noi, abbia memoria, non può non risentire in queste idee l’eco di antiche parole d’ordine.

Il refrain sulla “democrazia decidente” è costantemente evocato da larghe fasce della classe dirigente italiana (basta pensare al brain trust che ha portato la “decisione” all’interno della propria denominazione: “italiadecide”) ed è alla base di tutti i progetti di riforma costituzionale degli ultimi trent’anni, compreso quello appena approvato del Governo. A oggi, tuttavia, la Costituzione prevede che i magistrati si distinguano fra loro soltanto per diversità di funzioni e la legge prevede che i progetti organizzativi dei procuratori della Repubblica siano soggetti all’approvazione del CSM.

La considerazione che “non basta la vittoria del concorso pubblico per valutare autonomamente un quadro probatorio, non basta: bisogna fare molta esperienza molta esperienza perché è troppo grande il potere che poi si ha nelle proprie mani” non può non ricordare, poi, l’intemerata del Presidente Cossiga contro i giudici ragazzini (“Basta con i tabù, non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre un’indagine complessa come può essere un’indagine sulla mafia o sul traffico della droga”); e, prima ancora, non può non ricordare il manzoniano conte zio: “Veda vostra paternità; son cose, come io le dicevo, da finirsi tra di noi, da seppellirsi qui, cose che a rimestarle troppo... si fa peggio. Lei sa cosa segue: quest’urti, queste picche, principiano talvolta da una bagattella, e vanno avanti, vanno avanti... A voler trovarne il fondo, o non se ne viene a capo, o vengon fuori cent’altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire”.      

 

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

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