SETTEMBRE
28

Diario dal Consiglio del 28 settembre 2024

Ancora un art. 2 L.G. scambiato per disciplinare

Nel febbraio scorso, durante una pausa di un’udienza penale in corso, ma temporaneamente sospesa presso il tribunale di Firenze, un avvocato sfoglia il fascicolo del dibattimento di un processo e vi scopre una cartellina. All’interno alcuni appunti, post-it e il testo di un dispositivo di condanna dell’imputato, non firmato, con tanto di numero del procedimento e pena nonché la data dell’udienza precedente.

Il legale fotografa lo scritto col cellulare e, al rientro in aula del collegio, gliene dà notizia, annunciando una propria istanza di ricusazione. Il collegio chiede di astenersi dalla trattazione. Nella propria informativa il presidente riferisce che il documento non è altro che una bozza della possibile decisione, non ancora discussa coi colleghi in attesa della discussione da parte del p.m. e dei difensori dell’imputato. Il presidente del tribunale autorizza comunque l’astensione e il processo verrà dunque celebrato e definito da un nuovo collegio. 

Non è la prima volta che accadono episodi simili nelle aule giudiziarie. È chiaro però che, nonostante le difficoltà legate al numero dei processi da trattare in un’udienza, alla complessità delle decisioni, anche per l’evoluzione ininterrotta delle norme, e al calcolo delle pene, i giudici penali devono, oltre che rispettare le regole del processo, prestare un’attenzione adeguata alla forma del proprio agire, al fine di evitare sospetti, fraintendimenti e strumentalizzazioni.

Nel caso specifico, all’evento hanno fatto seguito diversi articoli di stampa e tre giorni di astensione dalle udienze proclamati dalle Camere penali fiorentine. 

L’istruttoria condotta dalla Prima commissione del CSM ha accertato che, indipendentemente dalle modalità della sua acquisizione da parte della difesa, l’atto rinvenuto dal difensore era un’ipotesi di lavoro predisposta solo dal presidente del collegio nella forma esteriore del dispositivo. Ciò è risultato dimostrato dal fatto che le parti non avessero ancora espresso le loro rispettive conclusioni sia dal contesto (l’atto non era firmato; la competenza era collegiale, mentre la redazione del testo era riferibile al solo presidente).

Il testo rinvenuto configura quindi, sul piano fattuale e sul piano giuridico, una bozza di dispositivo e non – come invece è stato detto da taluno anche in Plenum – una “decisione”.

La proposta di delibera della Prima commissione, che conteneva un’esposizione dettagliata delle risultanze istruttorie, è stata ritenuta esaustiva dalla maggioranza del Plenum, che ha votato l’archiviazione della procedura, non ravvisando i presupposti per un trasferimento d’ufficio dei magistrati interessati. Tale procedura era l’unica, riferibile al caso, che rientrasse nelle attribuzioni della commissione. Si è quindi ritenuto che anche il clamore mediatico seguito alla vicenda non ne abbia intaccato, per la sua brevità temporale, il carattere episodico, sicché la capacità dei colleghi coinvolti di esercitare nel circondario le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità non poteva dirsi compromessa.

Non pochi interventi contrari alla delibera, incluso quello del Vicepresidente, hanno sollevato nel Plenum questioni rilevanti a livello disciplinare o della valutazione di professionalità, che, come tali, non avevano a che vedere col contesto procedimentale in trattazione. Si è anche affermato che l’archiviazione di un fatto tanto significativo avrebbe contribuito a offuscare l’immagine della magistratura nel Paese, alimentando l’idea che nel Consiglio si adottassero soluzioni di difesa corporativa.

Tra i consiglieri togati si sono levate molte voci a smentire questa lettura. Noi – e per primo Tullio, quale presidente della Prima commissione – abbiamo in particolare ricondotto la discussione entro i confini istituzionali della procedura per incompatibilità ambientale, che non poteva tradursi in un’azione diretta a censurare condotte sotto i profili disciplinare e dell’adeguatezza professionale.

Non è la prima volta che in questa consiliatura si tende a introdurre questi aspetti nelle pratiche ex art. 2 della legge sulle guarentigie. Ma i piani devono restare distinti, perché è la legge a volerli distinti con nettezza.

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

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