Diario dal Consiglio del 29 aprile 2023
Calendario dei lavori delvCSM: com’è andata e cosa pensiamo
Dopo un’indagine conoscitiva interna di tre mesi si è condivisa la soluzione, che subito il gruppo di AreaDG aveva propugnato, di affrontare l’arretrato che ingolfa l’attività del Consiglio dando spazio alle sedute delle Commissioni più esposte su questo fronte e contenendo il numero delle assemblee plenarie, alle quali, altrimenti, non arriverebbero delibere in numero e con elaborazione adeguati. Si è dunque deciso in tal senso, seppure dopo un percorso non lineare: un calendario rigido, che poco spazio lascia all’autonomia dei presidenti di Commissione, i quali nei prossimi mesi si troveranno a dovere affrontare emergenze plurime nei rispettivi settori di competenza; il numero legale messo a repentaglio nel Plenum che doveva approvarlo, col rischio concreto di un grave strappo istituzionale.
Di fatto una vicenda tutta interna al CSM ha assunto una dimensione pubblica sia per un clamore mediatico degno di più elevate questioni (e alimentato evidentemente ad hoc) sia per i riflessi sul piano delle relazioni tra i diversi organi consiliari. Se con la prima componente occorrerà convivere a lungo, stanti l’attenzione che suscitano ormai i temi della giustizia e le letture mistificatrici cui essi si prestano, la seconda merita una riflessione in tempi brevi: ne va della funzionalità del Consiglio e della sua collegialità effettiva.
Nel Plenum del 26.4.23 è stato approvato, all’unanimità, il calendario dei lavori consiliari per il periodo maggio – dicembre 2023.
Il clamore mediatico della vicenda, apparentemente del tutto sproporzionato alla portata della questione, rende necessario contrastare, almeno tra i lettori del nostro Diario, la vulgata, ampiamente diffusa dalla stampa engagé con l’attuale maggioranza parlamentare, secondo cui (solo) questo Vicepresidente riuscirebbe a far lavorare i neghittosi componenti del CSM.
Paradigma di questa vulgata è la grancassa battuta dal quotidiano Libero, a mo’ di marcetta di ouverture della discussione sulla riforma del CSM, proprio in questi giorni calendarizzata al Senato:
- titolo del 25 aprile: «Magistrati sull’orlo di una crisi di nervi. Pinelli li fa lavorare, al CSM non ci stanno: ma lui “Io non mollo”»; dove non è chiaro se la citazione rimandi a Nello Rosselli (come potrebbe ipotizzarsi in considerazione della data, gloriosa, di pubblicazione dell’articolo) o all’indimenticabile Ciccio Franco;
- titolo del 27 aprile: «Nel nuovo CSM ai giudici tocca lavorare»; dove non è chiaro perché analoga triste sorte non toccherebbe anche ai componenti del CSM eletti dal Parlamento; ciò, del resto, spiegherebbe perché solo i magistrati, e non anche i componenti eletti dal Parlamento, sarebbero, secondo il titolo del 25 aprile, sull’orlo di una crisi di nervi.
Ed allora, parendo anche a noi, come al Segretario fiorentino (l’originale, s’intende, non già Matteo Renzi), «più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla imaginazione di essa» proviamo a raccontarvi per filo per segno come è andata (e cosa significa) questa storia.
Per molti decenni le riunioni delle commissioni consiliari e del Plenum del CSM si sono svolte, salvo esigenze particolari, tre settimane al mese. La quarta settimana, pur se gergalmente detta “bianca”, non era destinata agli sport invernali, bensì all’attività di backstage indispensabile per far funzionare le Commissioni e, tramite il lavoro delle Commissioni, alimentare l’attività del Plenum. In quella settimana, infatti, i magistrati segretari, normalmente impegnati nelle Commissioni, procedevano alla stesura degli atti che, deliberati come proposte di Commissione, venivano poi portati all'approvazione del Plenum; i consiglieri, per contro, si dedicavano alle questioni che richiedono studio e riflessione (e redazione di testi) con la calma e la concentrazione che non è possibile trovare nel giro vorticoso delle riunioni di commissione e Plenum che caratterizza le altre settimane.
Appena l’attuale Consiglio si è insediato, il Vice Presidente ha sostenuto con molta energia la necessità di una intensa attività di recupero dell’arretrato che per varie ragioni (sulle quali rimandiamo al nostro Diario del 15 aprile scorso, là dove si parla del problema delle conferme dei direttivi e semidirettivi) si era accumulato in talune commissioni, specialmente la quarta (valutazioni di professionalità), la quinta, (incarichi direttivi e semidirettivi), la settima (organizzazione degli uffici) e l’ottava (magistratura onoraria).
L’opinione del Vicepresidente era che, per aumentare la produttività del Consiglio, fosse necessario eliminare la cosiddetta settimana bianca, prevedendo sedute di commissione e di Plenum in tutte le settimane del mese.
Noi del gruppo di AreaDG, al pari della larga maggioranza degli altri consiglieri, esprimemmo notevoli perplessità su tale soluzione, non certo perché non condividessimo la necessità di un’immediata accelerazione della trattazione degli affari consiliari, ma perché, sul piano del metodo, ritenevamo che qualunque intervento sull’organizzazione del lavoro consiliare non potesse prescindere da una preventiva analisi dell’organizzazione e dei flussi del lavoro e delle ragioni della formazione dell’arretrato. Nel merito, poi, rappresentammo altresì al Vice Presidente la necessità che l’organizzazione dei lavori consiliari fosse strutturata in modo da lasciare ai consiglieri spazi di tempo liberi da impegni romani, indispensabili, oltre che per studiare questioni complesse e redigere di proprio pugno gli atti più delicati, anche per mantenere il rapporto con gli uffici e con i colleghi, dai quali gli stessi consiglieri sono stati investiti di un mandato che, per Costituzione, è di natura elettorale.
All’esito di una intensa interlocuzione con tutto il Comitato di Presidenza, si convenne di accettare in via provvisoria (fino al 30 aprile) la proposta del Vice Presidente di abolire la settimana cosiddetta bianca, contestualmente istituendo un gruppo di lavoro volto allo studio delle criticità del Consiglio sulla scorta di dati oggettivi ed alla conseguente elaborazione di soluzioni organizzative costruite sulle risultanze di tale studio.
I risultati della riflessione del gruppo di lavoro hanno chiarito che il “collo di bottiglia” è proprio nell’attività di backstage, ossia nell’affanno, con conseguente dilatazione dei tempi, con cui la struttura amministrativa e i magistrati segretari riescono a tradurre le deliberazioni delle commissioni in atti da sottoporre al Plenum, sorretti da una motivazione idonea a resistere all’eventuale vaglio del giudice amministrativo.
Noi di AreaDG abbiamo quindi sostenuto, in primo luogo, che fosse opportuno lasciare una settimana libera da riunioni di Plenum (le quali impegnano fortemente tutta la struttura consiliare), anche perché l’esperienza di questi mesi ha dimostrato che tali riunioni possono tranquillamente essere caricate con un maggior numero di affari, spalmando le pratiche complessivamente trattate in un mese su tre Plenum, invece che su quattro. In secondo luogo, abbiamo condiviso l’esigenza di evitare, temporaneamente, soluzioni di continuità nell'impegno lavorativo delle Commissioni che oggettivamente sono oggi in affanno per il rilevante arretrato che devono affrontare; siamo ben consapevoli, infatti, che il CSM ha molto da fare, che deve farlo presto e che deve farlo bene.
Riteniamo, tuttavia, che la concreta modulazione dell’impegno delle Commissioni vada rimessa agli apprezzamenti di ciascuna Commissione e del relativo presidente: ciò sia per consentire anche ai consiglieri e ai magistrati segretari impegnati nelle commissioni con maggiore arretrato di ritagliarsi gli spazi necessari per soddisfare, almeno parzialmente, le esigenze, sopra accennate, alle quali è funzionale una pausa mensile delle riunioni di commissione e di Plenum; sia per evitare lo spezzettamento degli orari delle riunioni di Commissione e consentire sedute della durata di almeno quattro o cinque ore, onde avere la possibilità di portare a compimento anche discussioni complesse; sia, infine, per lasciare spazio ad eventuali riunioni di commissioni diverse da quelle in arretrato, i cui presidenti, tuttavia, richiedano una seduta supplementare, magari lunga, per discutere approfonditamente determinate questioni; si pensi, ad esempio, alla Commissione che ha la competenza sul regolamento consiliare (la Seconda) o sui pareri relativi agli atti normativi del Governo e del Parlamento (la Sesta), le quali potrebbero utilizzare la quarta settimana per sessioni ampie, dedicate alla discussione su specifici temi.
La soluzione proposta dal Comitato di Presidenza al Plenum del 26 aprile ha recepito l’esigenza di istituire una settimana al mese in cui non fosse prevista la convocazione del Plenum (se non in via eventuale, per necessità contingenti), al contempo limitando le attività di Commissione alle quattro in arretrato. L’originaria proposta del Comitato di Presidenza è stata emendata dal Comitato stesso, su profili di dettaglio, dopo che alcuni consiglieri di estrazione parlamentare avevano fatto mancare il numero legale e il Plenum era stato rinviato di due ore.
La nostra valutazione sul nuovo calendario dei lavori – tuttora sostanzialmente sperimentale, in quanto valido fino alla fine di quest’anno – è critica; pur apprezzando la (tendenziale) eliminazione di una riunione di Plenum al mese, ci pare che il nuovo calendario non centri l'obiettivo di avere una settimana al mese in cui la struttura consiliare disponga di un congruo spazio di lavoro di ufficio, senza dover partecipare alle attività di commissione, e i consiglieri mantengano uno spazio temporale libero da impegni romani, da dedicare alla preparazione della pratiche di maggior spessore (si pensi alla necessità di studio legata agli interventi di normazione secondaria) ed al rapporto con i magistrati dei distretti.
Si tratta, in definitiva, di un calendario che schiaccia l’attività consiliare in una routine burocratica che occupa tutti gli spazi e comprime il tempo disponibile per il colloquio, lo studio e la riflessione sui nodi di fondo dell’autogoverno della magistratura. Un modello organizzativo, in sintesi, più adatto ad un organo di gestione amministrativa che ad un organo investito della funzione costituzionale di garanzia dell'indipendenza della magistratura.
Soprattutto, e questa ci pare la criticità principale, è un calendario che lascia pochissimo spazio all’autonomia e alle valutazioni delle singole Commissioni e dei loro componenti, quasi che i membri del CSM non fossero esso stessi i titolari della potestà consiliare.
Nonostante queste critiche, noi di AreaDG abbiamo ritenuto di dover evitare una frizione con il Vice Presidente del CSM su una questione, come l’organizzazione del calendario dei lavori consiliari, tutta interna all’organo e non immediatamente incidente sullo statuto costituzionale della magistratura. L’autorevolezza e il prestigio del Consiglio Superiore si difendono, a nostro avviso, anche mettendolo al riparo dal rischio di polemichette strumentali come quelle annunciate dai titoli di giornale che sopra abbiamo riportato.
Ma dobbiamo sottolineare che la responsabilità della conduzione dei lavori consiliari è del Consiglio nella sua collegialità; non possiamo, quindi, sottrarci alla responsabilità di evidenziare due profili della vicenda che destano la nostra viva preoccupazione:
- dopo una discussione che si è protratta per settimane, la proposta di calendario elaborata dal Comitato di Presidenza è stata inserita nell’ordine del giorno di Plenum senza alcuna previa interlocuzione con i consiglieri; questi ultimi si sono trovati davanti all’alternativa secca tra una supina accettazione di tale proposta e la presentazione di emendamenti in Plenum che inevitabilmente avrebbe caricato di significati impropri e gratuitamente polemici quella che doveva essere, ed era, null’altro che la comune ricerca delle migliori soluzioni organizzative per il buon funzionamento del Consiglio;
- una parte dei componenti del CSM, di nomina parlamentare, non ha esitato, per ottenere una interlocuzione che avrebbe potuto e dovuto essere trovata prima e in altro modo, a far mancare il numero legale del Plenum, mettendo a rischio il regolare funzionamento di un organo di rilevanza costituzionale per risolvere questioni organizzative interne in cui la differenza tra le diverse soluzioni sul tappeto era infine oggettivamente modesta.
Ci auguriamo che il Vice Presidente e tutti i consiglieri sappiano subito ritrovare, insieme, la capacità di intessere un colloquio leale e costruttivo nell’interesse dell’Istituzione.
Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello