Diario dal Consiglio del 14 dicembre 2024
Il PPT non funziona. È un fatto, non un’opinione
Sul processo penale telematico il CSM ancora una volta ha dovuto ribadire la propria ferma posizione, motivata e costruttiva, rispetto alle chiare e manifeste criticità relative all’applicativo APP e, più in generale, all’evoluzione dell’intervento d’informatizzazione. Lo aveva fatto in due occasioni precedenti (con le delibere del 13 marzo e del 24 luglio 2024. L’ha ripetuto nel Plenum dell’11 dicembre, trovandosi a esaminare la proposta ministeriale di modifica dell’art. 3 del D.M. 217 /2023 (con il quale era stata introdotta l’obbligatorietà del deposito telematico di atti, documenti, richieste e memorie nei procedimenti di archiviazione e nella fase di riapertura delle indagini).
Nello schema di decreto si stabilisce in sostanza che, dal primo gennaio 2025, nell’udienza preliminare e nelle procedure relative al giudizio abbreviato, all’applicazione della pena su richiesta delle parti, al giudizio immediato e all’emissione del decreto penale i soggetti che vi sono abilitati dovrebbero provvedere a depositare atti, documenti, richieste e memorie esclusivamente con modalità telematiche, salve ben individuate eccezioni per le quali viene previsto il “doppio binario” (modalità telematica/modalità non telematica).
Il fatto è che l’apposito studio operato dal gruppo di analisi costituito in seno al Consiglio sotto il coordinamento della STO ha riscontrato numerosi e significativi difetti dell’applicativo che lo rendono ancora inidoneo a gestire fluidamente un settore strategico quale è la giurisdizione penale!
Solo per fare alcuni esempi, il flusso relativo al rito abbreviato e quello relativo al procedimento per decreto sono attualmente inesistenti all’interno dell’applicativo; nel rito ex art. 444 c.p.p., nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato, mancano strumenti affinché le parti o il giudice possano avvalersi di proprie prerogative di legge; non vi è traccia di una serie di flussi nell’ambito del procedimento con messa alla prova; nell’udienza preliminare, dal lato gup, l’unico atto riferibile è il verbale d’udienza (atto di cancelleria) e i tentativi di formare l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare producono un atto mancante del titolo e pieno di indicazioni erronee, con imprecisioni addirittura nella stessa imputazione; senza dire che vengono dimenticati i tratti di dinamismo e oralità dell’udienza preliminare, nella quale possono intervenire richieste di riti alternativi o di integrazioni istruttorie; risulta, inoltre, impraticabile l’immediata applicabilità nella fase dibattimentale dell’obbligo per i soggetti abilitati non solo interni, ma anche esterni (i difensori delle parti private), del deposito di atti, documenti richieste e memorie “esclusivamente con modalità telematiche”.
Quelli così sinteticamente esposti sono difetti emersi dalla concreta rilevazione nell’esperienza quotidiana degli uffici giudiziari interessati.
Ancora una volta, dunque, il Consiglio è pervenuto alla conclusione che sia assolutamente auspicabile quanto meno una diversa regolazione temporale dell’entrata in vigore delle disposizioni modificative dell’art. 3.
D’altro canto, non abbiamo mancato di sottolineare le serissime perplessità destate dalla circostanza che nessuno dei flussi e dei riti per i quali a partire dal primo gennaio del 2025 sarebbe prevista l’obbligatorietà sia stato a oggi oggetto di sperimentazione negli uffici. Mancanza di adeguata sperimentazione significa mancata verifica di funzionalità, significa impossibilità di prevedere disfunzioni operative gravi, significa fare un vero e proprio salto nel buio che la giustizia penale non può davvero concedersi, pena pericolose defaillance anche in riti che possono riguardare imputati sottoposti a misure cautelari (“…appare estremamente problematico immaginare che, in assenza di una adeguata fase di sperimentazione, la trasmissione telematica tramite APP divenga obbligatoria per la gestione di flussi processuali delicatissimi e sottoposti a termini previsti a pena di nullità…”; così si legge nella relazione sull’informatica giudiziaria approvata dal CSM con la delibera del 24 luglio).
In questo quadro l’estensione più ampia possibile del regime di doppio binario, già previsto in alcuni casi, è misura minimale, specie ove sia più frequente la presenza di imputati sottoposti a misura cautelare oppure con riferimento alle produzioni documentali nel corso dell’udienza preliminare e dibattimentale.
Si palesa peraltro il rischio che il sistema come attualmente concepito possa rallentare e complicare lo svolgimento dei processi in un momento in cui dovrebbe, invece, essere massimo lo sforzo per l’abbattimento dell’arretrato in ottica PNRR.
Ma ciò che più stupisce – e non ne abbiamo fatto mistero nei nostri interventi in Plenum – è l’atteggiamento assunto dai consiglieri laici di fronte al problema; è la diffidenza con la quale, ancora una volta viene valutata la posizione della magistratura rispetto a criticità tema che, ci sembra, sono invece oggettive, indiscutibili e non negate da alcuno.
Il rispetto fra poteri dello Stato, l’apertura al dialogo e la disponibilità al confronto tra le istituzioni sono valori che riteniamo di assoluta importanza e che abbiamo cercato e cercheremo ancora di perseguire, continuando a lavorare in tale direzione. Diventa però difficile misurarvisi se non si riesce a trovare un punto d’incontro nemmeno sui dati obiettivi. Non parliamo qui di alti ideali di politica giudiziaria, non parliamo delle profonde riforme costituzionali all’orizzonte, parliamo, molto più banalmente, di mezzi, parliamo di strumenti, parliamo di gestione del quotidiano della complessa macchina giudiziaria.
Parliamo, in definitiva, dell’art. 110 della Costituzione che riserva al Ministro della Giustizia l’organizzazione ed il funzionamento dei servivi relativi alla giustizia.
E’ incontrovertibile, per citare un caso eclatante, il fatto che per l’ordinario giudizio dibattimentale di primo grado sia stabilito da subito l’obbligo del deposito di atti con le sole modalità telematiche quando nelle aule mancano i dispositivi che lo permettano.
In una dialettica davvero sana e costruttiva non ci dovrebbe essere spazio per negare verità così clamorosamente evidenti, per sostenere contrasti di sorta, in presenza di chiari ed evidenti inefficienze tecniche di un applicativo informatico, incapace di garantire il corretto funzionamento di un sistema.
Ed è per questo che anche in Plenum abbiamo severamente ribadito la richiesta di essere ascoltati senza pregiudizi di sorta e senza perpetrare l’idea di uno scontro permanente fra politica e magistratura.
La magistratura merita rispetto e deve essere messa nelle condizioni di lavorare con adeguati strumenti, capaci realmente di rappresentare un ausilio per un miglioramento qualitativo e quantitativo della risposta giudiziaria.
Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello