Diario dal Consiglio del 29 aprile 2023
Incompatibilità ambientale, un’archiviazione discutibile
Con una soluzione che non abbiamo condiviso, il Plenum ha deliberato a maggioranza di mutare l’indirizzo del CSM nella determinazione del momento da cui il termine di durata del procedimento per incompatibilità ambientale ex art. 2 L.G. riprende a decorrere una volta venuta meno la causa – processo penale o disciplinare pendente nei confronti dello stesso magistrato – per la quale era stato sospeso.
È stato stabilito che tale momento coincida con la data in cui la Prima commissione riceva la comunicazione della definitività della decisione adottata in quel processo. Fino a oggi invece il CSM aveva ritenuto che la riattivazione del procedimento per incompatibilità ambientale dovesse essere sancita da un provvedimento espresso di riavvio, in piena simmetria con l’atto che aveva dichiarato l’insorgenza della causa di sospensione.
Ragioni giuridiche e circostanze di fatto relative alla fattispecie concreta convergevano nella direzione della conferma di questo consolidato indirizzo consiliare. Le prime si riconducono essenzialmente alla natura non disciplinare del procedimento per incompatibilità ambientale e alla centralità dell’interesse che vi è tutelato, il quale attiene al prestigio dell’Amministrazione e giustifica un’auto-regolamentazione della procedura una volta che vengano rispettati i principi della legge n. 241/1990. Le circostanze di fatto emerse nel caso di specie suggerivano comunque una soluzione diversa da quella adottata, per l’incertezza della data in cui la Prima commissione aveva in concreto ricevuto la notizia della cessazione della causa sospensiva.
La delibera votata a maggioranza ha comportato l’archiviazione di una procedura delicata e rischia di accomunare nello stesso destino molte altre pratiche pendenti presso la Prima commissione.
Nel Plenum del 26 aprile è stata trattata la pratica di trasferimento per incompatibilità ambientale del presidente di un tribunale del nord Italia. La decisione si è concentrata tutta su questioni procedurali, dopo che la Commissione – a maggioranza e col solo voto contrario di Francesca Abenavoli – aveva proposto l’archiviazione del procedimento per perenzione, ritenendo decorso il termine fissato per la fase conoscitiva ed istruttoria. Sarebbe decorso, in particolare, il termine di durata del procedimento residuato dopo la sospensione dovuta alla concomitante pendenza di un procedimento disciplinare.
Nell’adunanza plenaria, chiamata dunque a decidere sull’archiviazione o, come da noi richiesto, sul ritorno in Commissione, si sono contrapposte due tesi: quella di maggioranza, per la quale a seguito della sospensione il termine ricomincia a decorrere dal momento in cui il passaggio in giudicato della sentenza è portato a conoscenza della Commissione; e quella alternativa, secondo cui per riattivare l’iter della pratica occorre un provvedimento espresso con il quale la Commissione, come peraltro avvenuto finora, preso atto della definitività della sentenza e dell’assenza di ulteriori cause sospensive, revochi la sospensione precedentemente disposta.
A nostro parere tale provvedimento si rende necessario in quanto consente, così come avviene per l’avvio del procedimento, la migliore organizzazione dei lavori di Commissione che deve essere consapevole che i termini ricominciano a decorrere (nel caso di specie i componenti della Commissione ne erano all’oscuro), che deve potere assumere decisioni conoscendo le motivazioni della decisione definitiva (nel caso di specie non vi era in atti neppure il dispositivo) ed essere messa nelle condizioni di giungere ad un risultato nel merito (anche quando, in ipotesi, i termini residui si riducano a pochi giorni).
Occorre infatti tenere conto che si tratta di un procedimento il quale, per un verso, attiene alla concreta tutela del prestigio dell’amministrazione giudiziaria, incarnato da un esercizio della giurisdizione che sia e appaia indipendente e imparziale; per altro verso, esso vede il Consiglio titolare di una piena potestà regolamentare, prevista dalla stessa norma dell’art. 2 L.G. e che trova un limite solo nella necessità di rispettare le disposizioni generali della legge n. 241/90 sul procedimento amministrativo.
L’adozione di un provvedimento espresso di riavvio della procedura (espressione del principio dell’actus contrarius) avrebbe tra l’altro evitato un inconveniente: la comunicazione della definitività della sentenza è avvenuta infatti tramite un foglio a firma del magistrato segretario della Sezione disciplinare e contenente la data di redazione, privo però di data certa. Soltanto in data 10.3.2023 la comunicazione è stata inserita nel registro elettronico.
È dunque da questo momento che vi è un elemento certo di conoscenza; e se esso fosse stato assunto come riferimento per il riavvio, il termine residuo non sarebbe ancora decorso e la procedura non potrebbe dirsi perenta.
In secondo luogo, a tale comunicazione non era allegato neppure il dispositivo della sentenza disciplinare, che è stata integralmente acquisita solo lo stesso 10 marzo.
Queste circostanze dimostrano la debolezza della tesi che abbiamo avversato, la quale solo in apparenza ancora a un momento certo – la data di trasmissione alla Prima commissione della comunicazione della cessazione della causa sospensione – la riattivazione del procedimento. V’è dunque una mera parvenza di garanzia, a fronte della quale il CSM rinuncia per contro ad accertare l’incompatibilità ambientale e, dunque, l’esistenza d’una lesione al prestigio dell’autorità giurisdizionale.
Dunque gli stessi fautori di quella tesi avrebbero avuto motivo, almeno in punto di fatto, per ritenere che i termini del procedimento riprendessero a decorrere solo dal 10 marzo, così consentendo al Consiglio di affrontare nel merito la questione relativa alla posizione del magistrato. In definitiva, se si intende ricondurre la ripresa dell’iter procedurale alla notizia della cessazione della causa di sospensione, è necessario che sia garantita la certezza della data di tale notizia.
Abbiamo comunque proposto, già nella discussione in Plenum, una modifica della circolare che disciplina il procedimento ex art. 2 legge guarentigie: la Commissione all’unanimità ha votato l’apertura di una pratica in tale senso. Abbiamo anche iniziato una doverosa e attenta attività di monitoraggio delle pratiche sospese al fine di evitare che le stesse si risolvano con provvedimenti estintivi in rito, piuttosto che in valutazioni nel merito delle situazioni critiche portate all’attenzione della Commissione.
Dopo una discussione che ha affrontato anche le implicazioni di rilievo costituzionale e di rapporti tra i diversi beni tutelati nella fattispecie, il Plenum ha deliberato a maggioranza l’archiviazione (con i voti dei consiglieri Bianchini, Bisogni, E. Carbone, Cassano, Cilenti, D’Auria, D’Ovidio, Forziati, Giuffrè, Laganà, Marchianò, Mazzola, Miele, Mirenda, Natoli, Nicotra, Paolini, Scaletta). Per il ritorno in Commissione avevano votato Abenavoli, Basilico, M. Carbone, Chiarelli, Cosentino, Fontana, Miele, Morello, Papa e Romboli.
Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello