Diario dal Consiglio del 28 ottobre 2023
Rigore, ma nel rispetto delle finalità, per le valutazioni di professionalità
Nel Plenum del 18 ottobre sono state approvate a maggioranza due proposte di delibera della Quarta commissione con le quali si è espresso un giudizio negativo in relazione al superamento della settima e della sesta valutazione di professionalità di due colleghi, per la mancata sussistenza dei prerequisiti dell’indipendenza, dell’imparzialità e dell’equilibrio.
Per entrambe le pratiche, a fronte di pareri positivi espressi all’ unanimità dai rispettivi Consigli giudiziari, la commissione ha valutato il contenuto delle conversazioni intercorse, mediante l’applicativo whatsapp, tra i colleghi in valutazione e Luca Palamara, all’ epoca componente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Come è noto, tali conversazioni sono state acquisite dalla procura di Perugia nell’ambito del procedimento penale nei confronti dell’ex consigliere Palamara e trasmesse al CSM per le proprie valutazioni di competenza.
Nei casi esaminati, si trattava in concreto di conversazioni con le quali i due colleghi in valutazione avevano contattato il dott. Palamara in ragione del forte legame di natura associativa esistente tra loro, al fine di promuovere se stessi oppure altri colleghi del territorio appartenenti allo stesso gruppo associativo di riferimento, nell’ambito delle procedure di nomina per incarichi direttivi o semi-direttivi, e finanche per ottenere informazioni o consigli difensivi in merito a procedimenti disciplinari, per i quali erano interessati, in un caso, lo stesso magistrato, e in altro caso, un collega del territorio.
Tali comportamenti sono stati valutati dalla Quarta commissione sulla base di criteri prefissati all’inizio di questa consiliatura, tenendo conto anche di precedenti decisioni assunte, sia in sede consiliare che dalla commissione disciplinare, sul medesimo tema delle chat trasmesse dalla procura della Repubblica di Perugia.
In particolare, in entrambi i casi in esame, è stata valutata la circostanza che si trattava di numerosi messaggi inviati in un prolungato arco temporale, coi quali i due magistrati, oltre a promuovere sé o altri colleghi del territorio, esprimevano anche commenti negativi su altri candidati essendo ispirati a evidenti logiche di appartenenza, tali da costituire una evidente “sponsorizzazione” dell’uno a detrimento di altri.
Tale condotta, gravemente e abitualmente scorretta, concretizza, a giudizio della commissione, proprio l’elemento di discrimine tra l’interlocuzione lecita e l’indebita ingerenza e appare, in più, tanto rilevante da elidere anche la possibilità di qualificarla in termini di scarsa rilevanza.
Invero, tali interlocuzioni risultano senza dubbio idonee, foss’anche astrattamente, a turbare il corretto svolgimento dell’azione amministrativa del Consiglio Superiore nella scelta del magistrato cui conferire l’incarico. Ancora più gravi sono state ritenute quelle avvenute col dott. Palamara nella veste di componente della sezione disciplinare, in considerazione dalla natura giuridica della stessa quale organo giurisdizionale.
Pur non essendo, questi, presidente o estensore della motivazione, subì indubbiamente, come recettore di segnalazioni da parte di magistrati direttamente interessati e a lui legati da costanti rapporti, una pressione esterna che poteva influenzare la formazione del suo libero convincimento, pressione per di più ingiustificata, perché proveniente da soggetti estranei al consesso giudicante (e in uno dei due casi direttamente dal collega sottoposto al procedimento disciplinare).
Nel loro complesso tali comportamenti implicano, in definitiva, una negativa ricaduta sulla indipendenza, restituendo l’immagine di magistrati che, nel giudizio e nelle condotte, appaiono fortemente condizionati da rapporti personali, vincoli territoriali e logiche di appartenenza. Sono dunque azioni indicative di una seria incapacità di gestione delle proprie aspirazioni e ambizioni e, in quanto tali, incompatibili con l’equilibrio e il senso della misura che devono costantemente connotare la condotta del magistrato.
Lungi dall’esaurire i loro effetti nell’arco temporale in esame e nell’ambito degli episodi contestati, i comportamenti accertati risultano caratterizzati – per numero, modalità, gravità, durata e toni nonché per la tipologia degli scopi di volta in volta perseguiti – da un disvalore tale da indurre ragionevolmente ad affermare, secondo l’id quod plerumque accidit, l’attitudine ad incidere, anche successivamente, sul corretto esercizio dell’attività giurisdizionale, poiché disvelano una costitutiva mancanza di equilibrio e indipendenza.
In una delle due delibere, tenuto conto che il magistrato in valutazione, per le medesime condotte era stato sottoposto a procedimento disciplinare all’esito del quale gli era stata comminata la sanzione della censura, è stata anche affrontata la questione del rapporto tra procedimento disciplinare e valutazione di professionalità. Si è evidenziato che non esiste, com’è noto (cfr. capo XII, n. 3, circ. 20691/2007), alcun automatismo, nell’una o nell’altra direzione, tra sentenza disciplinare ed esito del procedimento di valutazione della professionalità: la prima sindaca condotte specifiche e tipizzate in funzione dell’applicazione di una sanzione e a tutela dell’immagine e del prestigio della magistratura; la valutazione di professionalità del magistrato investe la verifica della permanenza dei presupposti della legittimazione all’esercizio delle funzioni giudiziarie, declinata alla luce dei prerequisiti e dei parametri della professionalità che vengono vagliati alla luce dell’attività in concreto esercitata per un intero quadriennio.
Allo stesso modo, nessuna interferenza è ravvisabile tra procedimento ex art. 2 R. D. lgs. n. 511/1946 e valutazione di professionalità: a prescindere dalla definizione, favorevole o meno, dell’una o dell’altra procedura, trattasi, infatti, di istituti connotati da presupposti strutturali, profili funzionali e scopi istituzionali oggettivamente diversi (CdS n. 3712/2012, n. 6417/2011, n. 5783/2019).
Alla luce di ciò sono state proposte all’unanimità dalla Quarta commissione e poi approvate da Plenum a larga maggioranza, in entrambi i casi, le delibere di non superamento delle valutazioni di professionalità per i due colleghi in questione.
Nella stessa adunanza del 18 ottobre la discussione delle due delibere è stata preceduta da un più ampio confronto tra i consiglieri in ordine all’importanza delle valutazioni di professionalità, alla loro natura e funzione, anche in relazione alle modifiche apportate con la riforma Cartabia.
Il dibattito è stato avviato da un intervento del vicepresidente Pinelli su altra, precedente proposta della Quarta commissione, diretta stavolta a una valutazione positiva di una collega. Nell’ esprimere il proprio voto contrario, il vicepresidente ha posto l’accento sul fatto che il legislatore del 2006, innovando radicalmente il regime delle valutazioni di professionalità, avrebbe perseguito il fine di differenziare i percorsi professionali dei singoli magistrati durante il loro percorso professionale, per permettere al Consiglio di individuare i punti di forza e di debolezza dei singoli magistrati, diversificandone profili e selezionando le eccellenze anche in vista dei successivi eventuali conferimenti di incarichi direttivi e semidirettivi.
Nella discussione che n’è seguita, pur riconoscendosi l’indubbia importanza di momenti di verifica che richiedono serietà e rigore (così come sta avvenendo in Quarta commissione), si è rilevato anche attraverso gli interventi di Geno, Marcello e Antonello, come essi abbiano una finalità diversa. Secondo quanto si desume anche dai principi contenuti nella legge delega, le valutazioni periodiche devono infatti guardare essenzialmente alla permanenza, in capo al magistrato, dei requisiti di legittimazione per l’esercizio delle funzioni giudiziarie, alla luce dell’attività in concreto esercitata nell’intero quadriennio, piuttosto che fondare un giudizio rivolto al percorso professionale e alla prospettiva di nuove funzioni. Quest’ultima è una valutazione che l’ordinamento affida, invece, ad altre procedure, segnatamente quelle per il conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi.
Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello