Diario dal Consiglio del 29 novembre 2023
T.U. sulla dirigenza:
fatti e non parole
È iniziata nel Plenum straordinario del 27 novembre – e si concluderà in altra seduta straordinaria, fissata per martedì 3 dicembre – la discussione del Consiglio sul Testo unico sulla dirigenza giudiziaria.
Sebbene fosse stata appositamente fissata e votata (a larga maggioranza con qualche astensione) una seduta straordinaria per questa discussione, alcuni consiglieri hanno rappresentato l’esigenza di un rinvio per l’assenza, che era già conosciuta alla data del rinvio, di due componenti impegnati in attività extra consiliari concordate in precedenza. Si è pertanto deciso, con il solo voto contrario del consigliere Ernesto Carbone, di procedere alla relazione delle due proposte e all’avvio della discussione, da concludere, con la conseguente votazione, in un altro Plenum straordinario. Soluzione che ci è parsa forzata, ma alla quale abbiamo aderito per dare massima serenità alla decisione sul Testo unico.
Della genesi di tali proposte e della nostra posizione in merito abbiamo trattato nel Diario del 26 ottobre, quando la “terza via” che in quella sede abbiamo preannunciato era ancora solo un’ipotesi di lavoro appena abbozzata. La decisione di provare a coltivare seriamente quella ipotesi, così in ritardo sui tempi e con l’alea che una scelta del genere comportava, mirava a trovare una mediazione capace di evitare una divisione in seno al Consiglio su un tema così rilevante, secondo le sollecitazioni del comitato di Presidenza e, come ricordato dal Vicepresidente nel suo intervento in Plenum, dello stesso Presidente della Repubblica.
Nel tempo che, mano a mano, ci è stato accordato abbiamo elaborato una proposta (divenuta la n. 1) che ha avuto come obiettivo quello di individuare le caratteristiche del nostro dirigente ideale per il posto a concorso, così facendo una prima scelta di campo: selezionare le caratteristiche necessarie alla migliore gestione dello specifico ufficio a concorso. E qui già la prima rilevante differenza con la proposta-punteggi (divenuta la numero 2), per la quale la specificità dell’ufficio da ricoprire è sì presa in considerazione, ma con effetti assai blandi sul risultato finale.
È stato quindi elaborato lo zoccolo duro della proposta.
Per noi il dirigente (di un ufficio direttivo o semidirettivo che sia):
- deve essere un soggetto autorevole nell’esercitare la giurisdizione. Abbiamo quindi dato rilevanza, prima di tutto, al lavoro giudiziario, valorizzando fortemente le esperienze in funzioni e materie omologhe;
- deve avere esperienza di organizzazione, per cui, se in possesso del primo requisito, ne vanno valorizzate le eventuali pregresse attività direttive (di fatto o di diritto); abbiamo tenuto conto anche delle esperienze derivanti dall’aver svolto attività di coordinamento di settori, sezioni o gruppi e dell’esperienza di stabile presidenza dei collegi e pure, sebbene con peso minore, del contributo di coloro che collaborano per il buon andamento dell’ufficio (non solo con deleghe organizzative o in collaborazione con la dirigenza su specifici progetti; la nostra proposta valorizza anche la partecipazione “dal basso” alle responsabilità della dirigenza, attribuendo rilievo all’attiva partecipazione alle riunioni e alle assemblee dell’ufficio e alla documentata collaborazione ideativa e propositiva alla soluzione di problemi dell’ufficio);
- infine, e conseguentemente, per noi il dirigente lavora nella giurisdizione e, quando si crea l’occasione, se lo ritenga utile e stimolante, si propone per posti dirigenziali, senza essere incentivato ad andare a caccia di attività che gli consentano di costruirsi una carriera quasi scollata da quella giurisdizionale. Nella nostra proposta, se, da un lato, la specializzazione è richiesta per l’ufficio semidirettivo, d’altro canto è valorizzata la pluralità delle esperienze per la funzione direttiva.
Inoltre, viene espressa una preferenza per coloro che abbiano concluso gli otto anni di funzioni dirigenziali conferite. In questo modo si sollecitano i magistrati a portare a termine l’impegno assunto passando anche, al momento della domanda per il nuovo incarico, per un ritorno temporaneo alle funzioni di giudice o di sostituto.
Perseguendo queste idee guida, abbiamo quindi concepito una proposta che – non meno dell’altra – anticipasse buona parte dell’esercizio della discrezionalità consiliare nell’identificazione di criteri preselettivi e selettivi.
Sulla falsariga descritta abbiamo proceduto a elaborare due differenti modalità di selezione: una, per la gran parte degli uffici (vi sono tutti i semidirettivi di primo e di secondo grado, i direttivi degli uffici di piccole e medie dimensioni e gli uffici specializzati) che per semplificare si potrebbe definire a imbuto, nella quale ad ogni step si seleziona, nell’ordine predeterminato, chi è in possesso di determinate esperienze; l’altra modalità di selezione (che si applica a direttivi degli uffici di grandi dimensioni, cui sono equiparati tutti gli uffici distrettuali, direttivi di secondo grado, direttivi di legittimità e apicali) è frutto, invece, di una valutazione complessiva ed unitaria di una serie di elementi, specificamente indicati e ordinati in base a un criterio di rilevanza decrescente. Abbiamo, infatti, ritenuto opportuno che, per questo secondo gruppo di funzioni, per le quali si ha legittimazione dopo un maggiore percorso professionale, sia giocoforza più complesso ordinare i fattori significativi. Al loro conferimento si perviene, pertanto, valutando esperienze specifiche e rilevanti in base a un ordine tendenziale che però, con motivazione rafforzata, può essere superato nell’ambito di una valutazione globale.
Per grandi linee questa è la nostra proposta, alla quale, dopo una prima fase di impostazione, abbiamo lavorato insieme ai consiglieri di MI che, a differenza dei sostenitori della proposta fondata sui punteggi, i quali non hanno inteso collaborare per cercare un punto d’incontro, si sono resi disponibili ad un dialogo costruttivo.
Cosa ci viene contestato dai sostenitori della proposta contrapposta?
1) che nell’effettuare una prima selezione in base all’attività giudiziaria svolta, avremmo surrettiziamente introdotto delle fasce di anzianità.
L’obiezione non coglie il fatto che la nostra proposta non fa riferimento alla generica anzianità di servizio, ma alla specifica esperienza di settore/materia e, d’altra parte, che essa introduce un criterio selettivo e non un criterio di legittimazione. Si prevede, infatti, che una prima selezione sia fatta sulla base degli anni di esperienza nel settore e/o nella funzione. Si tratta della prima tappa di una selezione progressiva che, in questo step, ritiene preferibile il concorrente che abbia oltre sei anni di esperienza in più ma si accontenta, e quindi seleziona entrambi, se il secondo concorrente ha un numero adeguato di anni di esperienza (a partire dai 12 anni di medesimo settore e funzioni per un semidirettivo e di 15 anni di esperienza nelle funzioni per un direttivo). Ciò consente, quindi, di fare concorrere per un posto semidirettivo chi ha 12 anni di esperienza in quel settore e in quelle funzioni e chi ne ha 30. Ma consente anche di far concorrere chi ha solo 6 anni di esperienza in quel settore e in quelle funzioni e chi ne ha 12, perché in tal caso la forbice tra i due non supererebbe i 6 anni. A tacere del fatto che la forbice opera anche al di sotto della soglia (se ad esempio un concorrente ha 11 anni e l’altro 4 di esperienza nel settore e nella funzione) e, per converso, non opera se nessuno dei concorrenti ha un’esperienza di almeno 6 anni.
2) che, d’altra parte, avremmo dato alla specializzazione per materie e funzioni un peso tale da preparare la strada alla separazione delle carriere.
L’obiezione sembra confondere i termini del problema: qui non si parla di trasferimenti da una ad altra funzione, ma di conferire un incarico di direzione. E non vediamo come si possa contestare che, per dirigere una procura, sia preferibile una consistente esperienza requirente e, per dirigere un tribunale, sia preferibile una consistente esperienza giudicante: preferibile, ripetiamo, e non indispensabile, giacché, va ribadito, si tratta pur sempre di criteri selezione non di criteri di legittimazione.
Queste critiche, quindi, non colgono nel segno.
La proposta punteggi invece legittima il passaggio diretto del candidato che svolge attività in un settore ad un ruolo dirigenziale in altro settore, sicché egli prevarrà su un concorrente, anche più anziano, che abbia una lunga esperienza in funzioni e settore omologhi del posto a concorso.
Ad esempio (restando nell’ipotesi del concorso per semidirettivi):
se due colleghi dello stesso concorso aspirano a un posto di presidente di sezione civile, chi ha fatto sempre il giudice civile potrebbe essere superato da chi ha fatto sempre penale (indifferentemente, giudicante o requirente), qualora quest’ultimo sia in possesso di un’esperienza semidirettiva (o abbia svolto attività fuori ruolo o, ancora, sia stato componente del consiglio giudiziario, per fare solo qualche esempio).
Ecco il calcolo che conduce a questo risultato.
Il massimo dei punteggi che il giudice civile avrebbe per la specificità delle funzioni è 7,5 (15 anni nell’esercizio delle medesime funzioni con competenza esclusiva (art. 17, co. 1, n. 1, della proposta 2); il concorrente che, invece, ha svolto le proprie funzioni in altro settore, nell’ambito del quale ha ricoperto un incarico semidirettivo, avrebbe il punteggio parametrato alla durata delle funzioni semidirettive svolte sia per il merito che per le attitudini (punteggi fissi parametrati al tempo di permanenza che, per il merito, sono fissati in 0,3 per anno o frazione superiore a sei mesi e, per le attitudini, se avesse svolto funzioni di presidente di sezione penale varrebbero, ai fini di un incarico di presidente di sezione civile 0,5 punti all’anno o frazione) e poi avrebbe la possibilità di ottenere fino a 5 punti per l’efficiente organizzazione del lavoro (art. 13), fino a 4 punti per le capacità organizzative (art. 15), fino a 3 punti per la capacità di analisi ed elaborazione dei dati statistici (art. 16), forse anche fino a 4 punti per le conoscenze ordinamentali, posto che l’elencazione dei soggetti che le possiedono che si rinviene all’art. 19 è dichiaratamente non esaustiva. Si tratta di un range che potrebbe portare tale concorrente a ottenere da 12 a 16 punti variabili ai quali aggiungere quelli fissi (sia per merito sia per attitudini) di cui si è detto sopra, con conseguente possibilità che il concorrente in possesso di esperienza semidirettiva in altro settore prevalga sebbene meno esperto ma anche meno anziano (potrebbe avere una o due valutazioni di professionalità in meno del concorrente che ha sempre svolto funzioni omologhe rispetto a quelle del posto a concorso).
Che la proposta punteggi possa operare nei termini sopra detti sembra confermato dal fatto che il ruolo dirigenziale è pesato, con punteggi diversi, quale che sia l’ambito in cui si è svolto e che le competenze acquisite nel corso dello stesso conferiscono punteggio indipendentemente dall’omogeneità al posto a concorso del settore in cui sono state maturate, essendo statuito che l’attribuzione del punteggio è possibile “indistintamente per tutte le tipologie di uffici”.
La stessa criticità si riscontra nell’ipotesi di un concorrente con esperienza semidirettiva svolta in settore, e addirittura in funzioni, diverse da quelle a concorso: se un aspirante con esperienza, anche dirigenziale, solo nel settore civile volesse concorrere per un posto di procuratore aggiunto, egli avrebbe tutti i punteggi di cui sopra si è detto (solo quelli fissi per le attitudini, invece di 0,5 punti per anno o frazione varrebbero 0,3, ai sensi dell’art. 14, co. 1, n. 1), sicché il civilista inesperto nel penale potrebbe andare a rivestire la funzione di procuratore aggiunto prevalendo su un collega che ha sempre svolto funzioni di pubblico ministero. Quest’ultimo peraltro non potrebbe, pare, neppure giovarsi dei 7,5 punti per aver svolto per 15 anni le funzioni di pubblico ministero, poiché l’ipotesi non sembra contemplata dall’art. 17.
Come si è detto, alle stesse conclusioni si potrebbe giungere nel caso in cui il collega che aspira a dirigere un ufficio differente per settore o funzioni a quello nel quale svolge attività, abbia non un’esperienza semidirettiva ma un’esperienza fuori ruolo. Anche in tal caso, infatti, avrebbe un punteggio fisso da un minimo di 0,3 a un massimo di 0,6 per anno o frazione (art. 14, co. 5), al quale si aggiungerebbe una serie di ulteriori punti, variabili a seconda del tipo di esperienza.
3) che è contraddittorio richiedere per un ufficio semidirettivo un’estrema specializzazione e per uno direttivo la pluralità delle esperienze.
Neanche questa critica ci sembra colga nel segno. Proprio in base a quanto si è detto sopra sull’operatività della forbice di 6 anni (che consente la valutazione di tutti i colleghi che abbiano massimo 6 anni in meno di esperienza rispetto al più esperto e anche di coloro) appare evidente come si possano perseguire entrambi i risultati: certo difficilmente ciò sarà l’effetto della costruzione di una carriera, quanto piuttosto di un bagaglio di esperienze che si accumulano nel corso della vita professionale e rispetto alle quali si possono, a un dato momento, tirare le fila.
• la proposta-punteggi invece, se da un lato consente, come si è visto, di valorizzare esperienze non in linea con il posto a concorso in modo che a noi pare eccessivo, dall’altro, all’art. 18, nel pesare la varietà delle esperienze maturate nell’esercizio dell’attività giudiziaria, esclude che i punteggi (da 0 a 3) possano essere attribuiti a chi abbia svolto funzioni penali se il posto a concorso è un semidirettivo specializzato (lavoro) o con competenza esclusiva in materia civile e, specularmente, che non valgano le funzioni svolte in materia civile se il posto a concorso è al penale; né può essere attribuito tale punteggio a chi abbia svolto funzioni lavoristiche se si tratta di ufficio direttivo presso il Tribunale per i minorenni; e neppure a chi abbia svolto le funzioni di lavoro o di civile per dirigere il tribunale di sorveglianza o per concorsi dirigenziali presso la DNAA.
4) che la nostra proposta “lascia le mani libere”.
È infatti stata contestata l’eccessiva discrezionalità di clausole quali “rilevante entità” usata per rendere ragionevole la selezione tra esperienze dirigenziali svolte in relazione alla durata dell’esperienza e alle dimensioni della struttura. Avevamo inizialmente ragionato in termini di “equivalenza delle esperienze”, ma questa locuzione in un secondo momento ci è parsa a rischio di cavillose e difficili comparazioni. Pertanto abbiamo preferito fornire un criterio di valutazione: le esperienze direttive e organizzative possedute da più concorrenti hanno valenza selettiva solo se la differenza a vantaggio di un concorrente ha carattere di evidenza; dove residui il dubbio, perché ad esempio un concorrente ha svolto funzioni di semidirettive in un grande ufficio per 4 anni e l’altro in un piccolo ufficio per 7 anni, l’indicatore risulta inidoneo a selezionare i due concorrenti, sicché si passa in ordine logico all’indicatore successivo.
Ci piacerebbe rendere più chiari i casi in cui opera la selezione ma si finirebbe per ingabbiare eccessivamente le esperienze e renderne una prevalente o equivalente per piccoli scarti e con grandi complicazioni.
• la proposta-punteggi invece è rigida nell’attribuzione dei punti per il merito e per le pregresse esperienze direttive e semidirettive seppure, così come avviene anche per la nostra proposta, non possa non tenere conto dei risultati conseguiti in termini qualitativi e quantitativi e dell’esito delle eventuali ispezioni. Per il resto, lo spazio discrezionale è ampio e foriero di equivoci e diverse interpretazioni:
- si stabiliscono dei punteggi fissi in relazione alle esperienze direttive o semidirettive svolte parametrate agli uffici in concorso, ma, in questa operazione relativa agli uffici direttivi superiori di legittimità e a quelli apicali si prevedono dei punteggi aggiuntivi rispettivamente fino a 7 punti e fino a 10 punti “per ogni altra positiva esperienza, anche maturata al di fuori della giurisdizione” (art. 14, c. 2). Ci pare la riprova di come, rispetto a determinati uffici, per le ragioni espresse sopra, sia necessario valutare il profilo del candidato nel suo complesso. Segnaliamo che nella proposta senza punteggi vi è una specifica elencazione delle esperienze rilevanti, enunciate nel loro ordine di rilevanza (seppure una rilevanza tendenziale, nei termini e per le ragioni di cui si è detto);
- all’art. 17 si attribuiscono punteggi fissi per specifiche competenze rispetto agli incarichi per i quali è richiesta una particolare specializzazione, ma ogni singolo ufficio preso in esame, accanto a punti fissi (in genere molto contenuti) per il periodo di esercizio di un determinato tipo di funzioni, inserisce una clausola aperta (es. al comma 1.1 e 1.2 lett. “c) fino a 2,5 punti per ogni altra specifica competenza, anche maturata al di fuori della giurisdizione, nonché valorizzando il pregresso svolgimento di funzioni in grado di appello, specie se accompagnato dalla stabile presidenza di collegi”; ovvero ancor più vaga, come al punto 1.3 lett. “b) fino a 2,5 punti per ogni altra specifica competenza, anche maturata al di fuori della giurisdizione, afferente al settore di specializzazione” e così via, giungendo, per la DNAA, a prevedere fino a 5 punti “per ogni altra specifica competenza, anche maturata al di fuori della giurisdizione”;
- ci sono poi i punteggi variabili, nel senso che sono determinati nel massimo ma non sono indicate con rigore né le esperienze che consentono l’attribuzione del punteggio né in base a quali criteri collocarsi all’interno del range. Tali punteggi hanno anche il difetto di comportare duplicazioni, cioè di consentire la valutazione di una medesima esperienza a più riprese. Ad ogni buon conto punteggi variabili sono previsti:
- dall’art. 15 per le capacità organizzative (massimo 4 punti)
- dall’art. 16 per la capacità di analisi ed elaborazione dati statistici (massimo 3 punti)
- dall’art. 18 per la varietà delle esperienze nel lavoro giudiziario (massimo 3 punti)
- dall’art. 19 per conoscenze norme ordinamentali (massimo 4 punti)
- dall’art. 20 per svolgimento di attività formative (massimo 3 punti per uffici semidirettivi e di legittimità e massimo 2 punti per gli altri uffici)
- dall’art. 21 per le capacità relazionali nei rapporti interni all’ufficio e all’esterno con gli interlocutori istituzionali (massimo 2 punti).
Rispetto a tali punteggi la critica non è legata al fatto che comportino l’esercizio di discrezionalità, quanto piuttosto che questa non sia guidata e si presti a facili adattamenti nel caso concreto, così riportandoci proprio al punto dal quale volevamo allontanarci: non più la prevalenza di un indicatore su un altro, ma di punteggi all’interno dei diversi parametri.
Nel dibattito dell’adunanza di mercoledì sono intervenuti Maurizio Carbone, quale relatore della proposta 1, poi, tra gli altri, Francesca Abenavoli, Tullio Morello, Antonello Cosentino e Marcello Basilico. Riteniamo ancora che – nella consapevolezza che nessun testo è e potrebbe essere perfetto – si sarebbe potuto lavorare tutti sulla proposta 1. Non sarebbe stato un modo per far sì che “tutto cambi perché nulla cambi” (lo dimostra il carattere profondamente innovativo dei due testi oggi contrapposti), quanto piuttosto il tentativo di partire dall’esperienza positiva delle pratiche che in Consiglio avevano consentito il raggiungimento di una unanimità quasi scontata per provare a riproporre uno schema analogo, così da rendere il percorso selettivo generale più rigoroso. L’opzione di riadattare la proposta 2 ha incontrato l’ostacolo rappresentato dall’indisponibilità di alcuni membri del Consiglio e, per noi che pure ci eravamo accostati a questa soluzione senza pregiudizi, la difficoltà di stravolgerne l’impianto.
Resta il fatto che nessun metodo può considerarsi salvifico, poiché a dare credibilità alle scelte consiliari devono concorrere la coerenza e il senso di responsabilità di coloro che sono stati eletti (e non sorteggiati, non a caso) per adempiere a una funzione delicata in un organo di rilievo costituzionale.
Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello
Plenum straordinario del 27 novembre 2024
Intervento di Maurizio Carbone
Mi associo preliminarmente alle parole del Presidente Ernesto Carbone sulle modalità di lavoro della V commissione con un ringraziamento a tutti i componenti anche nella precedente composizione.
Abbiamo tutti lavorato per cercare di elaborare un T.U. che sapesse rispondere alle esigenze di trasparenza, leggibilità e prevedibilità delle nomine consiliari. È bene chiarire subito che questo è stato l’obiettivo comune di coloro che hanno lavorato ad entrambe le proposte. Come è noto, nel corso dei lavori si è anche cercato di addivenire ad una proposta di mediazione che potesse essere accolta da tutti in modo da presentare in Plenum una proposta unitaria su tema così delicato, ma questo alla fine non è stato possibile tanto che oggi siamo chiamati a discutere su due proposte.
Sappiamo come la riforma dell’ordinamento giudiziario, che ha segnato il superamento del sistema di progressione in carriera fondato sulla mera anzianità e il passaggio a un modello fondato sulla valutazione del merito, ha reso sempre più delicato il tema delle nomine agli incarichi direttivi e semidirettivi, tanto da alimentare nel tempo forti tensioni tra i colleghi e un diffuso malcontento nei confronti dell’ organo Consiliare che si è trasformato, poi, in una profonda sfiducia con gli eventi che hanno caratterizzato la nota vicenda dell’ Hotel Champagne, a seguito delle chat estrapolate dal telefono cellulare dell’ex consigliere Palamara, che hanno disvelato un sistema distorsivo delle nomine, che ha fortemente delegittimato l’ organo di auto-governo della magistratura, e il cui contenuto ancora continua ad occupare i lavori di questo Plenum.
Abbiamo pertanto lavorato in questi mesi, ben consapevoli di questa sentita esigenza di trasparenza e certezza delle procedure di nomina dei dirigenti degli uffici, cercando anche di trovare una sintesi unitaria, ove possibile, ma comunque con questo comune obiettivo.
La necessità, ormai indiscutibile, di avviare una riforma che possa garantire una maggiore trasparenza, leggibilità e prevedibilità nelle procedure di nomina, non può, però, prescindere dai risultati raggiunti negli ultimi anni. I dati mostrano che, nel 2023, il Consiglio ha trattato 154 pratiche, raggiungendo un'unanimità nel 79% dei casi. Per quanto riguarda gli uffici direttivi, su 69 pratiche esaminate, 54 decisioni sono state unanimi, ben il 78%. Negli uffici semidirettivi, su 85 pratiche, 68 hanno visto il raggiungimento dell'unanimità, pari all'80%.
Nel 2024, ancora, si registra un calo della percentuale complessiva di unanimità, scesa al 63%, a fronte di un aumento del numero totale di pratiche esaminate, che raggiunge le 172. Per gli uffici direttivi, su 75 pratiche trattate, il 53% delle decisioni (40 casi) è stato unanime. Per gli uffici semidirettivi, su 98 pratiche, il 69% delle decisioni (68 casi) ha raggiunto l'unanimità.
Questi dati riflettono sia la crescente complessità delle procedure sia le modalità di lavoro del Consiglio.
Nel lavoro di sintesi si è voluto anche non trascurare un altro aspetto che pure era stato già paventato nel corso dell’elaborazione dell’attuale TU, anch’esso ricordiamolo nato – leggo testualmente dalla relazione di quel testo - “nella prospettiva di garantire le esigenze di trasparenza, comprensibilità e certezza delle decisioni consiliari”, ovvero l’ esigenza di preservare l’autonomia valutativa del CSM, evitando di introdurre nelle procedure selettive criteri che finissero per irrigidire oltremodo la discrezionalità amministrativa di un organo di rilevanza costituzionale.
Un eccessivo irrigidimento infatti, costituirebbe non solo uno svilimento delle funzioni proprie del Consiglio, ma rischierebbe anche di delegare di fatto, ad altri soggetti, in primo luogo ai dirigenti degli uffici, con i loro rapporti informativi, i poteri di scelta, relegando il CSM a un ruolo quasi di “presa d’atto” di carriere magari pre-confezionate, così svilendo le garanzie costituzionali che sono alla base del sistema di governo autonomo, incentivando le distorsioni che derivano dal c.d. “carrierismo”.
È anche per questo motivo che abbiamo optato per una proposta che pur comportando evidenti auto-vincoli – come meglio si dirà – alla discrezionalità del Consiglio, non si irrigidisce nella indicazione certamente più arida e a nostro parere anche meno leggibile di punteggi, ma che valorizza attraverso precisi indicatori, distinti in principali e sussidiari, le esperienza del concreto lavoro giudiziario, il merito e le attitudini organizzative in relazione alle diverse tipologie di Ufficio.
In particolare, si è realizzato un meccanismo di selezione che consente di operare la scelta con criteri pressoché automatici nel caso di incarichi semi-direttivi o direttivi di uffici piccoli sia giudicanti sia requirenti (semidirettivo di primo grado, semidirettivo di secondo grado, direttivo di piccole dimensioni, uffici specializzati).
Per semplificare, si tratta di un sistema “ad imbuto” nel quale si valorizzano in primo luogo gli anni di esperienza giudiziaria – che per i semidirettivi sono esperienze nel settore (civile, lavoro o penale) e nella funzione (giudicante o requirente) mentre per i direttivi sono esperienze nella funzione (perché viene valorizzata un’esperienza in settori diversi).
Le esperienze nel lavoro giudiziario e nell’organizzazione giudiziaria ritenute rilevanti ai fini del conferimento di ciascun incarico sono indicate negli artt. da 15 a 24.
Tali esperienze sono definite come “indicatori attitudinali principali”. Agli artt. 25 ss. sono invece individuate le ulteriori esperienze rilevanti come “indicatori attitudinali sussidiari”, per la sola ipotesi di equivalenza o assenza degli indicatori principali, secondo una gerarchia tra le due categorie.
Viene, così, superata la distinzione tra indicatori generali e specifici, di cui al vigente T.U., che aveva ingenerato dubbi interpretativi e talune criticità applicative. È altresì chiarito che il rapporto tra indicatori principali e sussidiari avviene in termini di prevalenza dei primi, in quanto calibrati sulle specificità dell’ufficio a concorso.
Solo successivamente, ossia una volta valutato, nei termini anzidetti, il lavoro giudiziario, rilevano le pregresse esperienze dirigenziali e di collaborazione. In particolare, per alcuni incarichi – semidirettivi di primo grado (art. 15), semidirettivi di secondo grado (art. 16), direttivi di primo grado di piccole e medie dimensioni (art. 17) e direttivi specializzati nel settore minorile e della sorveglianza (art. 19) – la procedura di selezione è improntata a un tendenziale automatismo nell’ottica della ragionevole limitazione della discrezionalità dell’Organo di governo autonomo, secondo un meccanismo che nel dettaglio verrà indicato dal relatore Paolini.
In nessun caso, comunque, l’esperienza giudiziaria specifica può essere ritenuta recessiva rispetto alle collaborazioni di rango minore.
Maggiore discrezionalità tecnica viene invece prevista solo per gli incarichi di maggiore rilievo.
Per gli incarichi direttivi di uffici primo grado di grandi dimensioni (art. 18), direttivi di secondo grado (art. 20) e di legittimità (artt. 21, 22 e 23), direttivo e semidirettivi in DNAA (art. 24) è previsto invece un elenco di esperienze, dal rilievo secondo un ordine decrescente, ma tutte da considerare ai fini di un giudizio complessivo e unitario. In altri termini, sono individuate delle esperienze indicative di attitudine direttiva e, in relazione alle stesse, è posto un ordine di tendenziale preferenza. Anche in questo caso rimando al collega Paolini per gli aspetti di dettaglio.
La previsione, soltanto in questi casi, di un ordine “attenuato” di criteri orientativi – da applicarsi comunque all’esito di un preliminare e oggettivo apprezzamento delle professionalità a concorso, in relazione al lavoro giudiziario (e con le stesse rigorose modalità innanzi viste per gli altri incarichi) – risponde all’esigenza di preservare margini più ampi di discrezionalità tecnica in capo al Consiglio – pur nella già richiamata ottica di una sua ragionevole limitazione – con riferimento a talune tipologie di incarichi di maggiore rilievo.
Nel passare la parola al Consigliere Paolini voglio concludere con una osservazione finale.
Non credo che l’autorevolezza del Consiglio possa recuperarsi solo attraverso la previsione di ulteriori auto-vincoli, ma deve passare soprattutto attraverso la coerenza e la trasparenza dei comportamenti di chi è chiamato a ricoprire il delicato incarico di componente del Consiglio. Non esistono altre ricette, non esistono interventi salvifici in tal senso.
Occorre inoltre il diffondersi di una cultura per la quale le legittime aspirazioni dei candidati non possono trasformarsi in una incontrollata ansia di carriera: la nomina alla dirigenza di un ufficio non può essere considerata né vissuta come un premio alla carriera, ma deve rispondere a un effettivo bisogno di efficienza del sistema nell’ interesse della migliore funzionalità e organizzazione degli uffici in relazione alla loro tipologia.
Non è un caso che in questi anni l’attenzione di tutti i colleghi si sia concentrata quasi esclusivamente sul tema delle nomine dei direttivi, quasi che il compito del CSM sia solo quello di assegnare incarichi, dimenticando il suo ruolo ben più complesso e fondamentale nell’organizzazione del lavoro giurisdizionale.
Credo che su questo terreno ci sia ancora molto da lavorare e mi auguro, ma ne sono certo, che utili indicazioni in tale direzione possano venire anche dal contenuto della discussione che si svilupperà oggi in Plenum.
Grazie
Intervento di Francesca Abenavoli
Intervento di Tullio Morello
Abbiamo da tempo auspicato l’approvazione di un nuovo testo unico, specialmente quando ci siamo trovati a gestire nomine oggetto di controversie. Come ha giustamente sottolineato Maurizio Carbone, è vero che tre quarti delle nomine in questa consiliatura sono state fatte all'unanimità, ma un terzo no. E in quella pur limitata percentuale abbiamo spesso riscontrato problemi più volte evidenziati e denunciati, problemi per i quali il vecchio testo unico non forniva adeguati strumenti di gestione.
L’enfasi eccessiva sulle nomine è sotto gli occhi di tutti. Ogni giorno, basta aprire la rassegna stampa per notare che si parla quasi esclusivamente di questo. E mentre il Consiglio prende migliaia e migliaia di decisioni ogni mese, spesso molto più delicate della nomina di un dirigente, ogni decisione di un bando per direttivo viene vivisezionata e finisce con il generare fisiologici malcontenti tra coloro che non vengono scelti. Questo crea tensioni.
Signor vicepresidente, anche la maggioranza silenziosa e operosa dei nostri colleghi alla quale lei ha fatto riferimento nel suo intervento, spesso risente di queste tensioni.
Accade che chi non viene selezionato esprima il proprio disappunto negli uffici, sulle chat, sulle mailing list, e questo non aiuta nessuno.
La scelta di un dirigente, difficile in sé, si basa su prognosi incerte; molte capacità si rivelano realmente solo sul campo. È per questo che le procedure di conferma a mio giudizio dovrebbero avvenire ogni due anni e non ogni quattro, per evitare che un dirigente inadeguato possa causare danni significativi irrecuperabili dopo 4 anni.
È vero che è facile intuire dalle carte chi sicuramente non sarà o non sarebbe un buon dirigente. Ma chi invece lo sarà lo potremo sapere con certezza solo ex post e non dai curricula. La nostra scelta soprattutto con le fonti attualmente previste è poco efficaci sarà sempre aleatoria.
In questa consiliatura con la circolare sulle tabelle e con quella sull’organizzazione degli uffici di Procura, abbiamo promosso la “dirigenza partecipata”, coinvolgendo tutti i magistrati nella gestione degli uffici. Questo potrà migliorare l’operato dei dirigenti e allo stesso tempo potrà fornire al Consiglio elementi utili per valutare le capacità organizzative dei colleghi che aspirano a incarichi direttivi e semidirettivi.
Ebbene, da tre settimane si è generata una singolare competizione tesa a promuovere le due proposte di nuovo testo unico ciascuna come la più restrittiva in termini di discrezionalità del Consiglio, come se la discrezionalità fosse un disvalore.
Ma devo sottolineare che entrambe presentano margini di discrezionalità significativi. Anche la proposta B che abbiamo ascoltato poc’anzi come quella che determinerà scelte automatiche e trasparenti in realtà prevede ben 12 ipotesi specifiche di punteggio altamente variabile in un range tale da risultare decisivo. E prevede anche non poche ipotesi di cumulabilità di punteggi per le varie esperienze sovrapponibili vantate dal candidato nel corso della sua carriera.
Voglio esprimere il mio sincero ringraziamento alla Quinta commissione per il lavoro svolto comunque con serenità e dedizione. Ma il mio ringraziamento più sentito va al Presidente della Repubblica. Il suo invito a cercare l'unità, che ci è stato autorevolmente ricordato anche oggi, mi ha aiutato a capire che la mia iniziale inclinazione verso la proposta basata sui punteggi era errata.
Mi ha permesso di riconsiderare in modo più efficace la proposta A, che dopo quell’invito abbiamo sostanzialmente modificato, la quale partiva da prospettive completamente diverse.
La proposta B, che si concreta in cavillosi punteggi, tende a focalizzarsi notevolmente sulla carriera del magistrato. Carriera spesso influenzata dalle collaborazioni assegnate dai dirigenti e da tante ipotesi di quelle che volgarmente chiamiamo medagliette, che costituiscono certamente un lavoro utile, ma che non sempre seguono percorsi trasparenti nell’assegnazione dell’incarico. E che non aiuta a comprimere quella smania fastidiosa a inseguirne un percorso professionale un po’ distorto che è stato definito carrierismo. Questo, tra l’altro, consente ai dirigenti di avere un'influenza troppo significativa nella carriera del magistrato.
Al contrario invece la proposta A è più orientata al lavoro giudiziario effettivamente svolto all'interno del singolo ufficio, e soprattutto ben svolto, premiando il contributo dato all'ufficio stesso da chi aspira a dirigerlo.
Questo perché l'ufficio dovrebbe essere il vero soggetto interessato alla nomina del suo dirigente, non il singolo magistrato.
Quando conferiamo un incarico direttivo, non premiamo la carriera di una persona, ma dobbiamo individuare la persona più adatta a guidare l'ufficio, grazie non solo alle sue capacità organizzative, ma anche a quelle umane, relazionali ed empatiche.
Al centro della nomina c’è l’ufficio inteso come servizio non la persona da premiare.
Spesso ci vantiamo di distinguerci solo per le nostre funzioni e non per altro.
Ritengo che la proposta A metta in pratica questo principio in modo più efficace e concreto.
Intervento di Antonello Cosentino
Grazie presidente,
come tutti sapete, il gruppo consiliare di AreaDG ha seguito attentamente i lavori svolti in quinta commissione per la redazione del nuovo testo unico direttivi ed ha collaborato attivamente ad entrambe le proposte che fin dall'inizio sono state in campo, una fondata sul sistema dei punteggi ed una fondata sul meccanismo della gerarchizzazione degli indicatori.
Noi abbiamo seguito entrambe queste ipotesi, cercando di collaborare al loro perfezionamento, e anzi vorrei ringraziare i presentatori della proposta B perché nel loro testo vedo molte tracce delle chiacchierate che abbiamo avuto con loro per ragionare sulle soluzioni migliori per pervenire alla pesatura dei singoli indicatori.
La ragione di questo nostro atteggiamento, in qualche modo ambivalente, risiede nella considerazione, che nel nostro gruppo abbiamo condiviso tutti, che il tema punteggi/non punteggi riguarda sostanzialmente la forma del testo unico o per meglio dire – come ha detto efficacemente in una chiacchierata fra noi la consigliera Francesca Abenavoli – la sua grammatica; laddove noi ci siamo concentrati soprattutto sulla sostanza della nuova disciplina, vale a dire sui contenuti valoriali che abbiamo voluto introdurre nel testo unico per definire, attraverso le regole sulla selezione dei candidati, il modello di dirigenza che riteniamo adatta ad magistratura costruita sulla norma fondamentale fissata nell'articolo 107 della Costituzione, alla cui stregua i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni.
Ed allora eccoli i contenuti valoriali che ci convincono nella proposta A):
- la fortissima valorizzazione del lavoro giudiziario come criterio selettivo per la scelta dei dirigenti: chi non sa fare non sa comandare; nella proposta è fortissima la valenza selettiva della pregressa esperienza nelle funzioni e, per quanto riguarda i semidirettivi, anche nella materia del posto a concorso;
- la valorizzazione dell'impegno di partecipazione dal basso alla funzione di direzione degli uffici (art. 13 lett. e), che noi intendiamo come coordinamento e sintesi delle opinioni dei componenti dell'ufficio piuttosto che come comando gerarchico proveniente dall'alto verso il basso;
- il contrasto alla tendenza alla formazione di una carriera dirigenziale separata e distante dalla carriera dei magistrati non dirigenti, realizzato assegnando una preferenza a coloro che, invece di transitare da una ad altra poltrona dirigenziale, esauriscano, prima di candidarsi ad un incarico direttivo o semidirettivo, l'intero ottennio dell'incarico precedente e quindi, necessariamente, siano tornati a fare il giudice o il sostituto procuratore (art. 12, co. 2);
- la diversa calibratura degli indicatori in relazione allo specifico posto a concorso, cosicché il conferimento di un ufficio non rappresenti una tappa, o il coronamento, di una carriera, ma il riconoscimento di specifiche caratteristiche attitudinali rilevanti per quell'ufficio e non necessariamente per altri: ad esempio, nel rapporto tra l'indicatore rappresentato dalla pregressa direzione di un ufficio di primo grado di grandi dimensioni e l’indicatore rappresentato dalla pregressa direzione di ufficio di secondo grado, il primo è prevalente sul secondo quando si tratti di conferire un ufficio di primo grado di grandi dimensioni (art.18) ed è recessivo quando si tratti di conferire un ufficio di secondo grado (art. 20).
Una volta assicurati questi contenuti, abbiamo affrontato il tema della grammatica della proposta, sempre, tuttavia, nella consapevolezza che:
- le regole incidono sulla realtà attraverso gli uomini che le devono applicare, cosicché sarebbe illusorio affidare soverchie speranze palingenetiche ad una ad altra formulazione della disciplina delle nomine; il problema fondamentale della nomina dei dirigenti giudiziari è rappresentato dalla inadeguatezza della filiera informativa, che offre al CSM valutazioni generiche e standardizzate, inidonee ad illuminare adeguatamente le differenze tra le caratteristiche professionali dei diversi aspiranti. I nostri giudizi si fondano sempre sul “cosa” e non sul “come” si è fatto.
Il meccanismo della nostra proposta ha una forte rigidità – e conseguentemente determina una forte prevedibilità dell'esito – ove si tratti di selezionare aspiranti e uffici semidirettivi o uffici direttivi di primo grado di piccole o medie dimensioni, vale a dire gli uffici nei quali generalmente inizia le esperienze dirigenziale dei colleghi; ed una minore rigidità – tuttavia caratterizzata da una persistente gerarchizzazione degli indicatori, superabile solo con specifica motivazione – per gli uffici apicali; per questi ultimi ci è sembrato necessario riconoscere all'organo di autogoverno un più rilevante margine di discrezionalità nella scelta dell'uomo giusto al posto giusto.
Ma anche la proposta B ha, ed è inevitabile che abbia, ampi margini di discrezionalità, forse anche meno chiaramente motivabili e controllabili rispetto a quelli offerti dalla proposta A, come illustrato in molti degli interventi che mi hanno preceduto.
Ed allora non mi pare che il dibattito su queste due proposte possa affrontarsi in termini manichei, come di una lotta fra la luce e le tenebre. Entrambe sono proposte che irrigidiscono fortemente i limiti di esercizio della discrezionalità consiliare nella nomina dei dirigenti giudiziari rispetto al testo unico esistente. Entrambe hanno pregi e difetti che possono essere colti solo guardandole nel dettaglio. Di entrambe le effettive criticità potranno essere colte solo nel vaglio della esperienza pratica perché, come dicono gli inglesi, il budino si giudica mangiandolo.
Intervento di Marcello Basilico
Ringrazio anche io la Quinta commissione, nei suoi componenti e nella sua struttura amministrativa, e quanti si sono spesi in questo lavoro di elaborazione, in un lavoro lungo e al tempo stesso però compresso dai tempi dettati che dal legislatore, che ha impegnato questo Consiglio ad aggiornare in novanta giorni quasi tutte le proprie circolari rendendo così difficile una riflessione sufficientemente approfondita su tutte le tematiche interessate e, soprattutto, su quelle più complesse e controvertibili.
L’intervento di Antonello Cosentino ci ha richiamato opportunamente a un esame meno manicheo dei testi oggi condensati nelle due proposte.
Entrambi sono fortemente innovativi.
Entrambi mirano a irrigidire i presupposti delle scelte dei futuri dirigenti pur conservando al Consiglio quei margini di discrezionalità che gli spettano per, vorrei dire, mandato costituzionale.
Nessuno dei due rappresenta né può rappresentare, su tale premessa, la panacea contro il rischio di applicazioni arbitrarie. Quanto alla responsabilità di siffatte applicazioni nel passato, non credo che nessuno, tra quanti ora accusano che ne siano state fatte in questo biennio di consiliatura, possa a buon diritto scagliare la prima pietra.
Piuttosto credo sia giusto rivendicare al gruppo di AreaDG – a proposito del tempo investito nell’opera di costruzione di questa circolare – il merito di avere almeno provato a ricercare quella soluzione unitaria che il Presidente della Repubblica per primo ci chiedeva. E se dunque abbiamo fallito, giacché la mediazione non è andata in porto, non credo sia per demerito o solo per demerito nostro, ma dipenda se mai dalle rigidità che abbiamo incontrato su questo percorso.
Questo nostro impegno, però, non è stato vano, poiché ci ha portato a confezionare un testo alternativo, oggi divenuto la proposta 1 per la convergenza di altri consiglieri, che non si discosta – forse anzi li rafforza in termini di rigore e di discrezionalità condizionata – dagli obiettivi comuni che la Quinta commissione si era posta.
Ragione per cui ai colleghi che esaltano la portata storica e rivoluzionaria della proposta 2, come unica in grado, a loro dire, di sbarrare la strada alle scelte imprevedibili e immotivabili, vorrei rispondere di guardare meno alla storia e più alle contingenze di questo tempo, poiché sono state le contingenze temporali a dettare una linea di rigidità che ci ha impedito di giungere a una proposta condivisa.
Quella che noi oggi presentiamo racchiude, innanzi tutto, un’idea di magistrato, prima ancora che di dirigente. Un magistrato concentrato sul lavoro giudiziario e non sulle aspettative future; un magistrato che partecipi alla vita dell’ufficio e di cui sia eventualmente premiata l’attitudine organizzativa per questa attività spontanea più che per deleghe o incarichi collaterali; un aspirante a funzioni direttive o semidirettive che veda valorizzate la pluralità delle sue esperienze, la specializzazione, la lunghezza del proprio percorso professionale a seconda dell’incarico richiesto, un dirigente che veda premiato l’assolvimento del proprio impegno per otto anni, con una inevitabile ritorno alle funzioni giurisdizionali al momento della proposizione di una nuova domanda.
In questa prospettiva valoriale mi pare possa esservi anche la risposta alla posizione del vicepresidente, che non coglie in alcuna delle due proposte il senso dell’autorevolezza che deve guidare le scelte del CSM.
Soprattutto mi pare di potere affermare che la nostra proposta induca a quella coerenza della cui mancanza il Consiglio troppe volte è stato accusato. Attraverso il meccanismo di gerarchia ragionata dei criteri, abbiamo infatti provato a sciogliere quelle incertezze applicative che tanto ci hanno affannato nelle nostre motivazioni. Ad esempio: per un direttivo di primo grado, prevale chi ha pluralità di esperienze o chi ha già un’esperienza semidirettiva? per un semidirettivo di secondo grado, prevale chi abbia lavorato in appello chi abbia un’esperienza semidirettiva in primo grado? La casistica è ampia e non riducibile a soluzioni generali o schematica. Pur tuttavia nella proposta 1 ci sono sul piano della comparazione attitudinali, molte risposte a questi interrogativi. Il che, unitamente alla fascia selettiva e alla previsione di criteri ordinati gerarchicamente – e con gerarchia distinta in ragione della funzione – rende le scelte sufficientemente prevedibili, una volta che si abbia il quadro degli aspiranti al concorso.
Qui sta la grande differenza rispetto alla proposta-punteggi. Il testo che noi proponiamo fa scelte valoriali chiare e gradua la discrezionalità in misura proporzionata alla quantità di esperienza e, dunque, di componenti valutative richieste dalla funzione: assai poca per un semidirettivo di primo grado, più ampia per un presidente di corte.
Non è chiaro quali siano invece le scelte valoriali dell’altra proposta. Impegnati com’erano a criticare la nostra, non le hanno dette. E’ chiaro che la ponderazione numerica di ogni, anche minuta, esperienza porta indubbiamente ad avere – con la proposta 1 – una quadro valutativo molto completo di ogni candidato. Ma se ogni fuori ruolo, se ogni delega, se ogni incarico fa punteggio, si ritorna alla corsa medaglietta, si resta nella spinta carrieristica.
E, quanto alla discrezionalità, non si dica che nella proposta 2 essa resta concentrata nelle scelte a monte. Basta scorrere le forbici dei punteggi che possono essere assegnati per i dieci criteri di comparazione attitudinali – trasposti nel testo pedissequamente dal nuovo art. 46-octies d.lgs. 160/2006, conservandone così tutte le sovrapposizioni concettuali e le ambiguità semantiche – per constatare come almeno 26 punti possano essere attribuiti o negati quasi senza motivare, col risultato di spostare l’asse della preferenza nella direzione dell’uno o dell’altro candidato. E, con una possibile, ulteriore incongruenza: ricondurre il punteggio di più aspiranti nel divario del 5%, spazio entro il quale scatta l’applicazione del criterio sussidiario dell’anzianità.
L’anzianità, dunque, criterio che la legge vorrebbe residuale, finisce così per essere decisa e addirittura valere due volte: prima come presupposto concreto per la valutazione di ciò che dovrebbe rappresentare il merito (giacché per ogni valutazione quadriennale positiva si ha diritto a cinque punti fissi); poi come criterio dirimente nel ballottaggio tra i candidati che abbiano conseguito punteggi distanti non oltre il 5%.
Siamo sicuri che questa soluzione sia conforme alla legge? Siamo sicuri che tutto ciò risponda alle aspettative con cui questa proposta è stata annunciata?
A me non sembra. Mi sembra invece che, al di là degli slogan promozionali, la nostra proposta soddisfi meglio alle esigenze che tutti abbiamo avvertito applicando il testo unico vigente. E lo faccia, rispondendo a un’idea di magistratura meno carrierista, con una leggibilità testuale ben superiore.