GENNAIO
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Diario dal Consiglio del 22 gennaio 2024

Trasferimenti di primo grado, il travaglio di una delibera

Con le approvazioni delle relative delibere, nella prima seduta di Plenum del 2024 si sono definite le pratiche sulla individuazione delle sedi per i tramutamenti di primo grado, giudicanti e requirenti.

Nel Diario dello scorso 28 dicembre, dopo aver rivendicato lo sforzo fatto in Settima commissione di evitare la paventata sospensione della mobilità per un anno (sostenuta dal Ministero), abbiamo premesso la complessità del tema e la necessità di un approccio pacato e ragionato, capace di tenere conto delle numerose, e al contempo divergenti, esigenze sottese all’argomento (fra le tante: diritto alla mobilità; necessaria aspirazione alla copertura di determinati uffici; riduzione del rischio di scopertura traumatica di tante piccole sedi disagiate, specie nel sud Italia; esigenze  di raggiungimento degli obiettivi del PNRR).

I difficili, per meglio dire drammatici, dati oggettivi che hanno perimetrato e orientato i complessi lavori  di commissione sono quelli che parlano di una scopertura negli uffici di primo grado di circa 850 magistrati, di una cattiva distribuzione dei magistrati sul territorio nazionale (non ci stancheremo mai di sottolineare che la rivisitazione della geografia giudiziaria dovrebbe rappresentare il primo argomento da affrontare, se si vuole davvero razionalizzare il sistema giustizia e renderlo più rapido ed efficiente), di una eccessiva differenza dimensionale degli uffici, dei tempi lunghissimi previsti prima dell’arrivo di nuovi Mot.

In un tale quadro complessivo, la prima fase dei lavori di commissione è stata rivolta a individuare, raccogliere ed esaminare i dati utili per giungere alla proposta, rappresentati, come già scritto, dagli indici di scopertura nell’organico, dalle sopravvenienze e pendenze effettive per ufficio, pro capite, dagli indici di ricambio e smaltimento, dalle difficoltà riscontrate finora nel raggiungimento degli obiettivi del PNRR, dalla dimensione degli uffici, dal rapporto con le sedi destinate ai Mot che hanno preso le funzioni in questi giorni.

In sede di formazione delle proposte di delibera ci si è confrontati, anche in maniera aspra, fra i componenti della Terza commissione e pure con tanti altri consiglieri che hanno partecipato ai lavori, e solo all’esito del dibattito si è giunti a proposte unanimi che, ci sembra, coniugano al meglio funzionalità degli uffici e diritto alla mobilità. La filosofia di fondo che ha connotato le due proposte è stata quella di contemperare tutti gli interessi in gioco sopra evidenziati, nel pur difficile quadro d’insieme, di mantenere una coerenza sistematica, di fornire una risposta quanto più possibile chiara e sempre spiegabile (senza con ciò pretendere di affermare che errori non siano stati eventualmente commessi).

Ciò che preme evidenziare oggi è che in questa prima fase abbiamo preteso ed ottenuto il rigoroso rispetto della centralità dei lavori di commissione: ferme le prerogative proprie dei singoli consiglieri, fra cui quella di partecipare ai lavori di una commissione di cui non si fa parte, non occorre dimenticare che sono i consiglieri componenti della Terza che votano sulle proposte di delibere da sottoporre all’approvazione del Plenum.

Proprio per sostenere la coerenza dei lavori di commissione e per salvaguardare l’impianto di fondo delle delibere (che, lo si ripete, sono stato il frutto di un ampio confronto anche con tanti consiglieri che, da esterni, hanno partecipato ai lavori alla Terza commissione), oltre che per rispettare i criteri di formazione della volontà del Consiglio Superiore, nel corso della discussione sviluppatasi nel Plenum del 20 dicembre abbiano aspramente criticato il modo di procedere di alcuni consiglieri (Fontana, Mirenda, Mazzola) che in quella sede hanno proposto una lunga serie di emendamenti, tesi ad integrare  gli elenchi per ulteriori trenta posti.

Ben consapevoli del rilievo che può assumere il tema della mobilità e della copertura dei posti per i singoli territori, di quanto facile possa essere il richiamo del campanile, nel tentativo di vedere accontentate pur legittime esigenze particolari, di quanto possano pesare spinte localistiche, magari rafforzate da interviste giornalistiche rilasciate da dirigenti di uffici di rilievo nazionale, abbiamo ragionato in termini di sistema.

Invero il Plenum si è trovato così di fronte a una messe di emendamenti, presentati peraltro come se fossero di facile lettura e interpretazione (e conseguente approvazione); al contrario, mancavano un’illustrazione dei motivi posti a loro sostegno e, soprattutto, un approfondimento sull’incidenza che avrebbero avuto rispetto alla scelta finale operata in commissione di mantenere la mobilità nel limite dei 200 posti.

Più che di emendare le delibere, si è trattato di un tentativo di stravolgerne il senso, verosimilmente finalizzato a privilegiare determinate sedi per meri scopi localistici (peraltro quasi tutti i posti nuovi proposti erano relativi ad uffici del Nord Italia). Non solo. Abbiamo anche evidenziato come un simile modo di procedere finisse per svilire i lavori della Terza commissione, deputata a confezionare le proposte di delibera e dove era stato ampio, lo si ripete, il confronto con tanti consiglieri;  provocava inoltre il rischio che il Consiglio potesse assumere decisioni frutto di valutazioni che gli erano estranee, di dinamiche diverse e meno limpide di quelle emerse con chiarezza durante i lavori di commissione.

Nel corso del vivace dibattito, infatti, abbiamo evidenziato come gli emendamenti proposti fossero stati anche la conseguenza di un eccessivo e incontrollato scambio di informazioni fra alcuni dei proponenti e alcuni dirigenti, per nulla condivisibile, tradottosi addirittura in e-mail inviate alla segreteria della Terza commissione con l’espressa indicazione dei suggerimenti ricevuti da componenti del Consiglio.

Abbiamo pesantemente stigmatizzato questo modo di procedere, la possibile esistenza di una non ben definita sottostruttura avente lo scopo di condizionare i lavori del Consiglio, una forma di interlocuzione con i dirigenti di alcuni uffici del tutto impropria, giunta a proporre degli emendamenti senza il benché minimo riferimento ai criteri generali che erano stati seguiti dalla commissione e ai dati oggettivi che tali emendamenti avrebbero potuto giustificare.

È per questo che abbiamo chiesto e ottenuto che gli emendamenti proposti tornassero in commissione al fine di essere attentamente valutati e correttamente interpretati alla luce dei parametri di fondo adottati sino al termine dei lavori.

Si è conseguito infine un risultato importante, dalla valenza politica significativa, con il quale si è voluto salvaguardare la trasparenza, la coerenza, soprattutto la dinamica stessa dei lavori del Consiglio e del procedimento di formazione della sua volontà.

Della bontà del nostro operato – ci sia consentita la presunzione – si è avuta conferma dopo l’ulteriore verifica della commissione, che ha predisposto infine un emendamento unico al quale le proposte originarie sono state ricondotte in senso del tutto marginale, sul presupposto della non condivisione di quasi tutti i correttivi che erano stati proposti dai tre consiglieri. In questa nuovo schema è stato inserito anche un posto alla Procura di Palermo, unico emendamento richiesto da alcuni di noi, consiglieri di AreaDG. La messe degli emendamenti presentata a dicembre non è stata, di conseguenza, più coltivata, rimanendo, di fatto, lettera morta. Dobbiamo dunque dare atto in definitiva del senso di responsabilità dimostrato dai tre consiglieri che li avevano presentati. La proposta della Terza commissione è stata, quindi, approvata all’unanimità.

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

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