OTTOBRE
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Diario dal Consiglio del 25 ottobre 2025

Incarichi fuori ruolo, troppe domande senza risposta

Tre delibere approvate dal Plenum del 22 ottobre scorso hanno dimostrato ancora come la maggioranza del CSM operi in materia di incarichi fuori ruolo con un’applicazione della normativa vigente non del tutto responsabile. Ci si riferisce alle autorizzazioni conferite per destinare, in un caso, un magistrato a funzioni ministeriali e, negli altri, due magistrati come esperti giuridici alle Rappresentanze italiane presso, rispettivamente, le Nazioni Unite a New York e l’Unione Europea a Bruxelles.

Le due tipologie di incarico vanno distinte per diversità di disciplina giuridica e di presupposti fattuali. Tutte sono accomunate, però, da una sottovalutazione preoccupante degli effetti generali e sistematici delle scelte consiliari.

1. Un organico a zero per un fuori ruolo. Nel primo caso menzionato il Consiglio si è trovato a decidere sulla possibilità di autorizzare un magistrato di quarta valutazione, proveniente da un ufficio requirente minorile, al collocamento fuori ruolo presso la Direzione generale degli affari internazionali e della cooperazione giudiziaria del Ministero della giustizia.

Sussistevano i requisiti di anzianità minima e di non superamento del periodo massimo di attività fuori ruolo previsti dalla circolare (n. 13778/2014 e succ. modifiche). Era anche rispettato l’indice di scopertura massimo dell’ufficio giudiziario del magistrato (20%, in base all’art. 106, co. 1, circ.), p.m. nella procura della repubblica presso il tribunale per i minorenni di Perugia.

Proprio su quest’ultimo requisito è sorta però la divergenza in seno al Consiglio. La procura minorile perugina ha un organico di un procuratore e un sostituto; il collocamento fuori ruolo del magistrato avrebbe condotto quindi l’organico a una scopertura del 100%. In presenza di pareri favorevoli da parte del dirigente e, a  recepimento del primo, del Consiglio giudiziario, una parte del CSM si è attenuta all’esistenza formale dei requisiti predetti, proponendo l’accoglimento dell’istanza ministeriale.

Si tratta però di una soluzione del tutto inappagante, poiché non considera la ratio dell’indice di scopertura e la sistematica della circolare, che riserva comunque una valutazione al Consiglio (art. 106, co. 4, circ.) sull’effetto disfunzionale del collocamento fuori ruolo.

Così come abbiamo rilevato in questa e in precedenti occasioni, in presenza di istanza di altra Amministrazione, non v’è un diritto soggettivo del magistrato che vi abbia acconsentito a lasciare le funzioni giurisdizionali. Vi sono invece da ponderare e bilanciare l’interessi pubblico dell’ente richiedente e quello, riconducibile essenzialmente al buon andamento dell’attività giudiziaria, di cui è portatore il CSM. Essi sono bene espressi nella circolare.

La scopertura integrale per lungo termine di un ufficio, per quanto gravato di un carico lavorativo numericamente modesto, per la fuoriuscita del suo unico sostituto contraddice la ragione d’essere stessa del limite posto dal 20% di vacanze (che individua nel livello di scopertura un indice altamente sintomatico di un effetto disfunzionale) e non può non essere considerato come fonte di un grave pregiudizio organizzativo. È sufficiente pensare al fatto che il procuratore concentrerà su di sé tutti gli affari e gli incombenti dell’ufficio e non potrà fronteggiare in alcun modo qualsiasi suo impedimento possa subentrare.

Dietro l’irrazionalità della soluzione favorevole all’istanza ministeriale si cela peraltro anche una consapevolezza inadeguata di questioni che non possono ridursi né al rispetto formalistico delle norme né alla prevalenza delle aspettative del singolo (o di altra Amministrazione) rispetto alle esigenze della giurisdizione. Di ciò si è rivelata sintomatica la chiosa della relatrice della proposta positiva, consigliera Bianchini, la quale ha testualmente affermato come ciò che va oltre la sussistenza dei singoli requisiti, vagliati evidentemente in modo atomistico, al CSM “non interessa”.

Questa asserzione è inconciliabile con la funzione assegnata al governo autonomo.     

I nostri argomenti sono stati condivisi dai consiglieri Romboli, Papa, Laganà e Forziati. Contrari – e favorevoli quindi al collocamento fuori ruolo del sostituto minorile – sono stati i consiglieri tutti di Magistratura indipendente, i laici eletti in quota centro destra ed Ernesto Carbone. Decisive sono risultate, di fatto, le sette astensioni dei tre componenti il Comitato di presidenza e dei consiglieri Bisogni, Fontana, Forziati e Miele (il consigliere Mirenda era assente).

Da domani, dunque, la procura presso il tribunale dei minorenni di Perugia sarà priva di sostituti.

2. Verso carriere parallele per magistrati “internazionali”? La seconda questione è stata posta dalle domande avanzate dal Ministero della giustizia per affidare a due magistrati gli incarichi di esperto giuridico presso le Rappresentanze permanenti d’Italia all’ONU a New York, nel primo caso, e presso l’Unione europea a Bruxelles, nel secondo. Ambedue i colleghi interessati hanno avuto un percorso professionale in uffici lombardi relativamente breve: il primo meno di sette anni su ventuno circa, il secondo, avendo la sola terza valutazione al momento della domanda, otto su sedici; entrambi hanno nel frattempo naturato una prolungata esperienza in incarichi fuori ruolo, in Italia e all’estero.

Come noto, il d. lgs. n. 45/2024, attuativo della riforma Cartabia, ha introdotto nuovi limiti generali e individuali al collocamento fuori ruolo: non oltre centottanta magistrati ordinari contemporaneamente, non più di sette anni totali (dieci anni nelle sole ipotesi enunciate all’art. 4, co. 4, lett. b, c ed e) per ognuno; inoltre, non può essere collocato fuori ruolo chi che non abbia esercitato almeno dieci anni di funzioni giurisdizionali effettive.

A questi tre limiti fa eccezione il caso dell’art. 11, co. 3, d. lgs. n. 45/2024. Si tratta degli “incarichi caratterizzati dall’esercizio di funzioni giudiziarie o giurisdizionali all’estero, tra i quali quelli presso Corti comunque denominate previste da accordi internazionali ai quali l’Italia aderisce, di procuratore capo europeo, di procuratore europeo, di magistrato di collegamento, nonché agli incarichi di coordinamento e/o supporto all’attività giudiziaria e giurisdizionale svolti a livello internazionale”.

Questa locuzione è stata integralmente riprodotta nella circolare che ha integrato il d. lgs. n. 45/2024 (n. 13778/2014 dianzi citata). Già durante la sua procedura di approvazione segnalammo i rischi di un’applicazione casistica e asistematica dell’espressione, vaga e sfuggente, “incarichi di coordinamento e/o supporto all’attività giudiziaria e giurisdizionale svolti a livello internazionale” (cfr. DIARIO del 30 luglio 2024).

I nostri timori si sono ormai rivelati fondati in più occasioni, nelle quali ci siamo trovati a offrire invano un’interpretazione coerente al dato normativo. Il culmine si è raggiunto con i due collocamenti fuori ruolo votati il 22 ottobre. Nell’un caso l’incarico era da assumere ex novo (a New York); nel secondo si trattava invece di confermare un incarico conferito dal 2019 (a Bruxelles). Poiché l’uno e l’altro magistrato hanno già superato il limite settennale complessivo di periodo fuori ruolo, la sussunzione delle loro attività nella fattispecie astratta dell’art. 11, co. 3, d. lgs. n. 45/2024 ha acquisito rilievo determinante per configurare o meno l’ipotesi derogatoria rispetto al limite medesimo (e consentire dunque ai due di intraprendere o proseguire le funzioni estere).

E’ noto che le Rappresentanze dell’Italia corrispondono ad ambasciate costituite presso ONU e UE, che gli incarichi di esperto di settore sono conferiti mediante distacco dall’amministrazione di appartenenza (ai sensi dell’art. 168 DPR n. 18/1967) presso il Ministero degli affari esteri, che quest’ultimo affida all’esperto un’attività di consulenza chiamandolo a rispondere del proprio operato, che l’esperto non ha pertanto rapporti funzionali con l’ente di provenienza e, tanto meno, nei due casi in esame, con gli uffici giudiziari.

Queste circostanze sono state ribadite dagli esiti delle istruttorie, dedicate essenzialmente all’audizione dei magistrati titolari nel passato degli stessi due incarichi. Già dall’autorelazione dei colleghi interessati, peraltro, si era avuto conferma della natura essenzialmente diplomatico-relazionale della funzione assegnata coi rispettivi mandati, un’attività il cui nucleo essenziale era dato dalla negoziazione di risoluzioni o altri atti normativi in rappresentanza dello Stato italiano e a confronto coi rappresentanti degli altri Paesi e nonché dalla partecipazione a strutture plurisoggettive variamente nominate (gruppi di lavoro; reti giudiziarie; gruppi di esperti) e sempre composte solo da esponenti di Paesi sovrani.

Gli incarichi da affidare ai due magistrati individuati dal Ministero degli affari esteri attengono alle competenze maturate da loro nella giurisdizione, che vengono messe a frutto presso ONU e UE per funzioni eminentemente di elaborazione normativa. Le uniche eccezioni a questa generale, inevitabile qualificazione sono emerse, nell’incarico a New York, per le pratiche di cd. “delisting”, relative all’inserimento di soggetti pubblici e privati, tramite lo Stato di appartenenza, in liste di destinatari di sanzioni inflitte dall’ONU, e, quanto all’incarico a Bruxelles, in attività di supporto tecnico (per la digitalizzazione delle giurisdizioni europee; per la stesura del bando EPPO; l’aggiornamento del portale e-justice) al mondo giudiziario.

L’istruttoria ha consentito di escludere che queste attività abbiano generalmente effetti diretti – senza mediazioni dei Paesi convenzionati o membri – sull’attività degli operatori giudiziari. Resta comunque il valore assorbente della considerazione relativa al loro carattere marginale rispetto al cuore caratterizzante i rispettivi incarichi affidati dal dicastero per gli affari esteri.

Non era dunque possibile affermare che le funzioni di esperto fossero definibili come di “supporto all’attività giudiziaria e giurisdizionale”, con le rilevanti conseguenze che ciò comporta.

Tanto nel testo delle proposte di delibere contrapposte quanto nel dibattito in Plenum sono mancate obiezioni concrete alle argomentazioni così sintetizzate. Si è parlato volta a volta di “impatto” o di “diretta ricaduta” di quelle funzioni, senza che si sia inteso riempire queste formule generiche di contenuti concreti e utili; è stata inoltre evasa, ancora una volta, la questione della rilevanza o meno, in un’attività dai contenuti complessi e di natura prevalentemente normativa o amministrativa, dei singoli compiti marginali che potrebbero ricondursi alla nozione del “supporto all’attività giudiziaria e giurisdizionale”.

La nozione è così rimasta priva di qualunque spunto definitorio, poiché le nostre sollecitazioni sulle questioni che abbiamo esposto non hanno avuto risposta. La maggioranza dell’assemblea plenaria (i consiglieri di MI e laici di centro destra, il vicepresidente e il procuratore generale, i consiglieri Fontana e Miele; assente invece Mirenda) ha votato in favore delle istanze ministeriali, così che anche questi due collocamenti fuori ruolo sono stati autorizzati.

E’ bene chiarire in via definitiva che nella posizione che abbiamo assunto in questa come in pratiche precedenti non v’è alcuna ostilità agli incarichi fuori ruolo e, men che meno, a quelli di carattere internazionale o in sede europea, nei quali anzi la presenza della magistratura deve essere garantita, sia per gli apporti che offre l’indipendenza dei giudici e dei pubblici ministeri sia per i vantaggi che siffatte esperienze assicurano alla professionalità dei singoli una volta che essi siano rientrati nella giurisdizione.

Siamo dunque massimamente favorevoli a una collaborazione leale con ogni Amministrazione che si dispieghi nell’alveo delle rispettive attribuzioni istituzionali.

Ciò che ci vede contrari è invece la creazione di un gruppo eletto di magistrati che, grazie a precoci esperienze estere (con le competenze e anche le relazioni che esse procurano), finiscano per passare da un incarico all’altro senza più fare ritorno negli uffici giudiziari oppure vi rientrino (così come in uno dei casi esaminati) per permanenze fugaci. Non è questo il senso della partecipazione all’ordine giudiziario sovranazionale della magistratura italiana.

Tra l’altro, dalla costruzione di carriere estere di durata indeterminata essa può ricavare un misero profitto sul piano della propria crescita interna, così come dal breve transito in un ufficio di un collega prossimo ad allontanarsene nuovamente può trarre più disfunzioni organizzativi che contributi professionali. Senza considerare che, se il senso della presenza di un magistrato in una istituzione internazionale è quello di arricchirla dell’apporto di chi abbia esperienza di lavoro giurisdizionale, tale senso stesso viene a perdersi quando chi vi accede abbia cessato da tempo di operare negli uffici giudiziari.

Di queste preoccupazioni ci siamo fatti interpreti con fermezza. Ai consiglieri laici abbiamo chiesto altresì come si concili il favore per il fuori ruolo con le critiche periodiche mosse dalla politica, quando non da loro stessi, al presunto eccesso di magistrati operanti al di fuori delle sedi giudiziarie. Neppure a questo interrogativo, come era prevedibile, si è avuta risposta.

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

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