Diario dal Consiglio del 6 dicembre 2025
Su APP va preteso rispetto per il lavoro negli uffici giudiziari
Non è una novità, ma non possiamo esimerci dal trattare, in sintesi, l’ennesima pratica relativa all’applicativo APP, oggetto della delibera approvata nello scorso Plenum del 10 dicembre. Vi si è espresso il parere sullo schema di decreto del Ministro della Giustizia concernente il regolamento recante le nuove modifiche al decreto 217/2023. In particolare, si è previsto il differimento al primo aprile 2026 del cd. “modulo riesame e appello cautelare” e al primo luglio 2026 del cd. “modulo intercettazioni”.
Abbiamo ribadito che il monitoraggio costante effettuato dal Csm, con l’ausilio della S.T.O., continua a registrare diverse criticità, tra le quali preme qui evidenziare la frequente instabilità del complessivo sistema APP che non solo non riesce ancora a rendere più celere ed efficace l’attività giurisdizionale penale, ma, al contrario, la complica e la rallenta. Più nello specifico abbiamo evidenziato che il previsto rinvio, con un doppio binario analogico/digitale in materie così delicate come le intercettazioni e le impugnazioni cautelari, risulta troppo breve alla luce dello stato assolutamente embrionale delle funzionalità di APP finora sviluppate per gli slot delle intercettazioni e delle impugnazioni al riesame.
Peraltro, il previsto rinvio non riguarda le misure cautelari. Si viene così a creare quella insidiosa asimmetria rappresentata dal differenziare il regime degli atti all’interno di un procedimento unitario come è quello delle misure cautelari (è facile immagine l’enorme quantità di atti e documenti che saranno traslati, dopo la fase impugnatoria, verso gli uffici del giudice per le indagini preliminari e del pubblico ministero, già passati, però, alla gestione esclusivamente telematica delle misure cautelari).
Del resto, con lo slittamento dei termini che si propone è proprio lo stesso decreto ministeriale a certificare tutte le criticità ancora esistenti.
Un mix di inefficienza, approssimazione, irragionevolezza, mancanza di sperimentazione (altro tasto dolente, più volte ed in più sedi evidenziato; non sperimentare significa omettere ogni verifica di funzionalità che permetta di prevenire eventuali disfunzioni operative), in settori così delicati, che lascia senza parole; così come lascia senza parole la sottovalutazione degli effetti complessivi negli uffici dell’applicativo APP, che avrebbe dovuto sostituire la trattazione in forma cartacea del procedimento penale: nonostante lo sforzo profuso e qualche miglioramento di numerose funzionalità il sistema rende ancora oggi faticoso e problematico l’esercizio della giurisdizione negli uffici, anche in danno di un personale di cancelleria, a ranghi ridotti e ormai esausto, chiamato a duplicare gli adempimenti quotidiani. Siamo sideralmente lontani da un’informatica capace di rendere più celere ed efficace l’attività giurisdizionale ed assistiamo ogni giorno alla gestione cartacea dei procedimenti e all’utilizzo parallelo di più sistemi.
Come dimostrato dai nostri interventi in Plenum, la trattazione della pratica, sulla quale avevamo raccolto il prezioso contributo del “gruppo innovazione”, è stata l’occasione per ribadire alcuni temi di fondo che non devono mai essere dimenticati.
In primo luogo, va ribadito che restano sul tappeto non solo la presenza costante di malfunzionamenti del sistema, per come immaginato e progettato all’origine (frutto di cattiva o carente progettazione dei suoi flussi e della sua usabilità dal lato utente), ma anche il delicato tema di quanto l’esercizio della giurisdizione possa subire impropri condizionamenti o possa venire orientato in certe direzioni da procedure che dovrebbero avere una natura meramente tecnica.
Ed ancora, sempre più si palesa la mancanza di una strategia complessiva, da parte del Ministero, sul processo penale telematico visto che si procede per piccoli passi, fra tanti applicativi che ancora non dialogano fra loro. Il governo dell’informatica è argomento cruciale per un corretto esercizio della giurisdizione che non può prescindere dall’apporto fattivo dei magistrati e della rete Magrif/Sto; con conseguente obbligo del Consiglio di vigilare a che il concreto funzionamento del programma sia assolutamente neutro rispetto all’attività giurisdizionale e sia effettivamente rivolto a rendere l’attività degli uffici più efficiente e razionale.
Continua a preoccupare, poi, il tema delle scarse risorse destinate in legge di bilancio per la digitalizzazione della giustizia, se si pensa alle necessità connesse alla reingegnerizzazione del processo civile telematico, alla piena attuazione del processo penale telematico, alla cybersicurezza ed alla protezione del dato giudiziario, tutti interventi bisognosi di massicci e oculati investimenti.
Per finire, per una gestione del processo penale telematico efficiente, non si può prescindere da una adeguata e tempestiva attività di formazione e aggiornamento del personale e dalla presenza di un sistema rapido e adeguato di assistenza locale, capace di proporre soluzioni immediate per la risoluzione dei problemi che quotidianamente si presentano.
Su queste basi, continua ad essere del tutto ingiustificato – e non ci stancheremo mai di ripeterlo – l’atteggiamento di quei laici che hanno preferito astenersi, negando la realtà delle cose e riducendo le tante e gravi difficoltà a “piccoli mal funzionamenti” (come sostenuto in Plenum dalla presidente, laica, della Settima commissione!): chi opera negli uffici ogni giorno dovrebbe semplicemente “prendere il toro per le corna” e armarsi di una piccola dose di pazienza, sufficiente alla gestione del problema.
Tale tipo di approccio, tale convincimento, smentito dai fatti, rappresentano l’ennesima indebita offesa a tutti i magistrati e a tutti gli operatori del diritto che, nonostante tutto e fra mille difficoltà, continuano a rendere il loro servizio.
Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello



