LUGLIO
29

Diario dal Consiglio del 29 luglio

Presidente del tribunale di Firenze, colpo di spugna confermato

Nel Plenum del 26 luglio il CSM ha confermato nell’esercizio delle funzioni direttive la presidente del tribunale di Firenze, in conformità al parere favorevole espresso a maggioranza, con tre voti contrari, dal Consiglio giudiziario di Firenze.

La proposta di conferma ha ricevuto 17 voti (tutti i consiglieri togati di Magistratura Indipendente e di Unicost, la prima presidente della Cassazione e i consiglieri laici Aimi, Bianchini, Eccher, Natoli ed Ernesto Carbone); la proposta di non conferma ha ricevuto i voti di noi di AreaDG e dei consiglieri togati Miele e Fontana; si sono astenuti il consigliere laico Romboli e il vice presidente Pinelli (che ha formalmente partecipato al voto solo per garantire la presenza del numero legale); erano assenti il procuratore generale della Cassazione e i consiglieri laici Giuffrè, Bertolini e Papa, nonché il consigliere togato Mirenda.

In sede disciplinare la collega era stata assolta ai sensi dell’articolo 3-bis d.lgs. 109/206 (scarsa rilevanza del fatto) dalla incolpazione di avere, “quale Presidente del Tribunale di Firenze e referente della corrente di Unità per la Costituzione in Toscana”, interloquito con il dott. Luca Palamara “per esprimere il proprio assenso (o dissenso) sulle nomine … , sulle conferme e sulle valutazioni di professionalità, per assicurare decisioni sugli incarichi semi-direttivi agli appartenenti alla corrente o comunque a magistrati a lei graditi e per promuovere la favorevole valutazione di professionalità di alcuni o la non conferma di altri, sollecitando il dottor Palamara ad orientare le decisioni nel senso da lei auspicato”. Il giudice disciplinare, pur ravvisando il carattere di grave scorrettezza insito nella condotta complessiva tenuta dalla presidente del tribunale di Firenze, disciplinarmente rilevante ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d), d.lgs. 109/2006, aveva tuttavia giudicato tale condotta priva “di una sostanziale offensività, stante la scarsa rilevanza disciplinare della medesima”.

Nella precedente consiliatura la pratica di conferma, pur non sospesa formalmente, era stata fortemente rallentata, nonostante le insistenze dei consiglieri di AreaDG, nella sostanziale attesa che fosse definito il procedimento disciplinare.

Uno degli argomenti principali dei sostenitori della proposta di conferma, poi approvata dal Plenum, è che il fatto di aver interloquito con il dottor Palamara nei termini ed ai fini emergenti dall'incolpazione sopra trascritta non potrebbe essere valutato ai fini del giudizio di conferma per esser già stato giudicato di scarsa rilevanza in sede disciplinare.

Questo argomento non ci convince.

Il giudizio disciplinare ha natura giurisdizionale, è volto alla irrogazione di una sanzione e si conclude con una sentenza ricorribile per cassazione; il procedimento di conferma è un procedimento amministrativo, è volto al soddisfacimento del pubblico interesse alla conferma di un magistrato nelle funzioni direttive o semidirettive ricoperte e si conclude con un provvedimento discrezionale impugnabile davanti al giudice amministrativo; gli interessi pubblici presidiati sono diversi, come diverse sono le posizioni soggettive che fronteggiano il potere giurisdizionale disciplinare e il potere amministrativo di conferma. Un fatto ben può non assurgere alla soglia della rilevanza disciplinare e tuttavia, ove storicamente accertato, essere valutato negativamente, ai fini della conferma nelle funzioni direttive o semidirettive, in sede di apprezzamento della autorevolezza culturale e della indipendenza da impropri condizionamenti che il CSM deve svolgere alla stregua dell’art. 72 del T.U. sulla dirigenza giudiziaria. Diversamente, non si spiegherebbe perché l’art. 87 del medesimo T.U. inserisca, tra gli atti che il CSM valuta ai fini della conferma, le sentenze disciplinari (anche di assoluzione) e i procedimenti pendenti.

Nella vicenda della presidente del tribunale di Firenze, gli scambi di messaggi riportati nelle proposte di maggioranza e di minoranza presentate al Plenum dalla Quinta commissione (leggibili sul sito del Consiglio) manifestano – ripetiamo quanto già abbiamo scritto nel Diario della settimana scorsa riguardo alle chat con il dott. Palamara del presidente del tribunale di Brescia – il nucleo ideologico del correntismo deteriore: l’asservimento del potere amministrativo di autogoverno alla logica dei rapporti di forza tra correnti (in uno dei messaggi acquisiti agli atti si legge: “Questa nomina è vissuta come un braccio di forza con MI e perdere ci squalificherebbe”). Una logica che ha devastato non solo la credibilità dell’autogoverno della magistratura, arrecando ferite che non si sono ancora rimarginate, ma anche la vitalità dell’associazionismo giudiziario, trasformandolo da luogo di aggregazione di orientamenti culturali e valoriali a centrale di protezione clientelare.

Speravamo che questo CSM volesse marcare una discontinuità con queste pratiche, stigmatizzandone lo scostamento rispetto al modello deontologico di magistrato investito di un ufficio direttivo o semidirettivo, quale emergente dal citato articolo72 del T.U. sulla dirigenza giudiziaria.

Non è andata così.

I laici eletti su indicazione di quei partiti, che più di tutti avevano brandito le chat di Palamara per invocare il sorteggio quale metodo di composizione del CSM, i consiglieri di M.I. e quelli di Unicost hanno – anche qui dobbiamo ripetere quanto abbiamo scritto per la conferma del presidente del tribunale di Brescia –  plaudito all’abbattimento dell’arretrato, alle brillanti soluzioni organizzative, alle buone prassi instaurate.

Ma davvero conta solo questo? Davvero è irrilevante, ai fini della verifica della autorevolezza culturale e della indipendenza da impropri condizionamenti l’adesione ad un modello di relazione dei magistrati con l’autogoverno che passi attraverso relazioni personali con singoli componenti del CSM con i quali “fare il punto sulle nomine in corso per gli incarichi semidirettivi in Toscana”?

Lo sappiamo, era un modello diffuso nella magistratura. È probabile che molti colleghi che si sono uniformati a quel modello abbiano avuto solo la fortuna di non essere rimasti impigliati nella rete casuale delle indagini della Procura di Perugia.

Ma sappiamo anche che non tutti, quale che ne fosse l’orientamento associativo, si uniformavano invece a quel modello. E sappiamo, soprattutto, che un comportamento sbagliato non cessa di essere tale perché è diffuso. E pensiamo che il CSM abbia il dovere, nei confronti dei magistrati e nei confronti dei cittadini, di dire che quel comportamento era sbagliato.

Qui il link che rimanda ai nostri interventi in Plenum.

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

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