LUGLIO
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Diario dal Consiglio del 30 luglio 2024

Un parere allarmato sul “decreto carceri”

Nella seduta del 24 luglio il Plenum ha approvato all’unanimità, nell’esercizio delle attribuzioni conferite al CSM dall’art. 10 della relativa legge istitutiva, un parere sul disegno di legge di conversione del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92, recante “Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale, e di personale del Ministero della Giustizia”.

Il decreto, che consta di 15 articoli, abbraccia materie assai diverse tra loro, ma il focus dell’intervento normativo è concentrato sul tema del carcere.

Rinviando, per un esame del contenuto del decreto, all’ampio parere consiliare, ci limitiamo qui a dar conto degli interventi principali:

  1. incremento della dotazione organica della polizia penitenziaria, con l’assunzione di 1.000 agenti e ulteriori misure relative ad altre fasce di personale;
  2. interventi in materia di liberazione anticipata (art. 5):
    1. nell’art. 656 c.p.p. è stato inserito il comma 10-bis, che prescrive al p.m. di indicare nell’ordine di esecuzione la pena da espiare non soltanto nella misura emergente dal provvedimento di condanna, ma anche nella misura risultante dal computo delle diminuzioni di pena astrattamente concedibili a titolo di liberazione anticipata ex art. 54 OP;
    2. l’art. 69-bis OP è stato modificato nel senso che l’accertamento dei presupposti per la liberazione anticipata dev’essere effettuato di ufficio entro il novantesimo giorno precedente la scadenza del fine pena, come individuato computando le detrazioni previste dall’articolo 54 OP; oppure quando il condannato abbia chiesto l’accesso ad una misura alternativa alla detenzione o ad analoghi benefici; oppure, ancora, in via residuale, su istanza del detenuto in presenza di uno specifico interesse diverso dai precedenti;
  3. esclusione dei detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis p. dai programmi di giustizia riparativa (art. 7);
  4. istituzione, presso il Ministero della giustizia, di un elenco di strutture accreditate presso le quali possano essere concesse le misure alternative alla detenzione a chi non dispone di una idonea abitazione (art. 8).
  5. introduzione dell’art. 314-bisp., intitolato “indebita destinazione di denaro o cose mobili”, sul c.d. peculato per distrazione (art. 9);
  6. posticipazione al 18.10.2025 dell’entrata in funzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie (TPMF) istituito dal d.lgs. 149/2022 (art. 12).

La materia penitenziaria, come già evidenziato, è nettamente preponderante nel decreto-legge, che non a caso è noto nel dibattito pubblico come “decreto carcere”. Le relative misure mirano a fronteggiare la drammatica situazione degli istituti di detenzione, che, come ha sottolineato anche Tullio nel suo intervento in Plenum, sono schiacciati dal sovraffollamento (già oggetto della sentenza pilota della Corte EDU nel caso Torreggiani) e oppressi dal numero allarmante di suicidi tra le persone ristrette e  gli agenti di polizia penitenziaria. Tra gli obiettivi dichiarati figurano anche lo snellimento delle procedure per il riconoscimento dei benefici penitenziari e la riduzione del carico degli affari che grava sugli uffici di sorveglianza. Obiettivi che hanno trovato ampia condivisione da parte del Consiglio sia nella proposta di parere presentata dalla Sesta commissione che nel dibattito che ha preceduto la sua approvazione in sede di Plenum. Il disposto normativo, tuttavia, presenta molteplici profili di criticità, potendosi temere che esso, lungi dal favorire il conseguimento degli obiettivi dichiarati, aggravi ulteriormente il carico degli uffici  e la farraginosità delle procedure.

L’indicazione, nell’ordine di esecuzione, anche della durata della pena risultante per effetto delle possibili diminuzioni ex art. 54 OP ha infatti un indubbio valore psicologico, perché esplicita già nell’atto che dà inizio alla vita carceraria del condannato la concreta misura dei benefici che egli potrà ottenere  partecipando  attivamente al percorso rieducativo.

È innegabile, tuttavia, che il doppio calcolo del fine pena – quello emergente dalla pronuncia di condanna e quello risultante dalla applicazione del beneficio della liberazione anticipata, ove il detenuto se ne renda meritevole – costituisce un appesantimento notevole dell’attività delle procure della Repubblica e può costituire fonte  di complicazioni ed errori, soprattutto in relazione ai provvedimenti di cumulo ex art. 663 c.p.p. (ove la disposizione in esame venga ritenuta applicabile anche a tali provvedimenti; sul punto il decreto legge tace).

Tra i nodi maggiormente problematici, il parere individua la profonda innovazione dell’impianto procedurale della liberazione anticipata. Il nuovo art. 69-bis OP, infatti,  pur continuando a prevedere la fruizione  frazionata del beneficio, colloca il momento del riconoscimento giudiziale di quest’ultimo (ora da effettuare di ufficio e non più sulla base di una specifica istanza del detenuto) tendenzialmente in prossimità del fine pena (salve le ipotesi in cui il condannato abbia chiesto l’accesso ad una misura alternativa alla detenzione o ad analoghi benefici o  abbia chiesto l’accertamento della maturazione del beneficio per uno specifico interesse diverso dai precedenti).  

Se l’introduzione del principio del riconoscimento ufficioso del beneficio della liberazione anticipata va certamente salutata con favore, va tuttavia considerato che mentre nel sistema vigente fino ad oggi, basato sull'istanza del detenuto, la magistratura di sorveglianza veniva di fatto sollecitata dai detenuti a pronunciarsi quasi semestre per semestre, nel sistema delineato nel decreto legge l'accertamento dei presupposti per il riconoscimento del beneficio è fisiologicamente collocato in un tempo che può essere anche molto lontano dai semestri oggetto di valutazione, con le inevitabili complicazioni legate alla necessità di interloquire con i vari istituti presso i quali il detenuto  è stato ristretto nel corso del tempo. Proprio in questa prospettiva nel parere del CSM si suggerisce al legislatore di prevedere che i documenti su cui si fonda l’istruttoria funzionale alla decisione sulla concessione della liberazione anticipata vengano trasmessi agli uffici di sorveglianza alla scadenza di ciascun semestre di detenzione, in modo che, al momento di provvedere sul beneficio, detti i documenti risultino tutti già presenti nel fascicolo personale del detenuto, per esservi stati periodicamente inseriti.

Sotto l’altro aspetto non va sottovalutato che, come ha sottolineato Marcello nel suo intervento in Plenum, l’applicazione cumulativa delle diminuzioni di pena al momento della scarcerazione definitiva e la significativa contrazione della possibilità per il detenuto di presentare istanza di liberazione determinano una rarefazione dei suoi contatti con il magistrato di sorveglianza per la verifica del percorso rieducativo; contatti che l’esperienza ha rivelato essere preziosi, in quanto la periodica riduzione della pena stimola l’adesione del detenuto al programma di rieducazione, rappresentandone un risultato immediatamente tangibile.

In ogni caso è comunque evidente che il sistema delineato nel decreto-legge imporrà un costante monitoraggio delle scadenze che giungono progressivamente a maturazione per ciascun detenuto. Ciò renderà inevitabilmente necessaria una rimodulazione, non poco impegnativa, delle attività della magistratura di sorveglianza e dei relativi apparati di cancelleria, già sovraccaricati in ragione delle carenze di organico, che rischia di vanificare i vantaggi, in termini di sgravi procedimentali, derivanti dalle limitazioni alla proponibilità delle istanze di ammissione al beneficio.

È dunque urgente, assolutamente urgente, che anche nel CSM si accenda un faro sulle esigenze degli uffici di sorveglianza: sulla congruità e copertura degli organici, tanto in relazione al personale di magistratura che in relazione al personale amministrativo; sulla congruità delle dotazioni informatiche (anche per garantire software che consentano un controllo efficiente delle posizioni individuali dei detenuti); sull’assistenza di staff ai magistrati secondo modalità comparabili a quelle offerte dall’Ufficio per il processo.

Il parere consiliare esprime poi un giudizio decisamente più favorevole rispetto alla creazione di un elenco di strutture per la concessione delle misure alternative alla detenzione a chi non dispone di una idonea abitazione (art. 8) e rispetto alla previsione di un incremento delle unità di polizia penitenziaria (agenti e dirigenti), pur segnalando che i relativi benefici si percepiranno su un orizzonte temporale medio-lungo, inidoneo ad incidere sulle urgenze attuali del mondo carcerario. Nel parere si stigmatizza altresì il fatto che il rafforzamento della polizia penitenziaria non si accompagni all’adozione di misure analoghe per altre figure professionali che svolgono un ruolo fondamentale nel trattamento rieducativo, come ad esempio psicologi e mediatori culturali. Si tratta di un’occasione mancata per imprimere una accelerazione decisiva all’orientamento delle strutture penitenziarie verso il reinserimento del detenuto nella società.

Fuori dalla materia penitenziaria, il “decreto carcere” contiene – oltre ad alcuni interventi non banali in materia di diritto penale sostanziale e processuale, per i quali nuovamente rinviamo al parere consiliare – una disposizione (art. 12) che rinvia di un anno, dall’ottobre 2024 all’ottobre 2025, l’entrata in funzione del Tribunale per le persone i minorenni e la famiglia (TPMF). Tale differimento, dato per scontato da tutti gli operatori del settore, si era reso inevitabile per i notevoli ritardi nelle operazioni prodromiche all’avviamento dei nuovi uffici giudiziari. C’è da augurarsi che questo anno di rinvio non resti un anno inoperoso, ma venga messo a frutto per fare il molto che ancora c'è da fare per far decollare il TPMF. 

Nel frattempo, la perdurante situazione di transizione rende particolarmente gravoso lo stato attuale dei tribunali per i minorenni. Al riguardo, il Consiglio ha indicato nel parere i correttivi necessari, in particolare l’aumento e riempimento immediati degli organici di magistrati e personale amministrativo e gli interventi sull’edilizia giudiziaria e sulle dotazioni informatiche degli uffici. Tali rilievi si inseriscono nel solco delle note critiche già espresse nel precedente parere consiliare sulla riforma, adottato con delibera del 15 settembre 2021. In assenza di tali correttivi, non potendo peraltro i tribunali per i minorenni avvalersi degli addetti all’UPP (non rientrando le loro materie negli obiettivi del PNRR), il rischio è che i nuovi TPMF siano destinati a una crisi quasi immediata, a danno dei minorenni, nel cui preminente interesse la giustizia minorile deve essere esercitata, e delle persone particolarmente vulnerabili che attendono una risposta di giustizia dalla giurisdizione nel settore dei minori della famiglia.

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

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