OTTOBRE
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Diario dal Consiglio del 13 ottobre 2024

Una figura di magistrato che a qualche consigliere non piace

Nel ricco menu del Plenum di mercoledì 9 ottobre vale la pena segnalare la pratica di Settima commissione che ha portato a deliberare su alcune modifiche alla circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti (approvata di recente); essa conteneva chiarimenti su questioni applicative/interpretative nonché indicazioni operative in ordine alle previsioni normative di rango primario destinate a entrare in vigore per il quadriennio 2026/2029.

Prima di entrare nel merito, ci piace ribadire l’importanza del metodo partecipato che è stato seguito sia nel corso dei lavori di redazione della circolare e sia in quelli relativi all’approvazione delle sue modifiche: l’opportunità di queste ultime è emersa da un appositi incontro con gli uffici giudiziari, tenutosi il 16 luglio scorso; è stata un’occasione preziosa di confronto che ha fornito anche delle indicazioni operative in ordine alle previsioni normative di rango primario, che, mai numerose come in questa occasione, entreranno in vigore nel corso del quadriennio 2026/2029 (pensiamo al Tribunale per le persone, i minori, la famiglia, al trasferimento di alcune competenze del settore civile al giudice di pace, al g.i.p. collegiale).

Ciò premesso, delle modifiche introdotte alcune avevano carattere meramente correttivo o esplicativo, mentre altre sono state del tutto innovative; fra queste ultime riteniamo d’interesse evidenziare quelle apportate all’art. 265 e all’art. 168 per proporre interessanti profili di sistema ricavabili dalla loro lettura congiunta.

Il capo III del titolo IV della circolare, agli artt. 258 e ss., contiene le norme che impongono ai dirigenti di tenere conto delle esigenze dei magistrati in gravidanza e maternità o affetti da malattia, al fine di evitare che tali situazioni possano essere occasione di pregiudizio dello svolgimento della vita professionale, senza comportare alcuna riduzione del lavoro.

Con la modifica del secondo comma dell’art. 265, relativo alle condizioni soggettive e alle forme di tutela dei magistrati in malattia, prima previsto per i soli casi di gravi patologie del magistrato e dei suoi figli, si è estesa l’applicabilità della norma alle persone legate al magistrato “da rapporti di coniugio, unione civile o stabile coabitazione determinata da relazione sentimentale”, data l’assoluta comunanza della ratio di tutela sottesa.

Ma soprattutto, con l’aggiunta del comma 2-bis, il Consiglio ha introdotto una particolare disciplina derogatoria, per i casi in cui la patologia del magistrato (del solo magistrato e non anche dei prossimi congiunti) sia di eccezionale gravità: a determinate condizioni, sarà infatti possibile che il dirigente dell’ufficio possa prevedere un esonero parziale dal lavoro non compensato da ulteriori attività. La novità, utile ad assicurare un contributo lavorativo, comunque, rilevante da parte del collega affetto da gravi patologie e a preservarne la dignità professionale, abbiamo sentito l’esigenza di rispondere a una prassi diffusa negli uffici, garantendone una tendenziale uniformità; al contempo sono stati fissati requisiti stringenti che impediscano un uso della misura improprio o comunque pregiudizievole per gli altri magistrati dell’ufficio e per le esigenze dell’ufficio. Con il consenso di tutti i magistrati interessati dell’ufficio, della sezione o del gruppo di lavoro interessati e con provvedimento adeguatamente motivato, il dirigente potrà riconoscere un esonero non bilanciato da oneri diversi, per un periodo di tempo non superiore a sei mesi, rinnovabile una sola volta per ulteriori tre mesi.

Con emendamento aggiuntivo, proposto anche da noi, abbiamo poi apportato una significativa modifica all’art. 168 in tema di redistribuzione dei procedimenti (contenuto nel Titolo II, Capo V, Criteri per l’assegnazione degli affari).

Già nel Diario del 20 luglio (“Una extrema ratio per ragioni di giustizia”), che aveva a sua volta fatto seguito a un nostro immediato comunicato (“Una risposta di giustizia”), avevamo esaminato e commentato la delibera di Settima commissione, passata con il nostro contributo, di approvazione di un provvedimento di redistribuzione di un numero cospicuo di procedimenti civili, adottato dal presidente di un tribunale in presenza di gravissimi e reiterati ritardi da parte del giudice titolare. Ci eravamo soffermati sui valori in gioco in quella scelta e in particolare sul necessario bilanciamento fra l’interesse dei cittadini a una decisione in tempi ragionevoli e il pur legittimo interesse dei magistrati dell’ufficio a non subire un onere lavorativo aggiuntivo a causa delle inadempienze del collega.

Nel Plenum scorso, in assenza di un consenso generale sul punto (negato, in particolare, dai colleghi di MI), da un lato abbiamo ritenuto necessario inserire una norma utile regolare quella fattispecie, in modo che simili misure possano essere applicate con trasparenza e uniformità sul territorio nazionale, in presenza di situazioni critiche analoghe: una norma, cioè, che delinei a priori condizioni, presupposti e limiti in presenza dei quali sia consentita la revoca dell’assegnazione dei procedimenti non ancora definiti e la loro riassegnazione, secondo criteri  oggettivi e predeterminati, previo confronto con i magistrati dell’ufficio, della sezione, del gruppo di lavoro.

A tale fine abbiamo presentato un emendamento aggiuntivo (poi passato con il voto favorevole di venti consiglieri e contrario dei colleghi di magistratura indipendente e di alcuni laici) che, con l’inserimento del comma 1-bis nell’art. 168, enuncia i presupposti di applicazione della redistribuzione degli affari nel settore civile. Trattandosi di una norma eccezionale, è risultato opportuno limitare queste ipotesi ai casi in cui si sia in presenza di plurimi e reiterati ritardi, superiori all’anno, di insuccesso delle misure organizzative adottate in precedenza, di esito negativo di più piani mirati di smaltimento e di incongruità dei tempi di definizione registrata con riferimento anche ai procedimenti diversi da quelli interessati dai ritardi.

Si è continuato a perseguire il contemperamento fra il diritto delle parti a una ragionevole durata del processo, ove messo a rischio da strutturali ritardi di singoli magistrati, e il diritto dei magistrati a organizzare il proprio lavoro sulla base di un carico predefinito, prevedendo una norma a livello generale utile a garantire uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale.

C’è un possibile parallelismo fra le due innovazioni apportate, poiché entrambe concorrono a definire una figura di magistrato in cui ci riconosciamo: non chiuso nella propria stanza, interessato solo alla propria scrivania, bensì attivo nel proprio ufficio, consapevole di essere parte di un tutto, capace – anche con sforzi aggiuntivi, ma eccezionali – di assumere un onere lavorativo in più, utile alla resa di un buon servizio, nell’interesse sacrosanto dei cittadini e disponibile, a tale fine, a dare il giusto aiuto ai colleghi.

Questi ultimi sono stati etichettati, nel corso di un intervento in Plenum, quasi con scherno e in maniera del tutto inopportuna, quali “colleghi-lumaca, come purtroppo ce ne sono tanti”. Noi non siamo di questa opinione. Pensiamo vi siano colleghi che, per le più svariate ragioni, organizzative, personali o di salute, si trovino ad affrontare momenti di difficoltà ai quali l’ufficio non può restare insensibile, nell’interesse primario del cittadino.

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

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