Diario dal Consiglio del 8 giugno 2024
Una nomina a prova di social network
Nel Diario del 13 aprile scorso scorso vi abbiamo dato conto del ritorno in commissione della pratica per il conferimento dell’incarico semidirettivo di presidente di sezione penale della corte d’appello di Catania, in relazione alla quale la Quinta commissione aveva formulato due proposte contrapposte, una per il dottor Sebastiano Mignemi, presidente di sezione presso il tribunale di Catania (votata dai consiglieri Cosentino, D’Auria ed E. Carbone), e una per la dott.ssa Tiziana Carrubba, presidente di sezione presso il tribunale di Siracusa (votata dalle consigliere Mazzola e Bianchini).
Come raccontato analiticamente in quel Diario, nel dibattito di Plenum del 3 aprile la consigliera Bianchini fece puntuali riferimenti al contenuto di messaggi postati dal dottor Mignemi sulla sua pagina Facebook (non acquisiti agli atti della procedura, nella quale era stato prodotto solo un articolo di giornale che riferiva dell’attività del dottor Mignemi su Facebook), affermando che tali post sarebbero di evidente contenuto politico, ma privi di argomentazioni, risolvendosi in messaggi espressi in modo polemico e sarcastico, rivolti per lo più contro esponenti del modo politico.
La consigliera Bianchini menzionò, come esempio, un post in cui si dava del “fascista” al ministro Musumeci e un altro in cui si paragonava l’attività del Governo a quella di un truffatore che in stazione fa il gioco delle tre carte. All’esito del vivace dibattito suscitato dalle affermazioni della consigliera Bianchini la pratica fu rimessa in commissione per un approfondimento istruttorio.
La Quinta commissione ha quindi proceduto a un supplemento di istruttoria, acquisendo la stampa dei suddetti post (prodotti dalla consigliera Bianchini, che li aveva ricevuti dal consigliere Giuffrè, il quale vi aveva avuto accesso in quanto “amico di Facebook” del dott. Mignemi) e, conseguentemente, ha proceduto alla rinnovazione dell’audizione del dottor Mignemi (già precedentemente audito in relazione al suddetto articolo di giornale). Quest’ultimo ha confermato l’autenticità dei post (consistiti, per lo più, in condivisioni di articoli di stampa, di pagine satiriche e post di terzi iscritti al social network, talora accompagnati da suoi commenti) e ha sottolineato come il suo fosse un profilo privato, ossia visualizzabile unicamente dalle persone da lui stesso ammesse (un migliaio di conoscenti).
All’esito del supplemento istruttorio tutti i componenti della Quinta commissione hanno mantenuto le rispettive indicazioni di voto originarie, a eccezione della consigliera Mazzola, la quale ha mutato in astensione il proprio voto per la proposta in favore della dottoressa Carrubba.
All’esito del dibattito di plenum, molto partecipato, la proposta per il dott. Mignemi ha prevalso sulla proposta per la dott.ssa Carrubba con 15 voti (noi di Area, più i consiglieri Miele, Bisogni, D’Auria, Forziati, Fontana, Mirenda, Carbone E., Romboli, Cilenti) contro 11 (i consiglieri Laganà, Mazzola, D’Ovidio, Marchianò, Scaletta, Bertolini, Bianchini, Natoli, Eccher, Aimi e la Prima Presidente); astenuti il consigliere Papa, assenti i consiglieri Giuffrè, Nicotra, Paolini e il Procuratore Generale Salvato.
Al di là del raffronto tra i curricula dei colleghi proposti, che ricalca tematiche già molte volte trattate nel nostro Diario, il profilo di interesse di questa pratica è legato proprio alla rilevanza delle esternazioni svolte dai magistrati nell’ambito della loro vita privata.
Noi riteniamo che l’indipendenza non sia uno stato psicologico della personalità del magistrato, ma la capacità professionale, da conquistare e riconquistare giorno per giorno, di essere imparziali nel processo, di riuscire a sottrarsi, nella ricostruzione dei fatti e nella interpretazione delle norme, al vincolo dei propri pre-giudizi, delle proprie idee, della propria visione del mondo; in una parola, la capacità di essere indipendenti (anche) da se stessi.
Diverso è il tema della cosiddetta “imparzialità percepita”, della fiducia che un magistrato deve ispirare nel contesto in cui opera. È indubbio che vadano evitate comunicazioni che possano appannare l’autorevolezza e la credibilità di chi amministra la giustizia. Ma questo non significa che un magistrato non possa avere idee, passioni, opzioni valoriali; e nemmeno che egli debba nascondere le proprie idee, le proprie passioni, le proprie opzioni valoriali nel segreto della propria coscienza, evitando accuratamente di farle trasparire, in una sorta di nuovo nicodemismo.
Ed allora, in assenza di un quadro regolatorio definito sull’uso dei social network (per il quale è pendente una pratica presso il CSM), riteniamo che i messaggi postati su un profilo Facebook chiuso, non possano essere oggetto di apprezzamento in valutazioni consiliari di amministrazione attiva, al di fuori dei casi, che non ricorrevano nel caso dei post del dott. Mignemi, di rilevanza disciplinare.
Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello