Anna Rossomando
Vicepresidente del Senato
Voglio ringraziare anch’io il segretario Albamonte per la bellissima relazione e tutti voi per il titolo di questo incontro. Molte cose sono state dette, quindi vorrei concentrarmi su un paio di aspetti.
Maggioritarismo, all’epoca dei nazionalismi e dei sovranismi è qualcosa di più, che ci induce una riflessione. Qui siamo a un congresso di una associazione della magistratura. Quindi, quando parliamo di autonomia e indipendenza della magistratura, è giusto che noi la collochiamo in questa riflessione. Da rappresentante politico, ho sempre difeso l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, pensando che, quando parliamo di questo, parliamo del rapporto tra libertà, potere e diritti che è tutto l’impianto della nostra Costituzione. Quando parliamo di rapporto tra giustizia e politica, tra politica e magistratura, all’epoca dei sovranismi, dei nazionalismi e del maggioritarismo siamo già oltre quella discussione che facemmo già anni fa, quando si parlava di riforme in un sistema maggioritario. Già allora avvertimmo l’esigenza di riequilibrare i pesi e contrappesi, perché i pesi e contrappesi della nostra Costituzione sono nati in un sistema proporzionale e non maggioritario.
E figuriamoci se parliamo di maggioritarismo, che vuol dire ben altro. E, quindi, io ringrazio anche il presidente Santalucia che ha voluto riprendere questo argomento. Quando noi parliamo di difesa della giurisdizione, dobbiamo necessariamente inquadrarla in un discorso di sistema e capire che oggi ne discutiamo diversamente anche solo da dieci anni fa, perché nel frattempo sono accadute alcune riforme importanti ed il quadro è cambiato. Ma poi su questo tornerò.
C’è una teoria che dice, appunto, che quando ho il consenso, il consenso fa sì che io sono il popolo: io ho la maggioranza e sono il popolo. Se tu non sei in questa maggioranza tu sei fuori dal popolo. Ora tutto questo, ovviamente, si tiene ed è collegato. Avendo lavorato molto sulle recenti riforme e su una serie di argomenti, mi sono chiesta perché c’è questa insistenza a tornare su dei titoli che sono già stati affrontati – si può ritenere bene o male – da importanti riforme che penso sia stato un bene aver approvato a larga maggioranza. Penso che il ruolo della politica, quando si affrontano temi così delicati che hanno una ricaduta istituzionale, sia quello di sforzarsi in tutti i modi di raggiungere un punto di equilibrio, discutendo. E devono essere approvate a larga maggioranza.
Quindi io, ingenuamente, mi chiedevo il perché. E la risposta è nel furore ideologico, perché non interessa il merito. Interessa riaprire quel conflitto tra politica e magistratura che pensavamo di aver sepolto e che non ha fatto fare un solo passo avanti sul terreno delle riforme utili ai cittadini. Ma io aggiungo – avendo anche diciamo la mia second life di avvocata – anche sul terreno del garantismo. Sono molto sofferente per questa usurpazione del termine garantismo, della cultura delle garanzie, perché credo di esserne assolutamente parte. Ma credo che anche la riflessione sulla funzione della giurisdizione è il tema delle garanzie, perché il processo è un processo pubblico con delle regole processuali e il garantismo è la legalità nel processo. E perché la sentenza viene pronunciata nel nome del popolo italiano.
Allora si riaccende questo scontro nel nome del primato della politica. E qui già non ci ritroviamo, perché questa è la stessa politica che non muove un passo, non alza un sopracciglio rispetto alla mortificazione del ruolo del Parlamento. Che viene da lontano, ma che è ulteriormente accentuato da questa maggioranza che ci ricorda tutti i giorni che è stata eletta nel nome della forza della politica che, naturalmente, non verrà negata da parte mia. Mi ascrivo a una cultura che vede il primato della politica. Ma è un Parlamento che è esautorato con un ruolo preponderante come non mai dell’esecutivo e del governo.
Quando parliamo di maggioritarismo, dobbiamo pensare a questo tipo di sistema, di rapporti tra i poteri dello Stato e di pesi e contrappesi. Quindi, un Parlamento che vede pochissime leggi di iniziativa parlamentare discusse ed approvate: in questo vedo anche una mortificazione della maggioranza, perché è anche il parlamentare della maggioranza che viene mortificato.
Un Parlamento che non riesce, per esempio, a fare una legge sul suicidio assistito su cui si è espressa la Corte costituzionale. Noi ci siamo battuti molto perché venisse approvata questa legge. Voi sapete che alla fine della scorsa legislatura, era stata approvata alla Camera con un grande impegno del partito cui mi ascrivo per trovare dei punti di congiunzione su temi così sensibili. Questa legge non riusciamo a farla calendarizzare al Senato. Io penso che lì ci sia una perdita del ruolo della politica, su un tema che tra l’altro è assolutamente trasversale, che incontra anche la sofferenza quotidiana di molte famiglie.
Allora si torna sempre al discorso del rapporto tra il potere e le libertà. Mi sono ripresa alcune affermazioni del ministro della Giustizia e ho qualche confusione.
Per esempio, io ricordo molto bene che l’attuale ministro è stato un protagonista, se non addirittura uno dei coordinatori, del referendum sulla giustizia. In questi referendum sulle misure cautelari c’era un quesito sull’abolizione della lettera C – il pericolo di reiterazione del reato dello stesso tipo – che avrebbe travolto qualsiasi misura cautelare, comprese quelle a difesa delle donne vittime di violenza (il divieto di avvicinamento e l’allontanamento). Quindi era a togliere tutela alle donne vittime di violenza, lo stesso ministro che, invece, mette in carcere i quattordicenni a Caivano. E quindi io qui comincio ad avere delle confusioni. Così come quando si parla di intercettazioni: lo stesso ministro che in alcune interviste ha preannunciato un rafforzamento delle intercettazioni preventive affidate ai servizi segreti, e questo affidamento senza ruoli è stato ulteriormente accentuato nella scorsa legge di stabilità. E qui comincio ad avere dei dubbi sulla cosiddetta cultura liberale.
Ed è lo stesso ministro, che in un’intervista al Foglio – cito tra virgolette – ha detto che “c’è tutta una serie di reati, soprattutto quelli legati alla tossicodipendenza, che può essere trattata al di fuori della sistemazione carceraria”. Ma, ohibò, nel decreto cosiddetto Caivano abbiamo il carcere per i fatti di lieve entità, legati anche appunto alla tossicodipendenza. E lo stesso ministro ha detto che “l’aumento della pena ubbidisce al principio che nessuno cita mai — cito tra virgolette — cioè quello dell’allarme sociale. In certi momenti — dice il ministro Nordio — è opportuno che lo Stato dia un segnale di attenzione, senza ovviamente però farsi l’illusione che la pena costituisca un deterrente”. Allora, questo mi sembra populismo giudiziario. Non lo so come lo vogliamo chiamare?
Siamo nella cultura liberale, che viene spesso citata a sproposito, ma io penso che sia anche una conquista. Storicamente una parte della sinistra ha fatto un po’ più fatica ad avvicinarsi a questa cultura liberale, ma ormai è assolutamente acquisita. Mi pare che su altri versanti, invece, ci sia una perdita di questa cultura liberale.
O vogliamo parlare dell’abuso d’ufficio? Un tema su cui siamo intervenuti con una riforma, ci sono dei dati inoppugnabili sulle conseguenze che ha avuto questa riforma. Sappiamo molto bene che questa norma, così come è scritta oggi, può ancora punire quegli abusi di potere a tutela del cittadino. Nelle audizioni sono stati citati molti comportamenti di abusi – perché non ci sono ovviamente solo i sindaci – che con questa norma rimarrebbero assolutamente privi di tutela. Allora mi chiedo anche qui, dove sta la cultura delle garanzie?
Arrivo anche alla questione della separazione delle carriere su cui molto si è detto. Anche qui è intervenuta una riforma – che può piacere o non piacere – ma mi interessa un punto. Ormai non si discute più sul fatto che puoi passare da una funzione all’altra; si discute di un assetto costituzionale della magistratura all’interno dei rapporti tra i poteri dello Stato. Allora si abbia il coraggio di dire che si vuole discutere di questo e si abbia il coraggio di dire dichiaratamente che si vogliono cambiare questi equilibri con le opportune conseguenze. Poi, c’è anche un certo dilettantismo, perché – come già stato citato dalla mia collega Serracchiani – si fa riferimento ad altri Paesi senza ovviamente trarne le opportune differenze.
A me, sempre nella cultura delle garanzie, preoccupa molto lo schiacciamento della funzione requirente sulla polizia giudiziaria. E tra l’altro, non dimentichiamoci che si vuole anche togliere la direzione delle indagini a questo rappresentante, appunto, della pubblica accusa. Di questo stiamo parlando e siccome sono sempre ottimista sul dibattito politico e sul ruolo del dibattito, vorrei chiedere almeno ad alcuni esponenti della maggioranza se vogliono aprire una riflessione su questo. Perché altrimenti, su questo, come su altri temi, siamo – per essere un po’ frivoli – nel vintage. Siamo nella riapertura del baule dei ricordi della nonna, ma intanto nel frattempo il mondo è assolutamente cambiato.
Invito veramente ad aprire gli occhi. Consiglierei che i sinceri liberali dello schieramento di centrodestra si interrogassero su questo mutamento nel quadro costituzionale di questo tipo di equilibri. Così anche come il l’abolizione del terzo comma del 107: tutto sta, ovviamente, in questo quadro.
Consentitemi alcune battute sulla questione dell’aggressione tutte le volte che si esprimono delle opinioni sulla politica giudiziaria da parte dell’associazionismo, nella magistratura o quant’altro. Il tema delle degenerazioni del correntismo abbiamo provato ad affrontarlo con una riforma della riforma del CSM – su cui ci sono maggiori critiche – però è bloccata lì. Cioè i decreti attuativi non si fanno, sono bloccati. Allora io penso che il principale antidoto è il dibattito delle idee e non solo che ci sia la legittimità a manifestarle. Se devo guardare dall’esterno, penso che in questi anni sia mancata quella ricchezza che, anni addietro, ha caratterizzato il dibattito all’interno delle varie parti dell’associazionismo della magistratura. E questo ha a che vedere, forse, con la questione dell’idealità che è stata citata.
Io penso che ci voglia più dibattito delle idee, più confronto e, ovviamente, più apertura. Un dibattito aperto non soltanto all’interno della magistratura, ma i lavori di oggi dimostrano che si cerca di andare in questa direzione. Sono i sistemi chiusi quelli che poi, indipendentemente dalla volontà, corrono dei rischi e sono più suscettibili anche di attacchi di delegittimazione.
Voglio dirvi che a questo riguardo, la maggioranza supporta un altro disegno di legge che stiamo discutendo al Senato, che è quello del sorteggio per l’elezione al CSM. In coerenza contro di esso ci battiamo in tutti i modi e a mani nude. Naturalmente, anche questo non appassiona l’opinione pubblica, però penso che sia giusto parlarne, perché anche questo si tiene in quel discorso su un nuovo assetto del rapporto tra i poteri.
E non solo in Italia. Il fatto che, come è stato citato, in molti diversi paesi, anche in Europa, questi cambiamenti siano già in atto, ci dice che c’è una teoria di cosa possano essere quelle che vengono chiamate “democrature”.
Non ho ancora citato la questione della prescrizione. È ovvio che non è mai stato un metodo per accelerare i processi, ma la ex Cirielli è la fuga dalla giurisdizione. Questo ha a che vedere con la democrazia, se noi vogliamo che il processo debba essere il centro. Molti hanno parlato della mancanza di risorse sulla giustizia: però da quando io facevo la studentessa di giurisprudenza – ed è passato un po’ di tempo – il leitmotiv era che c’era lo zero virgola o l’un per cento della legge di stabilità o della legge di bilancio affidato alla giustizia. Ora, per la prima volta, abbiamo 3 miliardi e mezzo sulla giustizia. Il problema è che sembra che a questo Governo, a questo ministro, non interessi come vengono impiegati questi 3 miliardi e mezzo. Noi dall’opposizione siamo disponibili a una corsia preferenziale per provvedimenti per la messa a terra e per l’organizzazione del sistema giustizia su come vengono impiegati questi soldi. C’è un sistema da riformare, soprattutto sul funzionamento organizzativo. Vedo in sala Castelli – leggo con piacere una serie di cose che scrive – e so quanto è impegnato sulla questione della tecnologia. Non è soltanto impiegare più mezzi, è come cambia l’organizzazione. Come modifichi l’organizzazione nell’era del digitale? C’è tanto lavoro da fare e noi su questo siamo assolutamente disponibili.
Visto che siamo in Sicilia, mi piace chiudere con questa citazione, perché vorrei chiudere con un’esperienza che in questa terra è stata straordinaria, cioè quella di Danilo Dolci. Come voi sapete, fu noto per scelta di praticare la non violenza: fece il cosiddetto sciopero al contrario per tutta una serie di guai che c’erano nel territorio. Quindi con un po’ di operai e un po’ di popolo, si direbbe oggi, si misero ad aggiustare le transenne. Intervennero e fu arrestato. Fu un processo memorabile, che vide le migliori energie democratiche, fra cui Calamandrei. A me da giovane avvocato mi hanno fatto leggere questo libro.
Dopo quel processo molta strada è stata fatta e molte leggi sono cambiate grazie alla lettura costituzionalmente orientata che fece la magistratura di quei tempi. Allora io credo che questi sono i modelli a cui vogliamo ispirarci. E quando, in questo quadro, parliamo di Costituzione ci riferiamo esattamente a tutto questo.
Abbiamo parlato di potere e di rapporto tra libertà e potere nella società di oggi, dove molti poteri sono assolutamente senza alcun controllo e dove c’è molto sfruttamento; e quindi, quando noi parliamo di una giurisdizione autonoma, ligia e ubbidiente alla Costituzione, parliamo del potere dei senza poteri.
in attesa di approvazione della relatrice