Rocco Maruotti
Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rieti
Il mio non è un vero e proprio intervento. Solo alcune “spigolature” sugli interventi dei segretari nazionali delle altre correnti, che, partecipando a questo nostro dibattito, hanno senz’altro contribuito ad arricchire le nostre riflessioni.
Mi aggancio a questa metafora agricola, quella delle spigolature, per una citazione politica che riprende il tema della tavola rotonda di ieri, cioè “i diritti sotto attacco”. Prima, Marcello Basilico ha citato Foggia: come sapete sono foggiano, originario di quella terra in cui Giuseppe Di Vittorio, fondatore della CGIL e suo segretario nazionale fino al giorno della sua morte, lottava per difendere i braccianti agricoli dallo sfruttamento di un lavoro che uccideva e che continua a uccidere. Negli anni di Di Vittorio, a “morire di lavoro” in quel territorio erano gli italiani; oggi, a morire sono, invece, soprattutto ragazzi africani, che lavorano in condizioni di estremo sfruttamento. Diritti sotto attacco, perché uno di questi diritti è sicuramente il diritto ad un lavoro sicuro. E mi rivolgo ai giornalisti ancora presenti in quest’aula: vi prego, non le chiamate più “morti bianche”, perché chi come me, da pubblico ministero, è costretto per lavoro a recarsi su quei luoghi in cui si verificano quelle morti, che a volte assumono la dimensione di vere e proprie stragi – da ultimo quella di Brandizzo – sa benissimo che non c’è nulla di immacolato e puro nel corpo di un operaio che muore in un cantiere edile.
Torno alla citazione agricola, per dire che in questi due giorni si è arato tantissimo e sul terreno sono rimasti spunti molto densi, sui quali avremo modo di continuare a riflettere, anche quando su questo congresso sarà calato il sipario.
In questo contesto, non potevano mancare gli interventi dei segretari nazionali delle altre correnti della magistratura, che ringraziamo per il contributo che hanno ritenuto di dare alle nostre riflessioni.
Un contributo che ci è particolarmente utile, perché l’identità culturale di un gruppo non è frutto solo della sua elaborazione interna, ma è frutto anche del confronto e delle differenze che da questo confronto vengono fuori.
Proprio partendo dalle loro considerazioni, farò alcune brevissime riflessioni, utilizzando il particolare angolo visuale dell’Associazione Nazionale Magistrati in cui, insieme agli altri colleghi e amici di AreaDG, stiamo lavorando da più di tre anni. Un lavoro che, almeno in parte, spero sia sotto gli occhi di tutti, comprese le sue difficoltà.
Molti ricorderanno il punto da cui siamo partiti e la situazione in cui ci trovavamo. Un’ANM dilaniata dallo scandalo Palamara, con gli effetti che tutti conosciamo, soprattutto in termini di disaffezione, in particolare delle nuove generazioni di magistrati, rispetto all’impegno associativo.
Con molta fatica, grazie anche al lavoro del nostro presidente Giuseppe Santalucia, l’ANM ha recuperato credibilità, tornando ad essere un punto di riferimento e un interlocutore forte, credibile anche rispetto alla società e all’esterno del mondo della magistratura.
Un risultato che è stato possibile raggiungere, anche grazie ad una recuperata coesione con i rappresentanti degli altri gruppi, i cui predecessori – è bene però ricordarlo e lo ricorderà bene Luca Poniz, che era il presidente dell’ANM nella precedente consiliatura – si erano in gran parte dimessi, lasciando i rappresentanti di AreaDG da soli nell’affrontare lo tsunami e le macerie dello scandalo Palamara.
Però io non voglio fare spigolature solo su quello che è stato detto, perché ciò che si dice poi deve essere declinato nel concreto. Voglio parlare dei fatti, perché tante volte siamo bravi a raccontarci, poi però decliniamo male quello che raccontiamo. Voglio dire che la necessaria dialettica interna all’ANM ci ha impedito in questi tre anni di realizzare alcuni obiettivi a cui tenevamo molto.
Uno di questi è quello di dare un’adeguata trasparenza su ciò che l’ANM sta facendo sul piano del recupero etico, anche e non solo attraverso lo strumento del disciplinare. È giusto che si sappia – senza far riferimento ad alcuna vicenda specifica – che è stato molto diverso l’atteggiamento che i nostri rappresentanti di AreaDG all’interno dell’ANM e anche gli iscritti, che sono andati incontro ad alcune contestazioni disciplinari, hanno tenuto di fronte a questa situazione, assumendo un comportamento molto diverso da quello tenuto dai colleghi di Magistratura Indipendente, di Unicost e di Autonomia e Indipendenza. Il Comitato Direttivo Centrale dell’ANM funziona, come sapete, con le dinamiche tipiche di un micro Parlamento e questo produce in alcuni casi prese di posizione che lasciano sgomenti.
Solo per fare un esempio – per parlare di fatti concreti – ricordo quanto accaduto da ultimo sul tema delle iniziative da assumere rispetto alle proposte di riforma dell’ordinamento giudiziario e nello specifico sulla separazione delle carriere e il nuovo assetto del CSM. Era evidente a tutti, che l’ANM avrebbe dovuto chiudere quella riflessione, approvando un documento unitario, cosa che non è avvenuta. Perché una delle altre correnti – Magistratura democratica, come tutti sappiamo – non ha votato il documento di sintesi, per ragioni che ancora oggi facciamo fatica a comprendere. Queste prese di posizione, non solo sono incomprensibili persino per i colleghi magistrati, ma indeboliscono l’azione politica dell’ANM al suo esterno.
Ci resta ancora poco meno di un anno, prima di lasciare che questa consiliatura giunga alla sua naturale conclusione. Ci auguriamo che sarà un anno in cui riusciremo tutti insieme a realizzare quell’obiettivo, che dovrebbe essere a cuore a tutti noi: difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, a prescindere dal colore politico del governo che rischia di metterle in discussione.
Noi l’abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo. Ci auguriamo di avere anche tutte le altre correnti al nostro fianco, senza esitazioni.
E rispondo ad Angelo Piraino, segretario di MI: noi di AreaDG non andiamo dietro le “urla della politica” – come ha detto lui – ma non accettiamo neppure di essere messi sotto il tacco della politica. Non per noi stessi, ma per il ruolo di garanzia dei diritti dei cittadini che la Costituzione ci consegna.
rivista dal relatore