Intervento

Edmondo Bruti Liberati
già procuratore della Repubblica di Milano e già presidente ANM

Il Pm è  oggetto privilegiato  di leggende metropolitane.

Leggenda metropolitana n.1

È una peculiarità italiana il ruolo centrale assunto dal Pm e dalla magistratura tutta.

“Vi sono stati tempi e luoghi nei quali i protagonisti centrali della giustizia penale […] sono stati i giudici. Oggi le figure centrali nei sistemi di giustizia penale in gran parte del mondo appaiono essere sempre più i pubblici ministeri.[2]

Così si apre un recentissimo studio coordinato da due professori americani dal titolo Prosecutors and democracy.  Quanto allo strapotere della magistratura italiana, risale a 30 anni fa uno studio coordinato da un professore americano e da uno svedese intitolato The global expansion of judicial power[3].

Guardare appena fuori dai confini dello stivale non sarebbe difficile e questa “peculiarità italiana” evaporerebbe.

Leggenda metropolitana n.2

Parte da questo pseudo sillogismo. Premessa maggiore: il “modello del processo accusatorio” prescrive la regola a); premessa minore: l’Italia ha adottato quel modello; conclusione: la regola a) deve essere prescritta in Italia.

Sillogismo perfetto nel mondo dei concetti, ma su questa terra non si triva il “modello del processo accusatorio”.

Un esempio di scuola di fallacia sillogistica. Poi a seguire questi pseudosillogismi si dovrebbe introdurre l’obbligo di assumere la posizione di testimone per l’imputato che intendesse rendere dichiarazioni.

Una grande studiosa francese, recentemente scomparsa, Mireille Delmas-Marty già qualche anno fa scriveva che ormai si deve considerare superata la vecchia disputa, di tipo ’teologico’, tra is,ostenitori del modello accusatorio e i sostenitori del modello inquisitorio, a vantaggio di un modello ‘contraddittorio’”.[4]

Il modello accusatorio puro non esiste neppure nel mondo anglosassone, che è sempre più differenziato. Nei film di Perry Mason la difesa distrugge la tesi dell’accusa e la giustizia trionfa: happy end. La realtà è altra Negli Stati Uniti circa il 97% dei casi è definito con patteggiamenti tra il prosecutor, che ha una discrezionalità illimitata persino sulla qualificazione del reato e l’indagato, con un intervento del tutto marginale del giudice. Lo “splendore” del processo dinanzi ai giurati ove accusa e difesa si fronteggiamento in leale battaglia nell’interrogatorio e controinterrogatorio dei testimoni è riservato al 3% dei casi, per di più con una discriminazione economica decisiva in favore di coloro che possono permettersi la costosissima difesa dell’avvocato privato.  Si dice che in Italia vi siano 50 milioni di Commissari Tecnici pronti a dettare la formazione della Nazionale di Calcio. Non 50 milioni ma sono in molti ad essersi improvvisati esperti di ordinamento giudiziario e processuale penale comparato. Sono disponibili agevolmente disponibili diversi testi in inglese e anche in italiano. Ma un esercizio più facile e gradevole è rivedere qualche buon vecchio film, oggi facilmente scaricabile sul proprio pc con modica spesa.

Due famosi film del 1957 ci mostrano il rito accusatorio declinato in modo marcatamente diverso nel mondo anglosassone nei due lati dell’oceano: La parola ai giurati (Twenty Angry Men) di Sidney Lumet protagonista Henry Fonda ambientato a New York e Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution) di Billy Wilder con Charles Laughton e Marlene Dietrich ambientato a Londra.

A New York un aggressivo e superficiale procuratore distrettuale, che deve rispondere ai suoi elettori vuole comunque un colpevole per la sedia elettrica. A Londra l’accusa è rappresentata da un avvocato barrister del libero foro in toga e parrucca.

Nei film di Perry Mason la giustizia trionfa: happy end. Non sempre purtroppo la giuria, “fa giustizia”: il difensore, impersonato da Gregory Peck può smontare tutte le tesi dell’accusa, ma vince il pregiudizio come vediamo nel drammatico finale del film del 1962  Il Buio oltre la siepe di Robert Mulligan.

Leggenda metropolitana n.3

L’assetto italiano del PM  è anomalia assoluta rispetto al "modello" di Pm comune a tutte le altre democrazie occidentali.

Il modello Statunitense del District attorney statale, per lo più eletto in lista di partito insieme al sindaco e allo Sceriffo, capo della polizia locale  e  dell’Attorney General federale di nomina poltica è unico all’interno dello stesso mondo anglosassone. La figura della pubblica accusa ha subìto in Inghilterra una innovazione sostanziale con la creazione nel 1986 del Crown Prosecution Service, sempre molto distante dal sistema americano. Ma a chi da Londra volesse muoversi per trovare un processo penale con significative varianti e addirittura residui del sistema inquisitorio basterebbe spostarsi poco più a nord nell’isola britannica e raggiungere Edimburgo. Il sistema  del Pm  di Inghilterra e Galles  non si applica in Scozia. Il Regno Unito è alquanto disunito sulla figura del Pm.

Lo studio tuttora più approfondito sul Pm in Europa esordisce con la constatazione  “Il pubblico ministero rimane l’istituzione più diversificata in Europa”.[5]

“Quante figure di pubblico ministero…” è il titolo del capitolo sul Pm  di un  volume sulle procedure penali d’Europa, pubblicato anche in versione italiana[6].

Semplicemente, un modello di Pm comune alle democrazie occidentali non c’è.  Vi sono molteplici figure di pm, riti processuali tendenzialmente accusatori e tendenzialmente accusatori e non necessariamente i secondi sono più garantisti dei primi.  La comparazione non è scienza di modelli ma richiede attenta considerazione e degli assetti costituzionali ed istituzionali complessivi e del “diritto vivente”, spesso diverso da quello dei testi. Nella comparazione non vi è spazio per dilettantismi

Problemi aperti

Pm, “avvocato dell’accusa” si dice. La ulteriore forzatura polemica “avvocato della polizia” è del tutto incompatibile con il nostro sistema processuale e, ancor prima, con i principi costituzionali. Il Pm può essere definito” avvocato dell’accusa” solo che si precisi “avvocato della pubblica accusa” e dunque con ruolo e doveri radicalmente distinti dall’ “avvocato della difesa”. Il Pm ha un duplice volto: costruisce e sostiene l’accusa, ma come parte pubblica ha un dovere di verità che lo differenzia radicalmente dall’avvocato difensore.

L’obbiettivo del processo penale è ovunque quello di stabilire la verità. A far giustizia di sbrigative posizioni che taluno ha voluto trarre dai principi del processo accusatorio, giova una citazione da un testo del 2001 di Lord Justice Auld (all’epoca presidente di un Royal Commission sulla riforma del processo penale inglese):Il processo penale non è un gioco. E’ la ricerca della verità secondo la legge, attraverso una procedura accusatoria nella quale l’accusa deve provare la colpevolezza secondo uno standard particolarmente elevato.[7]

Con la riscrittura nel 1999 dell’art. 111 della Costituzione si è costituzionalizzato non il mitico modello del “processo accusatorio”, ma il metodo del contraddittorio che, come ha scritto Glauco Giostra “costituisce uno strumento, ancor oggi il meno imperfetto, per la ricerca della verità, o, meglio, per ridurre il più possibile lo scarto tra la verità giudiziale e la verità storica”.[8]

Nel processo di fronte al giudice nel dibattimento accusa e difesa concorrono nel confronto contraddittorio alla raccolta delle prove.

Per il difensore, ferme le regole procedurali, unico obbiettivo e insieme rigoroso obbligo deontologico è la difesa del cliente; per il Pm, a livello di regola processuale e di obbligo deontologico, unico obbiettivo è la ricerca della verità, anche se contrasti con la sua iniziale tesi accusatoria e si traduca in acquisizioni a favore dell’imputato.

“Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità” (art.111 co. 2 Costituzione).

Ma il principio di parità non opera a tutto campo: il Pm nella richiesta al Giudice dell’Indagine Preliminare di emettere una misura cautelare è tenuto a presentare “gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate” (art. 291 codice di procedura penale). Ovviamente al difensore è precluso rendere noti elementi a carico dell’imputato.

L’inevitabile asimmetria tra accusa e difesa ci richiama il concetto di Pm come “parte imparziale”, spesso sbrigativamente liquidato come ossimoro: “quintessenza del fariseismo giuridico”, “più il pubblico ministero è parte e più il cittadino è garantito” così si esprime un noto avvocato penalista.[9]

Se qualche magistrato nella foga polemica si spinge a dire che il mondo invidia il modello italiano di Pm dice una evidente sciocchezza. Ma la nostra Costituzione è stata lungimirante: il tema della imparzialità ovunque è visto come nodo centrale nella definizione della figura del Pm. Non è un caso che negli ultimi decenni vi sia stata una straordinaria proliferazione a livello internazionale di testi, tra i quali lo Statuto della Corte Penale Internazionale, che pongono il principio dell’imparzialità del Pm (declinata talora con il termine “obbiettività” in lingua inglese).[10]

Il regolamento istitutivo della Procura Europea (Eppo) richiama il principio di imparzialità all’art 5.4:” L’Eppo svolge le indagini in maniera imparziale e raccoglie tutte le prove pertinenti, sia a carico che a discarico”.[11]

 In un lavoro di due noti avvocati torinesi, Gianaria e Mittone, il concetto di ossimoro è rivisitato proprio con riferimento al ruolo del difensore. La sua è una “lealtà divisa” vissuta quotidianamente rispettando tanto lo Stato quanto chi è accusato di averne violato le regole. Può sembrare un ossimoro che vuol nascondere ambiguità, ma praticare con rigore dedizione la “lealtà divisa” significa manifestare l’identità forte della professione di avvocato. Questi non può avere perplessità: il suo posto è accanto al cittadino coinvolto nelle strettoie della giustizia, la sua fatica consiste nello studiare e praticare le scelte a questo più favorevoli”.[12]

Il bel saggio dei due avvocati torinesi da cui ho tratto questa citazione è intitolato “L’avvocato necessario”. In un ordinamento penale democratico l’avvocato è necessario a rappresentare l’istanza di “libertà” contro la pretesa di “autorità” delle istanze che esprimono il legittimo monopolio della forza da parte dello Stato, su cui si regge la civile convivenza.

Nel processo l’avvocato non è solo necessario, ma indispensabile.  Per il Pm è “indispensabile” il confronto con un avvocato difensore, agguerrito che sia capace di convincerlo della infondatezza della tesi di accusa, inducendolo richiedere la archiviazione della indagine o l’assoluzione all’esito del dibattimento; ma capace anche di stimolarlo ad argomentare la sua tesi nel modo più convincente davanti al giudice, quando il Pm rimanga fermo della sua impostazione di accusa

Difesa e accusa, avvocati e pubblici ministeri: principi comuni, ruoli e regole deontologiche specifici. Semplificazioni ed elusioni di temi difficili non giovano all’analisi.

L’indebito “protagonismo”, la scarsa professionalità di alcuni Pm, sono patologie che vanno affrontate.  La questione del ruolo del Pubblico Ministero, che in Italia, come ovunque nel mondo, ha assunto un ruolo centrale nel sistema della giustizia penale, non la si risolve con gli slogan e le scorciatoie semplicistiche o surreali.

Vi è stato chi, muovendo da regole di galateo nei rapporti tra giudici e Pm che non dovranno più “darsi del tu” si è avventurato addirittura sul terreno dell’edilizia giudiziaria: “gli studi professionali non sono nel palazzo di giustizia. Non deve esistere un palazzo di giustizia ma uno della giurisdizione e l’altro degli uffici della pubblica accusa”.[13] Dovranno forse i futuri piani regolatori delle città prevedere distanze minime tra i rispettivi palazzi di giudici e Pm e magari “zone verdi cuscinetto”?  Una alternativa al Superbonus per sostenere l’edilizia?

Il Presidente dell’Unione delle Camere penali in una recente intervista alla domanda “Come replica a chi dice che, con la separazione e i due Csm, i Pm avrebbero ancora più potere?” non ha esitato a rispondere: Bisogna smetterla di prendere in giro le persone. Questo non è un argomento serio. Chi ci garantisce dal pubblico ministero è il giudice. Il Pm può essere anche un poliziotto allo stato puro, un appartenente ad uno squadrone della morte, cosa che comunque non avverrebbe, ma non potrebbe fare nulla perché, se il giudice non è d’accordo, non può arrestare, non può sequestrare, non può adottare misure di prevenzione patrimoniale.[14]

Un Pm “poliziotto allo stato puro”, dotato di discrezionalità illimitata lo conosciamo già: è quello dell’ordinamento statunitense, che penso nessuno, proprio nessuno, auspichi di replicare da noi. E poi dove sono finite tutte le giuste osservazioni sul grande potere che il Pm esercita nella fase iniziale segreta delle indagini, fuori del controllo del giudice e senza contraddittorio con la difesa?

La foga polemica porta fuori strada e altrettanto le battute sull’arbitro che, si dice “indosserebbe la stessa maglia di una delle due squadre in campo”. Ma il processo non è una partita in cui uno perde e uno vince e non vi sono due simmetriche squadre in campo, tanto diversi sono principi, ruoli e deontologia di accusa e difesa. Il singolo Pm o il singolo difensore potrà ritenersi non appagato dalla decisione del giudice che non ha accolto la rispettiva richiesta e potrà fare appello. Ma in quanto figure processuali la pubblica accusa ha “vinto la causa” anche se l’imputato è stato assolto, dopo che l’accusa è stata anche appassionatamente (e correttamente) sostenuta e la privata difesa ha “vinto” la causa anche se l’imputato è stato condannato dopo che la difesa è stata appassionatamente (e correttamente) sostenuta. L’obbiettivo comune è che vinca la verità, o meglio, per riprendere le parole già citate di Glauco Giostra che “sia ridotto il più possibile o scarto tra la verità giudiziaria e la verità storica”.

 Questioni complesse non sopportano ricette semplicistiche o battute che muovono da una premessa inesistente.

  Per il Pubblico ministero oggi il cantiere aperto è quello della professionalità, della accountability e della deontologia. Sono temi che toccano tutti e tre gli attori della giustizia: giudici, avvocati e pubblici ministeri.  Piuttosto che separare, dividere occorre impegnarsi per unire, nella costruzione di una comune cultura tra tutti gli esponenti delle professioni giuridiche, Università compresa. Un progetto ambizioso, ma ineludibile. Questo è il vero cantiere aperto su cui devono misurarsi le diverse istituzioni della magistratura e dell’avvocatura e le rispettive associazioni nell’interesse della giustizia e della garanzia dei diritti.

[2] Langer, D.A.Sklansky (edit.), Prosecutors and Democracy. A Cross-National Study, Cambridge University Press,2018, p.1 

[3] C.N. Tate, T. Vallinder (edit),The global expansion of judicial power, New York University Press, 1995

[4] ”M. Delmas-Marty,  Introduzione in Procedure penali d’Europa, a cura di M. Delmas-Marty, II ed. italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001, pp.10 e 21

[5]  A. Perrodet, Etude pour un ministère public européen, LGDJ, Paris 2001, p.1  Le ministère public reste l’institution la plus diversifiée en Europe

[6] Procedure penali d’Europa, a cura di M. Delmas-Marty, II ed. italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001

[7] In A rewiew of the Criminal Courts of England and Wales, september 2001, www.criminal-courts-rewiew.org.uk, p. 11: «The criminal process is not a game. It is a search for truth according to law, albeit by an adversarial process in which the prosecution must prove guilt to a heavy standard»

[8] G. Giostra, Prima lezione sulla giustizia penale, Laterza, Bari-Roma 2020,  p. 45

[9] G.Benedetto, Non diamoci del tu. La separazione delle carriere,  Rubettino,  Soveria Mannelli 2022, p.33 e 31

[10] M. Robert,Quale imparzialità per il pubblico ministero?, in Questione giustizia, 2005, 2, p. 402 ss...

[11] Regolamento (Ue) 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»

[12] F. Gianaria, A. Mittone, L’avvocato necessario, Einaudi, Torino 2007 p. 49

[13] G.Benedetto, Non diamoci del tu, La separazione delle carriere,  Rubettino, 2022 p 68

[14]  Intervista di V. Stella  all’ avv.Gian Domenico Caiazza, Il Ministro ascolti i cittadini e non i veri dei pm in congedo, Il Dubbio, 22 agosto 2023, p.1-2

Testo tratto da pubblicazione su Giustizia Insieme

Gli altri interventi

Saluti

Relazione introduttiva

Tavola rotonda:
I diritti sotto attacco

Dibattito congressuale