Giuseppe Cascini
Procuratore aggiunto alla Procura di Roma
Rivolgo un ringraziamento non formale al Ministro della giustizia per la sua partecipazione al nostro congresso. Come dirò meglio più avanti ritengo che il dialogo e l’ascolto siano una necessità inderogabile per migliorare la situazione della giustizia. E per questo ho apprezzato la scelta del Ministro di essere qui e la sua disponibilità al dialogo.
Alcune delle cose dette dal Ministro mi trovano d’accordo, in particolare quando ha parlato della necessità di intervenire sulla giustizia civile e di dotare di uomini e mezzi gli uffici giudiziari.
Purtroppo, però, noi dobbiamo fare i conti con l’immagine che ci restituiscono le iniziative fin qui adottate dalla maggioranza di governo in materia di giustizia, che è quella di una politica che da un lato è feroce, per certi versi anche spietata, nei confronti delle fasce marginali, dei più deboli, di chi avrebbe bisogno di aiuto e soccorso più che di una punizione. E dall’altro è più che indulgente nei confronti dei potenti.
Nella prima categoria, mi limito ad indicarli, rientrano il decreto sul rave, il decreto Cutro, le norme in materia di criminalità minorile, quelle che addirittura pretendono di affrontare con lo strumento penale un fenomeno sociale come la dispersione scolastica; nella seconda le proposte di abolizione dell’abuso d’ufficio (un delitto odioso, che punisce la prevaricazione di chi ha potere nei confronti di chi non ne ha), le limitazioni all’uso delle intercettazioni, la annunciata riforma in materia di prescrizione (l’ennesima nel giro di pochi anni, senza che nessuno si domandi quali conseguenze possa avere sulla organizzazione di uffici già di per se disastrati questo continuo mutamento delle regole), i ricorrenti condoni. Tutto questo condito da una manifesta insofferenza nei confronti dei controlli di legalità e della indipendenza dei magistrati, che trova la sua espressione più evidente nel disegno di legge costituzionale in materia di separazione delle carriere (disegno che, come già era per la proposta delle camere penali, utilizza lo slogan della separazione delle carriere per attuare in realtà una ben più ampia e incisiva riforma della Costituzione diretta ad incidere sulla indipendenza dei magistrati). D’altra parte l’idea di società che è alla base di un’azione politica che, come è stato efficacemente detto nella tavola rotonda di ieri, aumenta, invece che ridurre, le diseguaglianze sociali ed economiche non può tollerare una magistratura indipendente e fedele solo alla costituzione, che invece trova il suo fondamento proprio nel principio di uguaglianza sostanziale scolpito nell’art. 3 capoverso.
Al riguardo consentitemi una breve digressione rispetto a quanto detto ieri dal Vicepresidente del CSM e dal prof. Enrico Grosso in tema di rapporto tra giustizia e politica.
Nei moderni stati costituzionali la magistratura ha il dovere di difendere e preservare i diritti umani fondamentali a prescindere dalla volontà delle contingenti maggioranze. In questo non vi è alcuna supplenza o invasione di campo, in quanto il carattere universale ed irrinunciabile dei diritti fondamentali rappresenta un limite invalicabile all’azione di governo (che non è più libera nei fini e nei mezzi, come era nell’800). Su questi principi si fondano le moderne democrazie costituzionali, all’interno delle quali l’equilibrato bilanciamento dei poteri implica una magistratura indipendente quale irrinunciabile strumento di garanzia.
È evidente, allora, che questa impostazione ideologica dell’azione di governo in tema di giustizia rende molto difficile affrontare una discussione seria sui reali problemi e sugli effettivi bisogni del sistema giudiziario. Efficienza del sistema e professionalità dei magistrati dovrebbero essere gli obiettivi di qualunque maggioranza di governo. E invece ogni volta prende il sopravvento la ‘guerra contro i giudici’. Il sistema giudiziario ha bisogno di recuperare un livello di funzionalità, non dico al passo con gli altri paesi europei, ma almeno decente. Per raggiungere questo obiettivo è però necessario un ‘cessate il fuoco’; tutti gli attori in campo dovrebbero deporre le armi della ideologia e confrontarsi con animo costruttivo per trovare soluzioni condivise nell’esclusivo interesse del paese e dei cittadini.
Revisione della geografia giudiziaria, adeguamento delle risorse umane (magistratuali e non) adeguamento della struttura tecnologica di servizio, razionalizzazione delle procedure per ridurre i tempi dei giudizi; effettività dell’azione esecutiva e di recupero dei crediti; decriminalizzazione dei fatti di minore rilevanza e semplificazione delle procedure di accertamento.
Questo solo come interventi diretti sull’apparato giudiziario nella consapevolezza che la crisi della giustizia trova le sue cause profonde nella inefficienza dell’apparato amministrativo dello stato, nelle diseguaglianze economiche e sociali e nell’assenza di idonei strumenti di assistenza e sostegno sociale.
Noi siamo pronti a questo confronto e chiediamo agli altri di fare lo stesso.
Una giustizia che funzioni ha bisogno non solo di efficienza, ma anche di qualità delle decisioni. Da troppi anni la politica ha scelto di mortificare la professionalità dei magistrati, introducendo gerarchia, controlli burocratici e sanzioni.
L’esempio più eclatante è dato dal sistema dei giudizi differenziati introdotto dalla riforma Cartabia.
Con il risultato che la magistratura tende a ripiegarsi su stessa in una ridotta burocratica, fatta di ossequio ai dirigenti degli uffici, di conformismo ai precedenti, di scelte prudenti di carattere ‘difensivo’.
Mentre quello di cui abbiamo realmente bisogno è di escludere dall’ordine coloro che si sono dimostrati inadeguati. Non sono molti ma ci sono. Al riguardo potrebbe aiutare, mi permetto di suggerirlo, una previsione che consenta di ricollocare il magistrato nell’ambito della pubblica amministrazione come già avviene per i casi di dispensa per ragioni di salute. Questo potrebbe consentire di vincere le resistenze corporative che spesso si registrano in questi casi.
Avremmo anche bisogno di affrontare con serietà il tema della questione morale in magistratura. Anche in questo caso riguarda una minoranza molto ridotta di casi, che però esige una risposta ferma. Io non credo, per richiamare un tema discusso ieri, che i magistrati abbiano la pretesa di ergersi ad autorità morale. Può essere capitato in singoli casi, ma non è certamente una cifra caratteristica della magistratura italiana. Sono convinto però c’è chi come noi esercita questo terribile potere (come lo definiva Montesquieu) debba essere ed apparire sempre del tutto immacolato dal punto di vista etico. Su questo tema devo dire, da semplice osservatore volutamente un po’ distratto delle cose consiliari, che mi pare di registrare un qualche arretramento nella attuale consiliatura. In particolare mi sorprende il comportamento della componente laica di centrodestra. Il costituente ha previsto la presenza di una componente laica in CSM (in minoranza per evitare che la politica mettesse il tacco sulla testa dei magistrati) proprio allo scopo di arginare il rischio di derive corporative ed autoreferenziali delle componenti togate. Mi sembra, invece, che oggi, non so se per ragioni legate ad equilibri di potere all’interno del consiglio ovvero per una malintesa idea di garantismo, ahimè molto diffusa nel paese, che confonde il garantismo con la garanzia di impunità, si registri un forte abbassamento della attenzione su questo tema. E lo stesso mi pare di notare riguardo ai due consiglieri indipendenti, a riprova del fatto che probabilmente il corporativismo non è un male solo delle correnti, ma più in generale dei magistrati.
È possibile che continuando su questa strada la politica alla fine riuscirà a vincerla questa guerra contro i magistrati.
Non credo attraverso una modifica della costituzione. Perché il popolo italiano (quella maggioranza silenziosa di cui parlava ieri Anna Falcone) per fortuna ha dimostrato negli ultimi decenni di non fidarsi tanto dello ‘spirito costituente’ degli attuali governanti ed ha sempre bocciato le riforme costituzionali. Ma la guerra potrà essere vinta fiaccando lo spirito dei magistrati e la loro capacità di essere indipendenti.
Solo allora, però, vi accorgerete di avere segato il ramo sul quale eravate seduti anche voi e la nostra debole democrazia, perché senza una magistratura indipendente è la libertà di tutti ad essere indebolita.
Spesso quando si parla di riforme della giustizia si evoca la necessità di evitare l’errore giudiziario. Vorrei ricordarvi che il più famoso errore giudiziario della storia dell’umanità fu quello di un prefetto di Giudea che scelse di condannare un innocente e mandare libero un colpevole, perché ciò la folla gli chiedeva. Mentre l’indipendenza del giudice, come ci ha insegnato Luigi Ferrajoli, serve proprio a questo: assolvere l’innocente anche quando la maggioranza ne chiede la condanna, condannare il colpevole anche quando la maggioranza ne chiede l’assoluzione.