Intervento

Debora Serracchiani
Deputata e responsabile giustizia del PD

Se, grazie all’indicazione della segretaria, ho il ruolo di responsabile nazionale Giustizia del Partito Democratico, ho assolutamente il dovere di partecipare a questi consessi. E ringrazio il segretario per l’invito, anche perché ho ascoltato molti interventi e – mi consentirà il segretario – sarà un po’ anche mio dovere dire dov’è che proprio non coincidono i nostri pensieri. Ma anche dove abbiamo lavorato insieme e dove continueremo a lavorare insieme, sempre con il faro della Costituzione, come da molti è stato detto e non ultimo ricordato anche dal presidente Santalucia.

Per noi la Costituzione è fondamentale, lo ricordava la nostra segretaria nel suo intervento. Ebbene, io credo che di fronte agli interventi a cui abbiamo assistito in questi mesi – sono interventi per lo più emozionali – mi ha molto colpito però quello che ha detto questa mattina il ministro Nordio: noi agiamo sulla base del consenso che ci è stato dato dagli elettori. E ci mancherebbe.

Del resto – ricordava anche il presidente Santalucia – quando ci dicono e ci ricordano che sta nel programma di governo sembra ormai scritto sulla pietra. Credo che la politica, come anche e soprattutto il governo, debba avere anche l’ambizione di non fermarsi soltanto a quel consenso o quel programma elettorale. Dovrebbe avere l’ambizione dell’ascolto, della capacità di sintesi e della rappresentanza di tutto il popolo italiano, non solo di quelli che ti hanno votato.

Perché allora comprenderesti che rispetto ad alcune azioni, probabilmente, l’agire deve essere più immediato e più consapevole. Anche rispetto a ciò che abbiamo visto finora, gli interventi del Governo ci sono parsi non organici, spesso propagandistici, spesso di parte e anche sull’onda del momento.

Fatemi dire la prima considerazione per chi come noi mette come faro la Costituzione. Noi abbiamo più volte detto – c’è stato anche un richiamo anche del Presidente della Repubblica, ahimè inascoltato – che le norme penali non possono essere previste e contenute in decreti legge. Perché le norme penali meritano un’attenzione, un tempo, un giudizio meditato da parte del Parlamento. E non possono essere ogni volta inserite in decreti legge che in poche ore devono essere decisi. Peraltro con questo ormai monocameralismo perfetto per cui si agisce soltanto in una camera, si passa dall’altra parte, l’altra parte fa soltanto la ratifica e non c’è la possibilità di alcuna discussione. Perché quando ci si lamenta – e giustamente i magistrati lo fanno – di come sono scritte le leggi, forse bisognerebbe anche riflettere su come ormai il Parlamento lavora e su come, purtroppo, questi tempi così accelerati ci impediscono molto spesso di approfondire i temi. E la correttezza della legislazione spesso viene messa da parte perché è più importante finire presto. Quindi, no al decreto legge per le previsioni del diritto penale.

Dopo di che il ministro oggi ci diceva che la sua priorità è il diritto civile. Io, onestamente, non ricordo in un anno un intervento che abbia riguardato il processo civile. Ricordo interventi che hanno riguardato, ahimè, sempre il diritto penale e spesso sull’onda del momento. Hanno introdotto nuovi reati: penso al “rave”, penso alla maternità surrogata come diritto universale, penso a quello che è stato detto sulla necessità di rivedere il reato di tortura – proprio adesso –. Penso a quello che è stato detto sull’evanescenza del concorso esterno in associazione mafiosa. Penso a quello che è stato detto e fatto, ad esempio in tante circostanze, nei confronti della magistratura, dove nei fatti si è lesa l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. Lo dico anche per un’esperienza personale: così come la magistratura è attaccata nella sua indipendenza e autonomia, anche il Parlamento è attaccato nelle sue prerogative. Perché, vi posso assicurare, che essere in un’aula alta come la Camera dei Deputati e sentirsi attaccare a manganellate utilizzando documenti riservati e sentire un ministro dire che la riservatezza di cui di quei documenti è fatta dal ministro, perché è il ministro che decide se sono riservati oppure no. E sentire che l’imputazione coatta va eliminata dal nostro codice, perché così com’è non funziona, perché politicamente non funziona, penso che stiamo andando oltre la semplice lesione dei diritti e dei doveri.

Perché sentirsi altresì dire – e questo, guardate, è la cosa che fa più male – che un deputato che entra in un carcere vede, ascolta, parla, esercita il suo dovere e la sua prerogativa costituzionale automaticamente diventi terrorista o mafioso perché incontri terroristi o mafiosi è una cosa che in un paese civile e di diritto come l’Italia non si può sentire. Altrimenti lo sentiremo in altri Paesi, come quello di cui ci ha parlato questa mattina il collega e si parlava della Polonia.

Scusate questo piccolo intermezzo, però mi tocca personalmente, perché credo onestamente che si stia agendo in tutt’altra direzione. Non puoi dire che stiamo lottando contro la mafia e poi elimini l’abuso d’ufficio, che è il cosiddetto reato di sentinella, uno di quei reati che molto spesso ti fa arrivare a reati più gravi. Lo dico da responsabile Giustizia del Partito democratico, consapevole che alcuni sindaci del Partito democratico pensano che sia giusto. Perché il dovere della politica è anche dire quando le cose si possono o non si possono fare, quando si pensa che siano giuste, oppure no, perché in questo caso stiamo ledendo anche i diritti dei cittadini.

Sulla separazione delle carriere, io mi appello al segretario, che oggi lascia il suo incarico. Lo voglio ringraziare per come ha lavorato in questi anni. Anche per la cortesia con cui mi ha invitato e per la profondità della sua relazione che ha toccato tutti i temi, anche quelli su cui non siamo perfettamente d’accordo.

Per esempio, il Partito Democratico ha un’opinione diversa della riforma Cartabia. Noi pensiamo che vada attuata, migliorata. Nessuna riforma perfetta, però ci sono degli spunti importanti. Penso alle misure alternative al carcere, penso a quello che, purtroppo, non siamo riusciti a fare fino in fondo, ma che è importante anche rispetto ad alcuni principi costituzionali. Ma credo che quella sia una direzione da seguire, anche perché il rischio è che perdiamo i fondi del PNRR. Guardate – lo sapete meglio di me – quei fondi non si possono utilizzare per fare le assunzioni. Ma si possono utilizzare per fare altro e liberare risorse per fare le assunzioni nel bilancio dello Stato. Certo che, però, se fai la flat tax e fai altro… è chiaro che non riservi quei fondi per le assunzioni in giustizia così come è importante.

A noi sembra che questa azione non sia poi così chiara, diretta, o meglio, noi sembra che abbia anche molte ombre. Abbiamo presentato più volte, ad esempio, emendamenti per la stabilità d’azione dei lavoratori e lavoratrici dell’Ufficio per il processo che, pur con tutte le sue difficoltà, ha avuto un esito e un utilizzo molto importante.

Come Partito Democratico stiamo facendo la visita delle Corti d’appello. Perché le Corti d’appello sono i luoghi dove stiamo vedendo se funziona oppure no l’organizzazione. E permettetemi anche una considerazione: forse l’errore della politica è che pensa di risolvere sempre i problemi della giustizia intervenendo sul processo e quasi mai sull’organizzazione della giustizia. E su questo non è solo una questione di risorse. Nelle Corti d’appello noi stiamo vivendo questa riorganizzazione. Molte di quelle Corti d’appello ci hanno detto che gli uffici per il processo sono oggi una realtà, da istituzionalizzare, importante su cui fare riferimento. Ho avuto occasione di parlare con molti presidenti che si stanno molto impegnando e i risultati si vedono e sono assolutamente straordinari.

Parlavo della separazione delle carriere, segretario: non è un tema che scalda i cuori e probabilmente non ne sentiremo parlare nei bar. Ma io credo che avremo il dovere di spiegare ad ogni singolo cittadino italiano che cosa significhi. Poi sarà libero di scegliere, di decidere. Ma dobbiamo dirgli che cosa significa.

Noi stiamo già esaminando delle proposte di legge. Il presidente Santalucia è stato audito, insieme al segretario generale, insieme alla vicepresidente Maddalena. La separazione delle carriere mina i nostri valori fondanti della Costituzione. Basta leggere le proposte di legge che sono depositate al Senato all’esame della commissione Affari costituzionali. Me lo faccia dire, però, presidente, che quelle proposte sono esattamente la fotocopia presentata nelle loro proposte dalle Camere penali. E questo è un tema su cui, forse, dovremmo discutere. Perché diciamo che avvocati e giudici devono dialogare, però partiamo dal presupposto che su alcuni punti c’è una certa lontananza, in particolare con le Camere penali. Quelle proposte di legge sono la fotocopia di quella proposta dalle Camere penali.

Dice il ministro che ne farà una propria: al momento non si vede. Ma cosa dice il ministro intervistato dal Corriere della Sera? Che la separazione delle carriere è fondamentale, perché il punto di arrivo deve essere – sto citando testualmente – la discrezionalità dell’azione penale. Ora, nel momento in cui noi facciamo la separazione delle carriere e, quindi, diciamo che si supera quel principio fondamentale che è l’obbligatorietà dell’azione penale, stiamo anche dicendo che va a finire nel cestino l’articolo 3 della Costituzione nella parte in cui dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Perché non lo saranno. Perché inevitabilmente non potranno esserlo.

Il ministro ricorda due casi e io dico sempre che quando si fa riferimento al diritto comparato bisogna usare la massima cautela, perché gli ordinamenti sono sempre profondamente diversi. Uno dei due esempi sono gli Stati Uniti, dove vorrei ricordare che il procuratore è eletto dal popolo. E basterebbe guardare nei video di YouTube qualche campagna elettorale dei procuratori texani sulla pena di morte per capire di cosa stiamo parlando. E l’altro esempio è la Gran Bretagna, dove vorrei ricordare che c’è Scotland Yard e che, quindi, il rapporto con il procuratore, con quello che è il nostro pubblico ministero, è tutt’altra cosa.

Allora, delle due l’una: o noi stiamo dicendo che il procuratore finisce sotto la polizia giudiziaria o stiamo dicendo che finisce sotto il potere esecutivo. Ma salta l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. Ma salta, soprattutto, il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Questo è il fondamentale che dobbiamo spiegare. Perché dobbiamo spiegare che la separazione delle carriere non ha nulla a che fare con i problemi della giustizia.

Come nulla ha a che fare la riforma sulla prescrizione che ci hanno portato all’esame della commissione Giustizia alla Camera qualche giorno fa. La quinta riforma sulla prescrizione in otto anni! Ma a che serve se non a complicare la vita a voi, a noi, agli operatori del diritto, ai cittadini?

Peraltro, noi del Partito Democratico qualche dubbio a dire sì o no all’inizio ce l’avevamo, perché ci avevano detto che era come quella di Orlando. Poi ci hanno chiarito tutto, perché han detto: no e il ritorno alla Cirielli. Peccato che anche Cirielli la disconosca perché dice: no, non piace neanche a me. Allora, evitiamo di perdere tempo – perdonatemi se uso questo termine – su riforme che non servono.

Serve una forte azione dell’associazionismo, serve una fortissima azione della politica. Noi ci siamo. Ma c’è bisogno davvero che questa diventi una missione collettiva. Se la giustizia giusta non è una missione collettiva, non basta la politica, non basta la magistratura, non basta appellarsi alla Costituzione.

Serve che il popolo italiano capisca che è un problema anche per se stesso. Perché, purtroppo, fintanto che non diventa un problema tuo ed è un problema degli altri, non è un problema.

Trascrizione a cura della redazione,
rivista dalla relatrice

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Saluti

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