Intervento

Maurizio De Lucia
Procuratore della Repubblica di Palermo

Grazie alla qualità di questo congresso, grazie al fatto che il Congresso si svolge a Palermo, perché Palermo, quando si parla di giustizia, non è una sede come le altre. Questa è la sede dove ci sono stati i nostri caduti. Ogni volta che si parla di giustizia qui, lo si deve fare pensando a chi sulla giustizia non solo ha lavorato, ma ha immolato la sua vita. E, quindi, con rispetto, con ragionevolezza, con la forza di dare dei contributi.

Ho sentito contributi – peraltro molti ampiamente condivisibili – su temi che sono già stati trattati e che quindi io sintetizzo nella maniera più rapida possibile.

Prima di tutto, separazione delle carriere. Già è stato detto, in particolare dal presidente Conte, che siamo ancora a parlare di un tema sul quale si è votato 14 mesi fa e abbiamo sentito che cosa ne pensa il corpo elettorale. Votano in Italia 51 milioni di cittadini. Si sono recati alle urne il 20% di questi cittadini, hanno votato per l'abolizione di quella normativa 6 milioni di cittadini. Ma il dato significativo è che hanno votato contro 2 milioni mezzo di cittadini, cioè una minoranza che è quasi la metà di quella maggioranza. Allora, se noi sommiamo una parte di quelli che andrebbero a votare con quelli che hanno votato contro capiamo quanto nell'opinione pubblica conti questo tema.

La separazione delle carriere – lo abbiamo già detto ֪– porta a una manifesta violazione dell'articolo 3 della Costituzione. C'è poco da dire e anche poco da scrivere in questa situazione. Non c'è alcun dubbio che un pubblico ministero separato dal giudice da qualche parte lo si deve mettere e la collocazione a quel punto diventa naturale: subordinato all'esecutivo. E subordinato all'esecutivo vuol dire discrezionalità dell'azione penale e si torna a quello che si diceva. Perché le strade sono solo queste. Anche io mi spaventerei di un pubblico ministero che non risponde davvero a nessuno.

Per cui la separazione delle carriere non si farà. Ma quando mai si dovesse fare, vorrei vedere qual è l'ulteriore conseguenza davanti ai processi, perché i processi, qualunque sia il sistema processuale, non sono mai perfetti. Quindi, ci sarebbe anche in quella situazione qualcuno che avrebbe di che lamentarsi. Ma come? Dopo che abbiamo separato le carriere, che abbiamo realizzato la perfezione della giurisdizione… continuiamo ancora ad avere errori giudiziari? Ad avere qualcuno che paga senza ragione o in forza di un errore? Sono due cose diverse. Davvero la separazione non serve a nulla, se non a questo.

E sottolineo su questo punto, soltanto un altro tema. Abbiamo parlato del 112, abbiamo parlato del 101 e del 104, ma l'articolo 109 della Costituzione, per come lo si vuole modificare, implica la perdita di controllo da parte del pubblico ministero della Polizia giudiziaria. Perché quella riserva di legge che si inserisce lì dove oggi c'è scritto che la polizia giudiziaria è alle dipendenze funzionali del pubblico ministero senza se e senza ma, diventa con i tanti “ma” della legge ordinaria. Una polizia giudiziaria che non dipende dal pubblico ministero è una polizia giudiziaria debole lei davanti all'esecutivo. Perché tutti quelli che qui hanno fatto il pubblico ministero sanno quanto è stato importante a volte esonerare l'ufficiale di polizia giudiziaria nel riferire le informazioni alla sua scala gerarchica, a tutela sua e a tutela delle indagini. In qualche misura anche a tutela della scala gerarchica, che ha evitato possibili ulteriori incriminazioni.

Il sistema è questo ed è un sistema che ha funzionato. Palermo è testimone di trenta e oltre anni di lotta alla mafia fatta da magistrati che hanno diretto le indagini e dalla polizia giudiziaria di altissima qualità che le ha fatte. Ma senza il binomio magistrati, che dirigono le indagini in maniera autonoma, e polizia giudiziaria, che esegue, i risultati che sono stati conseguiti in questi trent’anni non sarebbero stati possibili. E non sarebbero stati possibili per una ragione che riguarda l'insieme delle mafie. Se le mafie non sono soltanto criminalità organizzata di tipo gangsteristico, ma sono soprattutto relazione mondi altri, che sono quello della politica, dell'economia e dell'imprenditoria, il freno a questo tipo di iniziative investigative sarebbe arrivato. E sarebbe proprio da quei mondi attraverso i loro rapporti con la politica, che l'attuale Costituzione tiene lontani dalle funzioni della polizia giudiziaria, perché la responsabilità di quelle indagini non è della politica, non è dell'esecutivo, ma è del pubblico ministero.

Questo è un valore che va salvaguardato perché ha dato prova di essere un valore importante e perché è un valore che ci consente di proseguire in quella lotta incessante che qui a Palermo – lo dico da procuratore della Repubblica – abbiamo iniziato a fare trent'anni fa, quando ero sostituto e io c'ero quando sono esplose le autostrade e i palazzi di Palermo.

E lo dico oggi dopo i risultati che il mio ufficio ha conseguito, grazie alle forze di polizia che li hanno resi straordinari, perché segnano la chiusura di un ciclo. Ma sia chiaro – approfitto di questa sede per dirlo – la cattura di Matteo Messina Denaro il 16 gennaio di quest'anno segna sì la fine di un ciclo, ma nessuno possa pensare, che segna la fine della lotta alla mafia. Perché la mafia – noi lo sappiamo dalle intercettazioni di quello stesso giorno – ha iniziato a rielaborare nuove strategie. Loro ci sono, noi ci siamo e siamo più forti di loro, ma dobbiamo avere consapevolezza di quello che c'è e di quello che può accadere.

E allora, se il problema non è la separazione delle carriere, ma è cosa diversa… dobbiamo porci il problema di che cosa sono le cose diverse di cui dobbiamo parlare.

Intanto il fermo biologico. Perché – lo ricordava l'onorevole Serracchiani – l'abuso d'ufficio è stato modificato l'ultima volta nel 2020. La prescrizione, ho dovuto consultare i vari codici, nel 2005, 2017, 2020. Il sistema delle intercettazioni dal 2017 con tutta una di modifiche. La disciplina della custodia cautelare è stata modificata costantemente negli ultimi venti anni.

Qualunque sistema giuridico ha bisogno di assestarsi: noi dobbiamo vedere prima se le cose funzionano e poi modificare quello che si può e che si deve modificare. Nulla è immodificabile, però, dobbiamo essere concreti. Se tutti vogliamo che il sistema funzioni e allora questo sistema deve essere criticato nelle parti in cui deve essere criticato, ma prima bisogna vedere se funziona.

Ho tutti i dubbi del mondo sull'attuale sistema di prescrizione. Però io vedo nel concreto, che il fatto di sapere che dopo il primo grado di giudizio il processo non si prescrive più, comincia a contare persino in quei reati per i quali Palermo è “distratta”, quelli che si puniscono con decreto penale di condanna. Fino a poco fa, nessuno avrebbe mai pensato di pagare la sanzione… invece ora si comincia a pagare. È un fatto incredibile. Ma siccome si sa che l'azione penale non si prescrive più dopo la decisione del giudice, qualcuno comincia a farsi due conti e a dirsi che forse è più conveniente pagare, piuttosto che aspettare che qualcuno lo venga a chiedere. Non è la rivoluzione, ma sono segnali.

E allora dov'è che bisogna veramente lavorare? Lo si dice tutti, però poi in concreto… il tema è quello delle risorse. Con 1500 magistrati in meno non potrà mai funzionare un sistema accusatorio verso il quale si punta.  Una quantità sterminata di personale amministrativo che manca e che deve essere formata, perché non basta prendere la gente che prima lavorava presso la Regione Veneto – per citarne uno a caso – e poi metterlo nei tribunali se prima non gli spieghi che cosa devono fare. Questo vuol dire formazione, creare professionalità.

E poi le risorse non devono solo essere aumentate, devono essere razionalizzate. Un tema di cui sento parlare è quello della riapertura dei piccoli tribunali, perché la giustizia di prossimità è importante. Ma quella non fa giustizia di prossimità, quella dà la possibilità al cittadino di presentare la denuncia o di iniziare la causa. Ma nessuno gli dice quando finirà quella causa. Che non finirà. Perché i tribunali sotto un certo numero di magistrati non possono funzionare in natura per quello che è il nostro sistema.

Quindi bisogna avere il coraggio di tornare e di invertire la rotta. Non aprire piccoli tribunali, ma accorpare i tribunali. Individuare lo standard medio di magistrati che servono per quei tribunali e creare anche in questo modo un recupero di risorse e nuovi investimenti per quei nuovi tribunali. Altrimenti continueremo a fare inaugurazioni di sedi e saremo ben felici di quelle inaugurazioni. Ma i processi non si faranno. E non si faranno quelli, né quelli degli altri.

E a proposito di risorse, l'investimento sul piano tecnologico è davvero fondamentale. Quando io ho lasciato il Palazzo di Giustizia di Palermo diversi anni fa per assumere altre funzioni, il primo palazzo era pieno di gente e quando sono tornato ho visto che la gente era molta di meno. Il primo pensiero è stato per i miei colleghi – questi non lavorano – ma non è così, naturalmente. È che intanto il processo civile è diventato una cosa altra. Una cosa che non si fa più dentro il Palazzo di Giustizia. E allora dobbiamo prendere consapevolezza di questo.

Lo sforzo verso la informatizzazione dei processi è uno sforzo decisivo, perché ci consente di avere le risorse per fare i processi di qualità. L'accusatorio è un tema che richiede qualità e la qualità richiede soldi e i soldi sono questo. Se noi riusciamo fare queste cose, allora al servizio giustizia abbiamo veramente fatto qualcosa di importante.

In conclusione, dobbiamo parlare anche di noi, naturalmente. Dobbiamo chiedere e pretendere dalla politica, perché è giusto che noi si chieda quello che ci serve per fare funzionare la macchina. Però poi non basta, perché dobbiamo guardarci in casa. E ragionare su tutte le riforme che si stanno verificando, prendere il bene dalle cose e separarlo dal male.

Sul tema delle procure sono molto attento. È vero, io sono un procuratore, uno di quelli che dirige, e quindi è ‘cattivo’ per definizione. Però immaginare nelle procure un potere diffuso fra i sostituti, secondo me, indebolisce fortemente l'indipendenza esterna della magistratura. L'indipendenza interna si salvaguardia attraverso norme di controllo e procedure trasparenti, che riguardano il procuratore della Repubblica, che devono essere amministrate dall'interno dell'ufficio e dal Consiglio superiore della magistratura.

Ma, attenzione, perché avere tanti piccoli pubblici ministeri, ciascuno asseritamente autonomo e indipendente, li mette nelle mani – tranne naturalmente le eccezioni – di poteri che poi noi non controlliamo. Possono essere la polizia giudiziaria che crea rapporti di particolare interesse con alcuni; che possono essere quelli più deboli che ne risentono anche in termini di pavidità della loro azione. Quindi discutiamo. Teniamo aperto il confronto sul tema delle procure. Ma dobbiamo avere presente che il tema delle procure non è la stessa cosa del tema del giudicante e ce lo insegna proprio la storia della lotta alla mafia. La lotta alla mafia non si può fare per singoli magistrati, ma si deve fare per gruppi di magistrati dove il valore fondamentale è quello del coordinamento. È un valore fondamentale che richiede che dopo il coordinamento ci sia la responsabilità. E la responsabilità deve essere data in capo ai procuratori della Repubblica. Ma con un’accortezza, perché quello che si sta verificando in questo momento è anche una gerarchizzazione esterna. Dell'ultima legge in materia di codice rosso, tutti contenti che sia stata approvata, ma in realtà crea soltanto criticità agli uffici e non risolve assolutamente il problema della tutela delle donne. Perché io avoco un procedimento a un collega che nei tre giorni non ha sentito la persona informata sui fatti. Dopo di che si innesta una subprocedura perché quella ha ragione di spiegarmi per quale ragione non l'ha fatto. Io allora prendo l'altra collega, che pure lei è in ritardo di tre giorni, le tolgo il procedimento, li riassegno perché non è pensabile che sia io quello che poi deve sentire le persone offese, visto che ho altri problemi, compreso quello di autorizzare i comunicati stampa… ma questa è un'altra storia. Ecco, quindi, abbiamo creato nuova burocrazia.

La storia ci insegna che i procedimenti complessi si fanno con più magistrati, con soggetti responsabili che li dirigono, secondo le regole della democrazia e non dell'autocrazia, naturalmente.

Infine, a tutti noi una sola raccomandazione che viene da Leonardo Sciascia, dal dialogo fra il procuratore della Repubblica e il vecchio professore Franzo che lo interroga. È una pagina, questa sì, che va mandata a memoria da tutti i magistrati della Repubblica: “Il magistrato scoppiò a ridere: «L'italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma come vede, non è poi stato un gran guaio. Sono qui, procuratore della Repubblica…». «L'italiano non è l'italiano. È il ragionare — disse il professore — con meno italiano lei sarebbe forse ancora più in alto». La battuta era feroce, il magistrato impallidì e passò a un duro interrogatorio”. Vi ringrazio.

Trascrizione a cura della redazione,
in attesa di approvazione dal relatore

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Saluti

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I diritti sotto attacco

Dibattito congressuale