Intervento

Carlo Nordio
Ministro della Giustizia

Cari colleghi e colleghi, perché semel semper magistrato.

Saluto le Autorità, saluto i rappresentanti della politica. Leggendo qualche critica in questi giorni e anche questa mattina – critiche, ovviamente, non solo più che legittime, ma doverose – quasi mi veniva il ricordo di quello che De Gasperi disse al Congresso di Parigi dopo la guerra: che qui dentro tutto sembrerebbe ostile, tranne la vostra personale cortesia. Naturalmente non è così. Io spero che non sia così e non sarà così.

Anche se il discorso, per ragioni istituzionali, è già scritto, in genere io prendo qualche spunto dalla relazione precedente. È stato citato Anatole France, che è uno dei miei autori preferiti. Era un camarade, un compagno; poi ha oscillato tra il Partito socialista e il Partito comunista ed è stato anche espulso. Io renderei i suoi libri obbligatori alla Scuola della magistratura. Senza volermi autocitare, vorrei dire che io ho tradotto e commentato per Liberilibri, il racconto Crainquebille di Anatole France. I suoi personaggi parlano spesso di giustizia. E parlano spesso di giustizia nei termini che sono stati citati prima, cioè del povero carrettiere, Crainquebille, che viene soffocato dalla giustizia. Parlano della giustizia che si accanisce contro il povero.

Ma c’è anche un’altra faccia di Anatole France, quando parla della giustizia che si accanisce anche contro il ricco. Perché di fronte al giudice sono tutti poveri, sono tutti impauriti, sono tutti deboli e paradossalmente chi più ha da perdere, più è impaurito e più si sente debole.

Io ho condotto indagini dalle Brigate Rosse dal 1980 all’82 e poi da Tangentopoli veneta negli anni ‘90 fino al Mose, che è stato, probabilmente, il più grande episodio di corruzione nel Veneto. In 40 anni, sono sempre stato alla Procura della Repubblica, ho visto che più era alta la classe sociale dell’imputato indagato e più questo era tremante davanti al magistrato. Molto spesso il piccolo criminale neanche si presentava all’invito a comparire. E invece il sindaco, magari per un reato da poco, arrivava pallido e smunto perché non aveva dormito da dieci giorni.

La giustizia è relativa: questo insegnava Anatole France. Bisogna sempre tener presente i rapporti tra chi sta da una parte e dall’altra. Ed è per questo che secondo me Anatole France andrebbe studiato, perché insegna il buon senso e l’umiltà, che dovrebbero essere prima caratteristiche del magistrato.

Per quanto riguarda la nostra chiacchierata di oggi, io vorrei iniziare dicendo una cosa che ho già ripetuto, ma non è mai stata riportata dai giornali.

La prima parte, è quella, direi maggioritaria, del programma che io ho enunciato alle Camere e alle commissioni. Riguarda la giustizia civile, o meglio riguarda l’efficienza della giustizia. Questo è un tema che dovrebbe essere condiviso – e spero sia condiviso – perché l’emergenza economica oggi è la maggiore emergenza in Italia e la lentezza dei processi ci costa due punti di Pil. E questo lo sappiamo.

Rendere i processi più veloci è stata ed è una necessità, anche se non sembra. Capisco che i giornali facciano polemica, perché certi argomenti sono più sensibili di altri, però vi assicuro che la gran parte delle nostre energie sono state dedicate proprio all’efficienzamento della giustizia, soprattutto in funzione dell’attuazione del PNRR che per noi è vincolante.

Se poi sono stati fatti degli accordi di difficilissima attuazione, come lo smaltimento del 90% degli arretrati dei processi, questa è una cosa che noi stiamo affrontando con grande preoccupazione, ma anche con grande determinazione, e per certi aspetti anche con la fantasia. Ed è qui che noi vorremmo avere il contributo di tutti i colleghi, perché nessuno meglio di noi sa quali siano le difficoltà di smaltimento di questo arretrato, tenuto conto della mancanza di risorse umane, finanziarie e logistiche.

Vorrei solo citare – qui leggo altrimenti potrei dimenticare qualcosa –  la revisione delle piante organiche del personale amministrativo, calibrate in base agli effettivi carichi di lavoro. Poi, per risolvere i cronici problemi di assunzione, soprattutto in alcune regioni, abbiamo stipulato i primi accordi locali per garantire tempestività, stabilità e certezza di quelle procedure. Nel Veneto abbiamo già cominciato: abbiamo assunto in via estremamente celere più di 60 unità, che sono state inviate gran parte nel sofferente ufficio giudiziario di Venezia della Corte d’Appello. Non per campanilismo, ma semplicemente perché l’interlocuzione con il governatore di Venezia è stato più facile rispetto agli altri, perché c’era una relazione personale. Adesso lo faremo con l’Emilia Romagna, lo abbiamo fatto con il Trentino-Alto Adige, lo faremo con Milano. Tutto questo non comporterà la risoluzione, ma la riduzione delle criticità che noi stiamo soffrendo.

Poi siamo intervenuti sul fronte della digitalizzazione: abbiamo una banca dati con 3 milioni e mezzo di sentenze di merito civili che sono già disponibili. Abbiamo fatto un’accelerazione sul processo civile telematico e nuovi passi anche per quello penale, con la possibilità di deposito di atti telematici. Presto il tribunale on line sarà una realtà molto utile per la volontaria giurisdizione e la digitalizzazione dei fascicoli in atto introdurrà la giustizia in un’era nuova.

È proprio da una richiesta urgente degli uffici che è nata la norma per la creazione di quattro server nazionali per la conservazione delle intercettazioni. È stata chiesta espressamente dal procuratore nazionale antimafia e abbiamo dato la priorità assoluta.

Colgo l’occasione – non si ripeterà mai abbastanza – che quando io ho parlato e parlo di intercettazione non solo lascio sempre da parte il problema della delinquenza organizzata, terrorismo e mafia sulla quale non solo non si tocca nulla, ma proprio come il Procuratore nazionale antimafia, stiamo progettando tutta una serie di interventi nuovi perché la delinquenza organizzata oggi, la grande delinquenza non comunica con i mezzi tradizionali.

Quando io ho detto una volta alla Camera che la mafia non parla per telefono – ed è stata una specie di rivoluzione, Nordio fa un favore alla mafia eccetera – alludevo al fatto che noi sappiamo perfettamente che oggi le grandi organizzazioni criminali comunicano con dei mezzi che noi non siamo in grado di intercettare perché costano tanti soldi e soltanto alcuni organismi internazionali, di cui ovviamente non faccio riferimento, con forti spese sarebbero in grado di captare.

Noi, invece, questa capacità non l’abbiamo. Magari spendiamo milioni di euro per altre cose, però non siamo in grado di intercettare le comunicazioni della grande delinquenza organizzata. Se avete dei dubbi su questo, interpellate il nostro collega Melillo, procuratore nazionale antimafia e vedrete che siamo perfettamente in linea.

Queste dunque sono le nostre nostre priorità: quelle di dare efficienza alla giustizia.

Però non mi nascondo che vi sono delle opinioni dissenzienti tra di noi su molte cose, lo abbiamo sentito prima. Da buon liberale, da vecchio liberale, io penso che le critiche siano non solo benvenute, ma doverose e costruttive. Da liberale penso anche che, come diceva Senofane, gli etiopi dipingevano i loro dèi neri e con gli occhi scuri, mentre i Traci li dipingevano in modo diverso e se un triangolo potesse pensare, vedrebbe Dio fatto a triangolo. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che ognuno vede la realtà secondo le proprie prospettive, che sono diverse le une dalle altre.

A sentire molti colleghi, la separazione delle carriere sarebbe disastrosa per la democrazia. A sentire le Camere penali sarebbero la panacea di tutti i mali. Ognuno la vede sotto una diversa prospettiva. Compito della politica è quello, da un lato di comporre queste esigenze, ma anche di dare attuazione a quello che è il mandato popolare. E su questo io mi permetto di citare quello che ha detto il presidente Mattarella all’inaugurazione del corso della Scuola di magistratura, pochi mesi fa: “La Costituzione definisce con puntualità l’ambito delle attribuzioni che sono affidate agli organi giudiziari, così come i compiti e le decisioni che appartengono invece ad altri organi titolari di altri poteri. Questo riparto va rispettato. Nel quadro degli equilibri costituzionali i giudici sono appunto ‘soggetti soltanto alla legge’. Il che realizza l’unico collegamento possibile, in uno Stato di diritto, tra il giudice, non elettivo né politicamente responsabile, e la sovranità popolare, di cui la legge, opera di parlamentari eletti dal popolo e politicamente responsabili, è l’espressione primaria”. Questo ha detto Mattarella, questa è la Costituzione e questa è ovviamente la mia idea.

Detto ciò, finisco con un’assicurazione. Io ho fatto il magistrato esercitando questa nobile professione. Se tornassi indietro la rifarei. Dopo sei anni di decantazione ratione aetatis, sono ancora convinto di sentirmi con la toga addosso. L’assicurazione che posso dare, è che quali che siano le riforme per me sarebbe una bestemmia, un’eresia, una cosa metafisica, pensare che la magistratura, sia quella giudicante sia quella inquirente, potesse un domani finire sotto il controllo del potere esecutivo o di altri poteri estranei all’indipendenza della magistratura.

Quando nel lontano 1977 ho iniziato questa professione, io avevo – permettetemi ricordi personali – altre prospettive anche più lucrose. Ho scelto questa professione perché la ritengo la più libera e, per certi aspetti, la più importante nell’attuazione del dettato costituzionale. L’ho scelta perché l’ho sempre considerata, e la considero ancora, la più libera di tutte, con la mente vincolata alla legge e a quelli che sono i dettati normativi. Però guai, non avrei mai scelto di fare il magistrato se solo avessi pensato che da pubblico ministero un giorno avrei avuto un potere gerarchico, magari rappresentato da un partito.

Con questa assicurazione che, vi supplico, dovete considerare assolutamente sincera, vi auguro buon lavoro.

Gli altri interventi

Saluti

Relazione introduttiva

Tavola rotonda:
I diritti sotto attacco

Dibattito congressuale