Intervento

Claudio Gittardi
Pubblico ministero alla Procura di Monza

Abbiamo parlato di molte cose. La relazione che ha fatto Eugenio Albamonte e gli ulteriori interventi che ci sono stati tra ieri e oggi ci dicono chiaramente – e di questo sono molto contento – che al nostro interno c’è capacità di dialogo, c’è consonanza politica e c’è soprattutto una volontà di tutelare alcuni principi: quelli che io chiamo i fondamentali della giurisdizione.

Sono un pubblico ministero da tanti anni. Ho fatto il giudice nella prima parte della carriera. E a proposito del ruolo del pubblico ministero e all’esigenza di tutelare questa collocazione costituzionale e ordinamentale del pubblico ministero, posso dire che il pubblico ministero non è solo un organo di garanzia dei diritti, è un organo imparziale di garanzia dei diritti. È un organo di tutela dei diritti. È un organo di garanzia effettiva dell’attuazione della legge e della tutela sia della persona sia dell’indagato ingiustamente. Io credo fermamente a questo ruolo del pubblico ministero. Credo fermamente che la professionalità, la competenza e la preparazione di un pubblico ministero garantisca un indagato, oltre a tutelare la persona offesa.

E come giudice, nella mia parte iniziale di carriera, io temevo non solo il pm impreparato, ma il pm che sapevo non imparziale rispetto alla tutela delle garanzie. Perché era una minore garanzia di una corretta pronuncia da parte del giudice. Quindi, l’interesse ad avere un pubblico ministero unito con la giurisdizione alla magistratura giudicante è un interesse di tutta la magistratura, non solo della società.

Le riforme prospettate sul piano costituzionale in materia ordinamentale in autogoverno con i progetti di separazione delle carriere e l’introduzione di un principio di discrezionalità ampio dell’azione penale, sono destinate a modificare questo assetto. Io penso che debbano essere contrastate, perché non rispettano gli interessi della collettività, non perché ledono gli interessi corporativi della magistratura.

Oggi ho sentito parlare autorevolmente della tutela e del mantenimento della garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. Ma indipendenza e autonomia della magistratura – forse è stata anche nostra colpa – non è uno slogan, è un qualcosa che si deve concretamente attuare. E se io lo affermo, ma poi contemporaneamente lo smentisco con interventi di riforma, non faccio un buon servizio. Direi che dobbiamo avere l’onestà intellettuale di dire che queste riforme incidono effettivamente sull’indipendenza complessiva della magistratura. E sono riforme che nulla aggiungono e nulla risolvono in termini di efficacia ed efficienza dell’azione giudiziaria.

Anzi, una polizia giudiziaria sottratta al controllo e alla direzione nelle indagini del pubblico ministero è una polizia giudiziaria che, tendenzialmente, impiegherà di più a svolgere delle indagini. Oltre a toccare l’aspetto essenziale della garanzia e dell’efficacia delle indagini, diventa uno strumento di rallentamento delle indagini. Molte indagini complesse, infatti, non si sarebbero potute attuare con quel livello di efficacia e con quel livello di garanzia per gli indagati, se non ci fosse stata l’autorevole direzione del pubblico ministero. Questa è stata il punto nodale della riforma dell’‘89 che ha consentito di attuare dei risultati in termini di indagini in fenomeni di criminalità organizzata. E mi riferisco anche alla criminalità organizzata nel settore economico. A parte la connessione tra le due forme di criminalità organizzata ed economica in determinati territori, la criminalità organizzata di carattere economico è una criminalità organizzata che, dal punto di vista della tutela delle casse dello Stato, lede interessi ancora più ampi rispetto, in certi casi, ai fenomeni di criminalità organizzata minore.

Qual è la prospettiva che dobbiamo avere di fronte a questa situazione? Io penso che questa sia una battaglia di resistenza anche sul piano delle riforme della normativa ordinaria, perché non ci dimentichiamo che il depotenziamento avviene non soltanto attraverso un intervento costituzionale ordinamentale – doppio CSM, separazione delle carriere –, ma il depotenziamento di fatto e molto più semplice è intervenendo sui mezzi di indagine del pubblico ministero. Concretamente i mezzi di indagine del pubblico ministero, con alcuni interventi attuati e annunciati, in una certa misura risultano depotenziati.

Riguardo le intercettazioni, sinceramente io sono rimasto stupito come procuratore, nel pensare che un mio sostituto debba scrivere alla fine delle indagini – a parte che c’è il foglio spese – quanto ha speso per le intercettazioni, perché è nell’autoresponsabilità del pubblico ministero non effettuare intercettazioni inutili. E l’intercettazione non può essere considerata come la carta, come il toner, come le fotocopiatrici, perché non è un supporto materiale dell’indagine, è un mezzo di indagine. E come se chiedessero alla polizia giudiziaria di esporre alla fine dell’attività le ore di lavoro per il pedinamento, le ore spese per una perquisizione. Direi che i mezzi di indagine costano, naturalmente. Spetta al singolo pubblico ministero e al procuratore, saperli utilizzare utilmente e in modo legale.

Molte volte noi ci siamo trovati a discutere delle riforme non volute, riforme che non ci piacevano. Ma qui io penso che siamo su un crinale molto pericoloso. Rischiamo di toccare, non tanto una normativa ordinaria, ma l’assetto costituzionale e, quindi, anche l’assetto democratico. Non ho paura di dirlo.

Cosa può fare Area? È una battaglia comune e non può essere fatta solo dalla magistratura. È una battaglia che deve essere fatta con interlocutori, non soltanto operatori del diritto. Gli avvocati, che ci stanno a discutere di tutela delle garanzie dei diritti, che dovrebbero essere il primo interesse per gli avvocati. È una battaglia all’interno delle strutture sociali delle associazioni. È una battaglia all’interno anche delle scuole e nella cittadinanza. È una battaglia di consapevolezza dei rischi di determinati interventi.

Possiamo oggi dire che siamo su un crinale tra due versanti della montagna. Se andiamo o ci lasciamo portare dalla parte sbagliata, come magistratura nel suo complesso e come cittadini, non sappiamo quale magistratura e quale Paese incontreremo domani a valle.

Per questo dobbiamo resistere e rimanere con pazienza ad affermare i fondamentali della Costituzione con coraggio. Per rimanere sul giusto versante.

Trascrizione a cura della redazione,
approvata dal relatore

Gli altri interventi

Saluti

Relazione introduttiva

Tavola rotonda:
I diritti sotto attacco

Dibattito congressuale