Giuseppe Conte
Deputato, Presidente del Movimento 5 Stelle
Una trasferta a Palermo è così piacevole, che sono io che vi ringrazio dell’occasione. Ci torno sempre molto volentieri. Ho accettato anche molto volentieri il vostro invito, perché – anche nella breve economia di questo mio intervento – vorrei restituire un po’ la cultura della giustizia del Movimento 5 Stelle.
Parlo a nome di un’intera forza politica, che lavora tanto e da subito ha concentrato una grande attenzione su questo tema. Se avessi più tempo mi piacerebbe anche parlare dei ricorrenti conflitti, delle tensioni tra potere politico e potere giudiziario. Mi piacerebbe anche ripercorrere un po’ gli stadi di questi conflitti nel corso del tempo e venire ai tempi d’oggi. Non riesco a farlo.
Dico soltanto che ci sono stati vari momenti storici. Le prime tensioni sono iniziate negli anni Settanta, con i pretori d’assalto che hanno dimostrato anche di intervenire quando c’è stata carenza un po’ del potere politico in determinati settori di attività. Pensiamo all’ambiente, al lavoro. Sempre negli anni Settanta, ricorderete perché fu proprio qui, in terra di Sicilia, ci fu un importante convegno nel 1972 sull’uso alternativo del diritto. E anche quello, ovviamente, restituì l’immagine di una magistratura che non era disponibile più a predisporsi, a fare delle operazioni meramente logiche dell’interpretazione della legge.
Noi eravamo convinti che fossero solo interpretazioni formali, sillogismi euclidei. Invece, l’importanza di quella posizione e quel dibattito che scaturì da quel convegno, fu di far capire anche che l’attività interpretativa del giudice ha anche una componente creativa. L’importante è che non sia arbitraria.
E poi abbiamo avuto anche una progressiva giurisdizionalizzazione di interi settori che prima sembravano non lambiti dal diritto: penso ai rapporti familiari, sociali, scolastici.
Poi c’è quel capitolo delicatissimo, che Alessandro Pizzorno ha affrontato molto profondamente, quello del controllo di correttezza politica e così via.
Però queste sono tutte questioni che lascio sullo sfondo. Cerco di venire subito al dunque.
In materia di giustizia questa legislatura si sta caratterizzando per una direzione intrapresa che considero pericolosa e profondamente dannosa per il nostro Paese, frutto di un disegno che si sta componendo. Adesso che i vari tasselli vengono puntualizzati in un disegno ben preciso, ben architettato, deve essere da noi letto, compreso, e, aggiungo, subito contrastato nella sua unitarietà.
Dietro diverse misure adottate dal Governo in carica, ma aggiungiamo anche il dibattito parlamentare – non solo della stampa, come è stato ben detto – quindi con atti parlamentari significativi, oltre che con annunci di esponenti politici della maggioranza, noi intravediamo un filo rosso che lega tutti questi interventi. E il filo rosso è un attacco chiaro, complessivo ad alcuni pilastri della nostra Costituzione, della nostra architettura costituzionale. Perché si vuole indebolire il pilastro della giustizia sociale, del welfare e dei servizi pubblici, l’equilibrio dei poteri dello Stato e, quindi, minare anche di fatto, inevitabilmente il funzionamento stesso della giustizia.
Avete sapientemente intitolato questa sessione “I diritti sotto attacco”: e ad essere colpiti per primi sono proprio i diritti delle vittime, che chiedono allo Stato di veder riconosciute le loro ragioni, di veder riconosciuta la legittima pretesa di verità e giustizia e di veder accertate le responsabilità penali.
Un filosofo della scuola di Francoforte, Theodor Adorno, studioso dell’estetica, invitava a rappresentare il come il diritto sia la vendetta che rinuncia. Nel momento in cui non si accettano le responsabilità c’è il rischio che la vendetta prenda il sopravvento.
La scorsa legislatura è stata segnata da vari interventi di cui, ovviamente, mi sento diretto responsabile, visto che sono stati fatti sotto il mio governo. A partire dalla “spazzacorrotti”, una legge apprezzata in tutta la comunità internazionale. In tutte le occasioni in cui ne abbiamo dibattuto ci hanno riconosciuto questo grande avanzamento per quanto riguarda gli strumenti legislativi di contrasto della corruzione. Ma, soprattutto, è stata apprezzata quella legge da chi ogni giorno lavora per combattere l’illegalità, per garantire la certezza della pena, per contrastare le reti corruttive che stanno avvelenando l’economia e la società.
Il primo obiettivo di questo governo, il primo decreto ufficiale di questo governo, è stato invece di intervenire anche su questo terreno. Innanzitutto – lo ricordiamo tutti – bisognava oggettivamente intervenire dopo le pronunce della Corte costituzionale nella disciplina dell’ergastolo ostativo. Il governo ha sfruttato maldestramente questa occasione – sappiamo e lo ricordiamo – per introdurre una nuova fattispecie di reato. Se noi leggiamo quella norma che è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, una norma che io ho definita da Stato di polizia, criticata universalmente in giurisprudenza, in dottrina e in accademia dappertutto. Perché la conseguenza era che 51 persone, e anche più, per il fatto stesso di riunirsi per ascoltare musica, rischiavano un arresto e una condanna sino a quattro anni di carcere. Ma poi ne hanno approfittato per modificare la legge “spazzacorrotti” e riportare i condannati definitivi per reati gravi contro la pubblica amministrazione a una corsia preferenziale nell’accesso ai benefici penitenziari, togliendoli dal novero dell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario.
Poco fa ha parlato il ministro Nordio. Mi dispiace non averlo ascoltato, ma l’ho ascoltato molte altre volte. Io credo che ci sia una postura sbagliata da parte del ministro Nordio nei confronti della magistratura. Peraltro sorprende, perché viene da parte di un ex magistrato di lungo corso. Di tutto l’Italia ha bisogno, tranne che di alimentare – e ritorno al discorso iniziale – a un nuovo scontro tra politica e magistratura.
Questa nuova stagione di tensione è ancora una volta fondata, peraltro, su un falso concettuale, che dobbiamo rispedire al mittente e dobbiamo contrastare in ogni sede. C’è un fronte politico che, con molta astuzia e furbizia, vuole ormai da qualche decennio alimentare una falsa dicotomia, del tutto fuorviante, tra un presunto schieramento garantista e un presunto schieramento giustizialista. A questo fronte politico ben organizzato, cui fa da grancassa anche una buona parte dei mass media, bisogna rispondere che esiste un solo fronte, che è quello che garantisce il funzionamento del sistema giustizia nel rispetto dei principi costituzionali. E che assicura ai cittadini il diritto di veder riconosciute le proprie ragioni, ma anche di vedere accertati i torti e, quindi, le eventuali responsabilità penali nella cornice di un giusto processo.
Il termine garantista nella declinazione deforme che viene propugnata da alcune forze politiche, diventa ormai sinonimo di impunità o, quantomeno, indulgenza della giustizia verso determinati reati e determinati soggetti. Di contro, giustizialista è l’etichetta sprezzante con cui si mira a colpire chi vuole perseguire l’obiettivo sacrosanto di accertare e assicurare la certezza della pena, la tutela delle vittime del reato e il funzionamento corretto, efficiente di un settore fondamentale dello Stato.
E ci sono diverse azioni del governo che dimostrano proprio la deliberata volontà di intralciare la macchina della giustizia e il lavoro dei magistrati. Ne cito alcune.
Separazione delle carriere: come è stato anche detto prima, qui c’è veramente una robusta dose di ideologia. Ma cosa c’è dietro? Qui il tema tocca direttamente l’obbligatorietà dell’azione penale e la separazione dei poteri. Stiamo parlando di delicatissimi equilibri costituzionali, che non possono essere smantellati dalla foga ideologica. Allontanare i pubblici ministeri dai giudici, dalla cultura della giurisdizione, significa allontanarli giocoforza dalle guarentigie costituzionali previste per i giudici – attenzione – dettate anche a protezione dei cittadini.
E, infatti, avvicinarli alla polizia giudiziaria, al governo, significa porli in soggezione rispetto al potere politico di turno. E vedete, quello che forse questo fronte politico trascura, preso dalla foga ideologica, è che la prospettiva finale è un’eterogenesi dei fini. Le garanzie per gli imputati non possono che ridursi, infatti, se i pubblici ministeri perdono il disinteresse rispetto all’esito del processo e diventano una figura unicamente deputata a sostenere l’accusa.
I cittadini hanno dimostrato ampiamente quanto questa proposta, peraltro, sia lontana dal comune sentire. Non dimentichiamo che l’anno scorso si sono celebrati i referendum abrogativi che hanno coinvolto anche questo punto: è stato un flop storico. Mai un’affluenza così bassa si è registrata nella storia dei referendum, segno che quei cinque quesiti non erano minimamente condivisi dalla maggioranza degli italiani.
E aggiungo anche che – e lo sappiamo bene, perché parlo anche a una platea di addetti ai lavori – il tema della separazione delle funzioni di fatto, purtroppo, esiste già. Perché dopo la riforma che è stata fatta l’anno scorso c’è la possibilità di un solo passaggio tra giudicante e requirente nella carriera di un magistrato. Peraltro, anche statisticamente, mi sembra assolutamente ininfluente.
Il vero obiettivo qual è allora? Perché tutto questo impegno, questa foga? Perché tutti questi appelli, queste discussioni? Il vero obiettivo è colpire l’articolo 112 della Costituzione, l’obbligatorietà dell’azione penale. Noi ci opporremo con tutte le nostre forze.
Altro punto: ritorno della prescrizione. Proprio giovedì scorso la maggioranza ha trovato un accordo – come sapete – per il testo base con cui riportare indietro le lancette dell’orologio della legalità. Vogliono ritornare alla prescrizione della legge ex Cirielli. Ma perché mettere mano di nuovo alla prescrizione? Tra l’altro non vi sarà sfuggito lo scontro forte che la mia forza politica ha intrecciato con l’allora presidente Draghi quando c’è stata la riforma Cartabia, confrontandoci con voi, con i responsabili degli uffici giudiziari, parlando con gli addetti ai lavori. Io stesso, telefonando più volte a Draghi e con Cartabia, ho cercato di far comprendere che con quel meccanismo la previsione era che la metà dei processi penali sarebbe svanita, soprattutto in giudizio d’appello. Oggi, quindi, riprendono in mano anche la prescrizione.
Quale diritto vogliono tutelare? Bisogna sempre essere consapevoli che all’estero questi ragionamenti non sono compresi. La ragionevole durata dei processi a noi sta a cuore, ci mancherebbe. Ma la vogliamo perseguire grazie a mirati investimenti nella giustizia, attraverso ingenti risorse umane, oltre che, ovviamente, più efficienti dotazioni informatiche. Insomma, in modo da rafforzare l’efficienza tutta della macchina della giustizia.
E poi lo dico a chi si professa sovranista, sovranista d’accatto. Guardate che è fondamentale corollario del concetto di sovranità, che uno Stato non rinunci mai ad accertare le responsabilità penali quando si commettono reati. Dire, invece, “per questa volta non se ne fa nulla”, “è passato troppo tempo”, significa rinunciare proprio alla sovranità. E, soprattutto, schiaffeggiare i diritti delle vittime del reato.
Jacob Burkhardt ricordava che “il diritto non è altro che volontà di avere giustizia”. E allora, se mortifichi questa volontà, non solo non c’è processo. Non c’è diritto.
Possiamo ancora dire che questo governo ha assunto una postura di austerity sul piano economico finanziario per quanto riguarda le assunzioni? Nella legge di bilancio 2023 non c’era un euro per rafforzare gli uffici giudiziari. Addirittura, abbiamo constatato tagli. Tutti i nostri emendamenti per maggiori risorse vengono puntualmente respinti al mittente. Vedremo nella prossima manovra, se le priorità saranno queste o legate al Ponte sullo Stretto o ad altre questioni simili.
Si attaccano gli strumenti investigativi. In più occasioni, voi magistrati che operate sul campo contro la criminalità organizzata del terzo millennio, avete rappresentato che gli strumenti fondamentali investigativi sono collaboratori di giustizia e intercettazioni. Ebbene, il lavoro del governo finora sembra essersi distinto proprio per aver indebolito queste due armi dello Stato. Con la legge sull’ergastolo ostativo hanno reso più conveniente finire l’accesso ai benefici penitenziari – dati alla mano, con un conteggio molto semplice – la posizione di chi rimane nel silenzio omertoso rispetto a chi decide di collaborare.
Poi, sulle intercettazioni il governo ha lanciato un’autentica crociata. È stato tutto un susseguirsi di interventi in parlamento e sugli organi di stampa per attaccare presunti abusi, usi impropri, risultati modesti. Poi sono arrivate le audizioni degli esperti in Commissione giustizia. Il mondo, ovviamente, quando parlano gli esperti, è apparso completamente capovolto: uno dopo l’altro tutti gli esperti ascoltati hanno smontato ogni argomento. Non ci sono stati abusi, non ci sono state violazioni della privacy. Il numero delle intercettazioni e il loro costo sono del tutto normali e, anzi, assistiamo a un trend decrescente. A proposito poi del costo delle intercettazioni, perché non ragionare anche sui miliardi di euro che lo Stato recupera proprio attraverso le indagini, con i sequestri e con le condanne inflitte basate sulle intercettazioni?
Ricordiamo tutti il clamoroso infortunio del ministro Nordio, quando ha detto che i mafiosi non parlano al telefono. Di lì è partita una rincorsa comunicativa alla precisazione. Non toccheremo le intercettazioni per reati di mafia e terrorismo, ma solo per reati minori. Ma cosa si intende per reati minori? Ecco, qui dobbiamo un attimo chiarirci. Qui c’è il cuore dell’azione del governo molto sofisticata. Su questo punto separare i fatti di mafia da quelli di corruzione, derubricare i più gravi reati contro la pubblica amministrazione. E non possiamo non pensare che ci sia un obiettivo preciso: allentare le maglie in questo campo, spuntare le armi di indagine. Così, vedete, si crea una giustizia censitaria e classista – noi l’abbiamo già denunciato – indulgente verso determinati reati commessi dai ceti più elevati.
Tutti sanno bene, oggi, che mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia. Le mafie indossano l’abito buono, mettono le mani sui soldi pubblici attraverso corruzione, concussione e abuso d’ufficio.
Nei giorni scorsi alla Camera è stato approvato quell’emendamento che non consentirà più le cosiddette intercettazioni a strascico per gravi reati contro la pubblica amministrazione, oltre che per alcuni delitti. Perché stabilirlo? Quali sono i diritti che si vogliono tutelare in questo modo? A proposito di garantismo di comodo, noi abbiamo sottolineato un aspetto paradossale nell’esame del decreto Giustizia. Nella foga di nascondere il più possibile le intercettazioni, nel vietare la trascrizione sommaria di quelle non rilevanti – ma questo ce lo dicono gli avvocati, non solo voi magistrati – si finisce per colpire i diritti della difesa, quindi degli indagati, che in quelle intercettazioni spesso in tanti processi, hanno trovato materiale utile alla linea difensiva. E non solo. Cancellando la possibilità di trascrivere le intercettazioni irrilevanti, ci si dimentica spesso che, anche nei processi proprio per mafia, le conversazioni che oggi la polizia giudiziaria considera irrilevanti potrebbero, domani, rivelarsi decisive.
Al Senato stiamo esaminando il disegno di legge del ministro Nordio, che abolisce l’abuso d’ufficio, Vedete, chi vi parla si è battuto anche incontrando forti resistenze nella maggioranza dell’allora mio governo nel 2020. Mi sono battuto per riformare l’abuso d’ufficio, per renderlo più circoscritto, perché anch’io ho ritenuto che nella versione iniziale non offrisse le adeguate garanzie. Lo abbiamo circostanziato. Con la formula attuale perché lo si vuole abolire? Per quale motivo?
Stiamo parlando di abusi di potere: concorsi truccati, favori fatti da parte dell’abusando del ruolo pubblico in materia edilizia, sanitaria. E allora qual è il motivo per questa definitiva abrogazione? Che motivo c’è di intervenire in questa direzione? Se però coniughiamo questo intervento con la riforma del nuovo codice degli appalti, con il ritorno dell’appalto integrato, dei subappalti a cascata, si comprende che l’obiettivo, in realtà, è quello di alterare le maglie dei controlli. Proprio adesso, che bisogna attuare gli ingenti investimenti del piano nazionale di ripresa e resilienza.
Ci sono tante norme sparse, vedete, che compongono quel filo rosso. Non mi soffermo su tutte. Però molto spesso si tratta di sapienti interventi per disseminare sassolini nell’ingranaggio della macchina di giustizia. Non saprei definire in altro modo un intervento approvato nei giorni scorsi alla Camera, che impone al gip di motivare in maniera più dettagliata l’autorizzazione a svolgere le intercettazioni.
E che dire anche della previsione dell’obbligo per il pubblico ministero di depositare il riepilogo delle spese sostenute per fare le intercettazioni? C’è un fondo di colpevolizzazione, quasi di intimidazione nei confronti dei magistrati. E ancora, che dire di quella previsione che impone l’affidamento a un collegio di tre gip della decisione sulla richiesta di custodia cautelare in carcere?
Ecco, da ultimo, abbiamo visto anche nel decreto cosiddetto Caivano una norma che è nata di interpretazione autentica per chiedere quali sono i reati collegati al 416-bis a seguito della pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione. In realtà è stata creata una nuova norma non nel momento in cui si è scelto di inserire un comma sulla disciplina transitoria con tutti i dubbi di costituzionalità che ne deriveranno.
Insomma, sembrano leggi scritte da chi vive in un altro pianeta. Diversamente, invece, dico che sono interventi molto sapienti e sofisticati da chi vuole perseguire obiettivi ben precisi.
Si delegittimano anche i simboli di legalità. Io ho trovato sconcertante quando, in occasione della campagna elettorale, è sfuggita dal discorso del presidente Meloni quella formula su “pizzo di Stato” in questa terra che conosce il pizzo per ben altre ragioni. Allora che giustizia? Che visione della giustizia vogliamo perseguire e vogliamo realizzare?
Ci stiamo avviando in un sistema che aprirà le diseguaglianze anche sul fronte della giustizia: una giustizia censitaria. Ma pensate anche alle vittime. Chi alla fine si potrà permettere un collegio difensivo per seguire tutte le vicende processuali così sofisticate, per poi ritrovarsi di fronte a una prescrizione e a un dissolvimento nel nulla di tanta fatica?
Allora siamo assolutamente determinati a contrastare questa visione della giustizia. Quello che veramente manca sono le risorse materiali e immateriali, gli investimenti. Non si può avere una giustizia efficiente se si lavora sotto organico. In Italia mancano 1500 magistrati. Ministro Nordio, non ci giriamo intorno, sono questi gli obiettivi da raggiungere. Rispetto alla pianta organica, mancano funzionari amministrativi. Sono questi i pilastri di un’azione avveduta e sapiente in materia di giustizia. E bisogna anche investire nel lavoro di qualità della pubblica amministrazione, riformare la pubblica amministrazione è un pilastro collegato, altrettanto complementare e urgente per rendere lo Stato una macchina al servizio dei cittadini.
Noi ce la metteremo tutta. Grazie.
in attesa di approvazione dal relatore