Intervento

Ernesto Carbone
Componente del Consiglio Superiore della Magistratura

È un onore essere qui. Fatemi ringraziare in modo particolare anche Genantonio Chiarelli, Maurizio Carbone, Tullio Morello, Marcello Basilico, Maria Francesca Abenavoli. E un ringraziamento particolare ad Antonello Cosentino, che ho la fortuna di avere in quinta commissione con me e da cui sto imparando in questi mesi veramente tanto.

È la prima volta che partecipo a un congresso di una corrente della magistratura. E sono piacevolmente stupito, perché mi sembra molto simile a un congresso di partito. Sono piacevolmente stupito per due motivi: il primo, perché mi sento a mio agio, avendo fatto trent’anni di congressi dipartito; il secondo, perché rafforza in me quello che penso delle correnti in magistratura, che vi dirò in seguito.

Ho ascoltato l’intervento del segretario e, parlando in modo franco, vorrei togliermi un po’ di sassolini, partendo dalla Procura di Firenze a cui si è fatto riferimento ieri.

Sono convinto che la Procura di Firenze non sia delegittimata da un indagato che – giustamente e può farlo – critichi l’operato di un magistrato. Io credo che la Procura di Firenze sia delegittimata da chi, nero su bianco, mette in discussione una nomina legittima fatta in plenum dal CSM. E addirittura, pone un dubbio: che si possa modificare l’azione penale nominando Tizio piuttosto che Caio. Questo è quello che veramente può delegittimare la Procura di Firenze.

Nella relazione si auspicano differenti maggioranze in CSM. È anche il mio auspicio. E succede, non sempre, ma succede. Ho una sola certezza, però, in questi sette mesi: che il voto di Area è sempre compatto. Personalmente sono contento di questo, perché ancora prima che una corrente, voi siete una comunità. In una comunità si discute, si decide insieme, e quella linea si mantiene. Perciò dico che la vita di una corrente della magistratura è molto simile alla vita di partito. Nel plenum del Consiglio superiore della magistratura nel 99% dei casi i sei consiglieri di Area votano compatti. Ed è un bene. È un bene per il Csm ed è un bene per la magistratura.

A proposito di immigrazione – tema su cui ieri si è parlato a lungo – io sono orgoglioso e fiero di aver fatto il parlamentare in una legislatura in cui dal 2015 al 2018 i fondi per la cooperazione allo sviluppo sono passati da 25 a 350 milioni di euro. E sono fiero e orgoglioso di aver votato un provvedimento per cui abbiamo speso 3 milioni di euro per recuperare dal mare 350 corpi e dargli una degna sepoltura. Non è mai più successo.

Ho sentito alcune critiche un po’ velate, altre meno, sulla riforma costituzionale del 2016. Anche quella , la rivendico con orgoglio. Per me è giusto avere un bicameralismo non perfetto. È giusto avere una camera bassa e una camera alta. E rivendico la giustezza dell’abolizione dell’attuale titolo quinto che – lo abbiamo visto negli anni scorsi con il Covid – palesemente non funziona.

A proposito di rapporti fra pm e giornali, io ho un modello che ho conosciuto ieri: Paolo Guido. È colui che haarrestato il ricercato numero uno in Italia ed è diventato a sua volta il più ricercato dai giornalisti. Non ha rilasciato interviste. Io non ricordo un’intervista di Paolo Guido. Un pubblico ministero deve rilasciare interviste quando succede un fatto. Quando si arresta Matteo Messina Denaro si fa un’intervista, si fa una conferenza stampa e finisce lì. Questo è per me il ruolo di un magistrato che si rapporta con i giornalisti.

Vengo al convegno. Se nel titolo ci aggiungesse un “qual è” e fosse “qual è il ruolo della giurisdizione all’epoca del maggioritarismo”, la mia risposta sarebbe: nessun ruolo. La giurisdizione deve fare la giurisdizione, la politica deve fare la politica.

La dialettica, però, deve esserci ed è utile anzi necessaria. Dialettica anche dura. Io non sono di quelli che si stupiscono quando l’ANM interviene in modo duro. Non mi stupisco quando Area, MI, Unicost intervengono in modo energico, criticando l’operato della politica, criticando l’operato del governo. Non mi stupisce, è normale dialettica. Ma l’importante è che abbiamo bene in testa cos’è la giurisdizione e cos’è l’attività politica. Devono essere nettamente separate.

Io riporto spesso una mia esperienza personale. Quando ero parlamentare ero con dei colleghi in prima commissione e provammo a scrivere delle norme sull’immigrazione. Eravamo pronti a colpire gli scafisti, perché gli scafisti all’epoca erano quelli che andavano colpiti in modo più duro. Poi confrontadomi con chi, come voi, faceva sul campo quelle indagini, ci fu spiegato che lo scafista era il più disgraziato di tutti. Lo scafista era quello che aveva la famiglia ostaggio nel paese di partenza, che lo mettevano lì sulla barca e lo mandavano al massacro. Questa per me è dialettica fra giurisdizione e maggioritario.  O maggioritarismo, dipende da come lo vogliamo chiamare e interpretare.

Tre temi velocemente: separazione delle carriere, consigli superiori e correnti della magistratura.

La separazione delle carriere per me è una bandiera, deve essere una bandiera. Io sono profondamente contrario alla separazione delle carriere. Ho sentito tanti discorsi: il sistema tedesco, il sistema portoghese, il sistema francese, il sistema americano. Per me sono tutte chiacchiere. Le carriere devono rimanere unite. Perché se io oggi separo le carriere fra due anni, tre anni, cinque anni, dieci anni, inevitabilmente il pubblico ministero finisce sotto l’esecutivo. È un passaggio naturale. Parlo da politico: se io mi trovassi fra dieci anni ad avere due carriere separate, farei di tutto per portare il pubblico ministero sotto il potere esecutivo. E questa la ritengo una cosa profondamente sbagliata. Non ragiono per me che ho cinquant’anni, ma per mia figlia che ne ha 18. Pensare che mia figlia fra vent’anni debba avere un pubblico ministero sotto l’esecutivo, non mi piace. Se i portoghesi stanno bene così, se i tedeschi stanno bene così… ce ne faremo una ragione. Io preferisco stare a Roma e nel mio Paese.

Sono però favorevole alla separazione delle carriere fra i magistrati bravi e meno bravi. E questo dovreste essere voi i primi a volerlo. Perché io non voglio più sentire che ci sono magistrati che spengono il wifi nelle scuole perché fanno male. Non voglio sentire che ci sono magistrati che mettono nero su bianco sentenze in cui scrivono che il vaccino che ci hanno inoculato durante il Covid ci modifica il DNA. Non voglio più sentirlo, non mi piace questo. Non può fare il magistrato chi dice queste cose.

Ho discusso a lungo col vicepresidente in quanto capo della Disciplinare – ma anche con Antonello Cosentino – sulla sentenza di qualche mese fa di un magistrato che ha intimidito un teste e che la condanna data dalla Disciplinare sia stata il trasferimento in Piemonte a occuparsi di civile. È sbagliato che un pm intimidisca un teste. Per me è peggio di un magistrato corrotto, perché tradisce la fiducia che i cittadini hanno nei suoi confronti.

Quando parlo di differenza fra magistrati bravi e magistrati meno bravi, io non sono di quelli che dice che il magistrato è un dipendente pubblico come gli altri. No, non è così. Un magistrato è detentore di uno dei poteri dello Stato. È giusto che ci sia un CSM. È giusto che ci sia un autogoverno. È giusto che ci sia una Disciplinare. È giusto anche che ci sia un’attenuata responsabilità civile del magistrato. Ma quel magistrato, se tradisce il suo mandato, va punito, va sanzionato duramente.

A proposito del CSM, la domanda che mi fanno tutti è: dopo sette mesi cosa cambieresti? Nulla o quasi nulla. Per esempio, io sono uno di quelli che fin dall’inizio non ha votato gli incarichi extragiudiziali. Io credo che un magistrato che debba chiedere l’autorizzazione al CSM per guadagnare 500 euro di lezioni alla Sapienza, sia una cosa mortificante per il magistrato e sia mortificante per il CSM votare quella autorizzazione. Sono testimoni i miei colleghi che sono qui, io non ho mai votato. Mi astengo dal votare una cosa che ritengo sbagliata.

Tutto è migliorabile, ma per il CSM non trovo un sistema migliore all’elezione. Se continuiamo a discutere sulle quote fra laici e togati, non andiamo da nessuna parte. Anzi, finiamo al sorteggio. E il sorteggio è la mortificazione della magistratura, della politica e dello Stato. Non è possibile che un organo di rilevanza costituzionale di autogoverno di uno dei tre poteri dello Stato venga eletto col sorteggio.

Invece, rivendico il dialogo che c’è fra tutti noi consiglieri del CSM. Siamo 30, più o meno come nella classe del mio liceo. Dopo tre mesi ci conosciamo tutti: sappiamo chi ha figli, sappiamo chi ha problemi a casa, sappiamo tutto di noi, perché questo bel dialogo è costruttivo e fa crescere tutti. Però, io devo cercare in quell’aula, 16 voti. E devo essere libero di discutere con i miei colleghi e di persuaderli sulla bontà della mia scelta. E devo essere umile nell’ascoltare il mio collega, che il giorno dopo mi spiegherà perché è più importante votare in questo modo piuttosto che nell’altro. Questo va fatto e va fatto alla luce del sole, senza nascondersi. Va detto chiaramente che siamo in 30 e si vince con 16 voti. E 16 voti in plenum li devo cercare.

Voglio rivendicare il mio diritto di fare accordi fra diverse correnti. Fra correnti e laici, perché se l’accordo è chiaro non fa un danno alla magistratura. Lo fa se l’accordo non è basato sulla meritocrazia. Se devo nominare Tizio che lavora a Genova, allora dovrò pur chiedere a Marcello Basilico di che cosa ha bisogno il Tribunale e la Procura di Genova.

Io sono un fautore delle correnti. Anzi, se voi avete un difetto, è che siete deboli. Voi dovete essere più forti, dovete avere ancora di più l’orgoglio di un’appartenenza alla corrente. Perché la corrente è il sale della magistratura. È quella che deve avere le antenne sul territorio. Ma io, da Roma, da piazza Indipendenza, io che facevo l’avvocato e facevo politica, ma cosa vuoi che ne sappia della Procura di Nuoro, piuttosto che del Tribunale di Palermo? Siete voi che dovete spiegarmi e dovete dirmi, grazie ai vostri organi locali, che cosa serve e che cosa è più importante.

E dirò di più, facendo nomi e cognomi. Il caso Palamara non nasce dal correntismo, nasce dalla debolezza delle correnti. Se la corrente è forte, argina i personalismi.

Quindi, il mio auspicio è che ci sia per il magistrato più vita di associazionismo, più vita di corrente. Solo con l’associazionismo e con la vita fuori dall’ufficio si acquista la consapevolezza del proprio ruolo e si esercita meglio il proprio potere. Non potere in quanto tale, ma potere dello Stato di cui voi siete detentori.

Finisco con una bellissima frase di Aldo Moro dove dice che “forse il destino dell’uomo non è realizzare pienamente la giustizia, ma della giustizia avere fame e sete”.

Il mio auspicio è che tutti, noi nell’esercizio del nostro lavoro, avremo sempre fame e sempre sete.

Trascrizione a cura della redazione,
rivista dal relatore

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Saluti

Relazione introduttiva

Tavola rotonda:
I diritti sotto attacco

Dibattito congressuale