Luca Minniti
Giudice presso il Tribunale di Firenze
Sono entrato in Magistratura nel 1990 quando l’attacco all’autonomia ed indipendenza della magistratura prendeva le forme dell’attacco al CSM, con la revoca della delega al vicepresidente Galloni da parte dell’allora Presidente della Repubblica Cossiga, che pretendeva di dettare lui stesso l’ordine del giorno del nostro collegiale organo di autogoverno.
Ricorderete il conflitto e la piccata lettera che Cossiga fece recapitare da due appuntati dei Carabinieri a tutti i magistrati d’Italia.
Da quell’epoca l’attacco alla giurisdizione ed alla sua funzione di presidio della democrazia e delle libertà democratiche, è stato portato avanti non solo con ripetute proposte di riforme costituzionali dell’assetto ordinamentale, ma anche e soprattutto con strumenti meno diretti e più insidiosi.
Da una parte l’irrazionale proliferazione di modifiche procedurali per lo più spacciate come strumenti di accelerazione di singoli segmenti processuali, ma quasi sempre del tutto prive di visione e di analisi degli ostacoli ad una più celere trattazione. Come avvenuto di recente con le riforme Cartabia del processo civile e penale, non accompagnate da una “valutazione di impatto ambientale”, cioè da uno studio degli effetti sui processi e dalle necessità organizzative per darne pronta attuazione.
Riforme anzi gettate sugli uffici addirittura con l’anticipazione della entrata in vigore, rispetto alla data programmata della entrata in vigore delle norme processuali.
La verità è che da oltre trent’anni la fornitura dei servizi amministrativi in particolare del capitale umano, con un breve intervallo durante il dicastero Orlando, è stata trascurata, incoerente e non coordinata con le modifiche normative di carattere ordinamentale, sostanziale e processuale.
Noi e l’ANM non abbiamo mai sottovalutato la portata delegittimante del taglio delle risorse come ulteriore strumento di indebolimento dell’esercizio della funzione giurisdizionale, della sua autorevolezza e dignità istituzionale, della sua capacità di svolgere una efficace funzione di garanzia.
Ma ormai abbiamo maturato la consapevolezza che tutto questo non può esser dipeso da vincoli di bilancio o da sciatteria istituzionale, si è trattato di una precisa scelta politico amministrativa.
La stessa assunzione dei funzionari dell’Ufficio per il processo che, come dimostrano i dati del Ministero, stanno determinando un significativo miglioramento del nostro modo di lavorare ed anche i primi significativi risultati in termini di durata e smaltimento dell’arretrato, tenuto conto dei tempi di inserimento dei numeri inferiori al previsto è riforma che, se non verrà messa a regime risulta un progetto azzoppato dalla ravvicinata scadenza del contratto che induce i migliori a sperimentare altre scelte professionali.
Va ribadito che i risultati ci sono e crescono in modo esponenziale ma gli impegni presi con la Commissione Ue, in assenza di ogni interlocuzione con gli uffici giudiziari, non sono assolutamente compatibili con le risorse attuali di magistrati e di UPP perché anche nella individuazione degli obiettivi non si è tenuto conto della diversa condizione degli uffici giudiziari.
In definitiva il senso di questa mia prima riflessione è la seguente.
Dobbiamo sempre tener presente il nesso tra riduzione delle risorse umane e materiali ed attacco alla indipendenza e autonomia della magistratura perché tutti i magistrati tutti gli operatori del mondo giudiziario siano consapevoli del legame tra assetto ordinamentale costituzionale e condizioni dignitose di lavoro. E di conseguenza della necessità di battersi per preservare contestualmente entrambi.
Nessuno si illuda che cedendo sul piano dell’assetto costituzionale della giurisdizione si possa ottenere qualcosa su altri piani, su quello delle risorse umane o materiali o su quello delle retribuzioni.
Ma la minaccia all’autonomia ed indipendenza della giurisdizione non si è alimenta solo di attacchi delegittimanti penso alla recete aggressione alle indagini della Procura di Firenze che, a mio avviso, non hanno trovato adeguata tutela in CSM, non si alimenta solo di tentativi di indebolimento dei pilastri dello stato di diritto e neppure solo di un non corretto uso dell’autogoverno, tema sul quale lascio la parola ad altri che interverranno dopo di me.
L’ulteriore riflessione e campo di azione su cui dobbiamo cimentarci come magistrati ogni giorno nelle difficili condizioni date che ho descritto dipende dal fatto che l’autonomia e indipendenza del singolo giudice e magistrato può esser consumata dal suo interno.
Corriamo il rischio di perdere o ridurre sensibilmente l’autonomia e l’indipendenza anche per effetto di processi interni, culturali ed organizzativi.
Io vedo tre rischi principali che dovrebbero stare a cuore a tutta la magistratura, a tutte le sue componenti culturali ed associative.
Il formalismo tecnologico con la mortificazione della giurisdizione del caso singolo
La tecnologia è il luogo degli automatismi… non è il luogo del ragionamento peculiare, non è il luogo della singolarità, è il luogo della standardizzazione che appiattisce le peculiarità dei casi.
La giurisdizione invece si fonda sulla valutazione del singolo caso non può, non deve esser formalizzata o standardizzata perché, altrimenti, perde la sua capacità di aderire al fatto.
Perde l’anima la sua stessa natura.
Attenzione allora Va bene perseguire la prevedibilità delle decisioni attraverso la trasparente condivisione delle banche dati ecc.. secondo la nostra concezione, attraverso un processo circolare di costruzione nomofilattica che è prima di tutto orizzontale e poi verticale, e si muove contemporaneamente nelle due direzioni dal basso verso l’alto e viceversa.
Ma attenzione quello che dobbiamo contrastare è la possibilità di prevedere i casi, le storie, le vicende umane, le persone, la storia del lavoratore, la narrazione del richiedente asilo, la vicenda dell’imprenditore in difficoltà, la storia della singola famiglia, la storia dell’indagato, dell’imputato, del condannato cui commisurare la pena, la misura sostitutiva ecc..
Non può modellizzarsi il fatto storico, non possono modellizzarsi le persone coinvolte nel processo.
Per questo l’intelligenza artificiale deve trovare un limite rigoroso, rigido, deve trovare un ostacolo, a mio avviso netto.
Il fatto umano che è portato davanti al giudice deve esser accertato e conosciuto nel processo e, con le garanzie del processo, valutato da un giudice da una persona.
Il formalismo organizzativo ed il conformismo
La vita organizzativa interna degli uffici giudiziari è molto cambiata negli ultimi anni: non tutti gli aspetti di questo cambiamento sono positivi.
La pressione ordinamentale sul ruolo e sulle responsabilità dei dirigenti non supportata da un’adeguata formazione della cultura della direzione partecipata ed anzi schiacciata sul modello della responsabilità del capo rischia di produrre forme più o meno mascherate di gerarchizzazione, di accettazione per quieto vivere, di sudditanza che lentamente rischiano di inquinare anche l’autonomia ed indipendenza del singolo giudice nell’esercizio della giurisdizione.
Alcuni istituti ad esempio rischiano una torsione: la riunione ex art. 47 dell’ord. Giud. non è una camera di consiglio, dove di vota e si decide. È un luogo di confronto e di discussione ma è una sede organizzativa non è un organo giurisdizionale.
La compresenza di questi distinti momenti organizzativi gli uni e giurisdizionali altri creano pericolose promiscuità dove la responsabilità ed il potere del dirigente nella conduzione dell’ufficio nella pianificazione delle risorse nella istruttoria della valutazione dei magistrati …. può creare una cultura della subordinazione … può erodere, nei fatti, il principio costituzionale per cui i magistrati si distinguono per funzioni
Infine la schiavitù dei numeri
Anche qui il rischio è elevato ed anzi si tratta più che di un rischio di un danno già in parte consumato.
La pretesa di far prevalere il dato numerico sulla qualità della decisione sta producendo (assieme con il formalismo tecnologico e con il conformismo prodotto dalla modellizzazione organizzativa) una perdita di autonomia e indipendenza del singolo magistrato.
Molti di voi sanno che ho dedicato molto tempo a questi temi ed alla qualità degli strumenti di analisi organizzative, di monitoraggio ed ai processi di riorganizzazione.
Non è che ci abbia ripensato...
Abbiamo sempre progettato (dai tempi dell’impegno di Carlo Velardi e di Pasquale D’Ascola negli Osservatori sulla giustizia civile) modelli di lavoro che perseguissero la qualità attraverso l’organizzazione, non invece strumenti di grossolana deflazione.
Ed è vero che il modo di lavoro dei giudici sta cambiando secondo il criterio che, con le parole di Michelangelo, distingue la pittura dalla scultura.
Il pittore aggiunge il proprio tratto sulla tela, mentre lo scultore sottrae con la propria mano i frammenti dalla pietra.
Oggi ci stiamo avvicinando più ad un giudice scultore e ci stiamo allontanando dal modello di giudice pittore.
Sempre più spesso lavoriamo su bozze, sia grazie alla risorsa degli UPP sia grazie alle risorse tecnologiche.
Ma sarebbe una sciagura se invece il giudice, con o senza l’ufficio per il processo, si traducesse in un meccanismo di produzione di decisioni preconfezionate, mero replicatore di decisioni pre-adottate da altri (uomini o macchine), semplice duplicatore di decisioni.
Anche se la qualità è diventata e diventerà il risultato del contributo di più fattori ed anche di più collaborazioni, solo il singolo giudice è il garante ed il responsabile finale della qualità della sua decisione.
A questa funzione costituzionale il giudice non può abdicare.
Voglio dedicare l’ultimo passaggio alla funzione del PM, in particolare a quella del sostituto procuratore della Repubblica.
Mi ha colpito molto il passaggio del Vicepresidente Pinelli contro il magistrato che si sente portatore di valori morali.
C’è il rischio che le sue frasi siano fraintese. Per fare il nostro lavoro c’è bisogno di un forte sostrato di tensione morale non di un senso di superiorità morale ma di una energia morale che alimenti l’impegno quotidiano. Non mi riferisco solo alla forza morale per affrontare minacce e pressioni della criminalità. Non mi riferisco solo alla forza ed al rigore morali necessari per non cedere alla lusinga del potere, alla contiguità con i potentati locali, alle logge e consorterie che incontriamo quotidianamente.
Mi riferisco anche più semplicemente alla forza morale per affrontare il giudizio su un delitto efferato, alla capacità morale di ascoltare le torture subite da un richiedente asilo, all’equilibrio morale per ascoltare il racconto di un bambino abusato ecc…
Io credo che dobbiamo riaffermare, con grande umiltà certo con grande umiltà, che, con profonda ispirazione morale pensiamo di continuare a svolgere il nostro lavoro di magistrati. Non si confonda questo con un approccio fideistico ma non ci si chieda di diventare magistrati indifferenti, burocrati, distratti.
Diceva Gaber “senza consistenza, il conformista s’allena a scivolare dentro il mare della maggioranza...”
Noi abbiamo il dovere professionale di esser consistenti…