Tavola rotonda I diritti sotto attacco

Antonio Vercellone
Ricercatore di Diritto Privato Presso l’Università di Torino

Secondo intervento

Buonasera a tutte a tutti, grazie davvero per l’invito. Proverò ad essere breve, visto che mi tocca l’infausto compito di portarvi verso l’aperitivo.

Il tema è particolarmente coerente in un contesto in cui stiamo parlando dell’attacco nei confronti dei diritti. Un conto è parlare di diritti che sono stati acquisiti da un ordinamento e che sono sotto attacco quando c’è una maggioranza che rispetto a quei diritti si pone in una posizione di contrasto; altro conto – ed è questa forse una cosa che stiamo imparando – è quando per alcuni diritti si addotta la scelta dell’acquistiamoli poco a poco. Perché se poi a metà di quel processo delicato e faticoso che ci sia auspicava si blocca, allora l’ordinamento non è preparato a rispondere a questi attacchi, visto che è a metà di un percorso che sancisce ancora gran parte di discriminazione. Questo è esattamente quello che sta succedendo in Italia, soprattutto se guardiamo alla situazione del diritto di famiglia rispetto alle persone LGBT. Ma le questioni della comunità LGBT sono tantissime e adesso noi non abbiamo tempo di aprire la parentesi delle persone trans che, invece, dovrebbe essere discussa ampiamente.
Ma restiamo al diritto di famiglia che ben esemplifica.
Se guardiamo agli ordinamenti di quella tradizione giuridica occidentale della quale ci vantiamo di far parte, l’Italia si colloca in una posizione outlier.

Non so se capita anche a voi di parlare con colleghe e colleghi che esercitano in un altro ordinamento: a me capita, avendo occasione di insegnare in altre università del mondo occidentale. È un po’ anni 2000 dire che noi abbiano due istituti diversi per il riconoscimento di uno status paramatrimoniale: uno riservato alle persone dello stesso sesso e l’altro pensato per le persone di sesso diverso.
Non è più argomentabile una cosa di questo tipo nel buonsenso, ma neanche nella Costituzione. A meno che non vogliamo accedere a quell’interpretazione originalista dell’articolo 29 che dà la nostra Corte costituzionale nell’evidente tentativo di non sconfinare in imposizioni che la metterebbero in una difficoltà di di legittimità di fronte al potere politico. Ma una cosa del genere non sta più nei fatti. Se al contrario proponessimo una causa pilota in cui due persone eterosessuali provano a fare un’unione civile: andiamo in Corte Costituzionale e vediamo cosa succede. Perché ci sta che le persone omosessuali non possono fare il matrimonio per questa interpretazione dell’articolo 29; ma esiste il principio di continenza e io voglio capire come si argomenta il contrario se non per pura discriminazione.

Questa inargomentabilità e impossibilità di trovare argomenti è evidente nella situazione dell’attivista che parlava nella nostra clip. Allora, io propongo che, quando si parla di omogenitorialità, non si parli più di maternità surrogata, perché questa è una tecnica politica alla quale non dobbiamo più sottostare.
La maternità surrogata è una questione eticamente sensibile. La maternità surrogata è una questione complessa, che effettivamente determina il bilanciamento di interesse contro interessi.
Ma la maternità surrogata è: uno, una pratica praticata da persone omosessuali ed eterosessuali; due, una pratica non fondamentale nell’ambito di un ordinamento, che voglia riconoscere la parità di accesso delle persone alle tecniche procreative consentite per tutti.
Quindi io non voglio parlare di maternità surrogate, voglio parlare, invece, di eguaglianza. Le due donne che stiamo vedendo in quella clip, possono aver fatto due cose differenti (adesso non so il caso specifico quale sia). Per forza sono andate all’estero a fare una procreazione medicalmente assistita, perché la legge 40 non consente alle persone dello stesso sesso di poter accedere alla procreazione medicalmente assistita. E poi, o hanno partorito all’estero e hanno richiesto la trascrizione dell’atto di nascita in Italia; oppure hanno partorito in Italia e hanno richiesto di iscrivere direttamente il figlio come figlio di entrambe le madri con una formazione dell’atto di nascita direttamente dell’ufficiale di stato civile nel comune territorialmente competente.
Nel primo caso riconosciamo direttamente l’atto di nascita formato all’estero: giusta la sentenza della Corte di cassazione – le famose sezione unite sulla surrogata – che indica nel motivo dell’ordine pubblico la ragione per non trascrivere direttamente e per fare in modo che il secondo genitore debba acquistare la genitorialità secondo la non trascrizione (cioè la non trascrizione legittimata). Ma in questo caso non c’è alcun controinteresse, perché le donne che hanno acceduto alla procreazione medicalmente assistita all’estero non hanno violato nessun principio di ordine pubblico quindi noi trasferiamo direttamente.
Però, se noi invece proviamo a iscrivere direttamente in Italia, perché la madre ha deciso di partorire in Italia,
la Corte di cassazione ci dice che questo non lo possiamo fare. In questo caso il genitore
che non ha partorito dovrà procedere secondo le forme dell’adozione in casi particolari. Ora questo è contrario ad una parte della giurisprudenza di merito, che invece aveva approvato ad interpretare la legge 40 alla luce del principio per cui non deve ricadere sui figli e, quindi, sui modi di costituzione dello status come questi sono nati. In realtà la Corte di Cassazione non sposa questa interpretazione, affermando che nel nostro ordinamento l’accesso alla procreazione medicalmente assistita è concessa soltanto alle persone eterosessuali: per questo la seconda madre deve accedere alla genitorialità attraverso le forme dell’adozione nei casi particolari.
All’inizio le pronunce della Corte di cassazione riconoscevano la genitorialità su base genetica tranne qualche deroga: ma questo caso non rientra nelle deroghe, per cui il genitore non genetico deve essere riconosciuto attraverso l’adozione in casi particolari.

Peccato che è arrivato sul tavolo della Corte di cassazione il bellissimo caso per cui la figlia, era figlio genetico di entrambe le madri. Perché nella procreazione medicalmente assistita eterologa, possiamo avere un ovulo che con l’inseminazione di un donatore viene impiantato nella compagna della persona che ha donato l’ovulo. La Corte di cassazione non sapeva più cosa fare cosa e ha detto: noi non possiamo consentire la maternità a due persone dello stesso sesso, perché il problema è l’identità di sesso delle madri.
Forti di una sentenza della Corte costituzionale – quella famosa sentenza – aveva ritenuto che in realtà il divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita per le persone omosessuali non fosse costituzionalmente illegittimo.

Però secondo me ad esaminare questa sentenza della Corte costituzionale viene fuori proprio l’aporia del sistema. La sentenza è divisa in tre passaggi:

  1. Il primo passaggio dice: è ormai giurisprudenza acquisita e non si può più dire nel mondo del diritto, che l’identità di genere dei genitori determini un pregiudizio per il minore.
  2. Tuttavia, il legislatore ha discrezionalità nel contemplare differenti interessi in campo nell’accesso alla genitorialità.
  3. Poiché non esiste un diritto alla genitorialità, il legislatore può esercitare la sua discrezionalità nel ritenere che le persone omosessuali possono non avere questo diritto.

E trovo meraviglioso questo argomento: perché la verità è che ci siamo dovuti inventare tutta questa faccenda del diritto alla genitorialità, quando qui il parametro ovvio è quello dell’eguaglianza. Cioè non è che le persone omosessuali devono poter accedere a quella pratica perché c’è un diritto alla genitorialità, ma perché, se possono accedere quelli eterosessuali o trovi un controinteresse giuridicamente argomentabile per cui le persone omosessuali non possono o, se non c’è, allora non è vero che il legislatore può esercitare il suo legittimo ruolo al contemperamento degli interessi. Perché non vi sono interessi da bilanciare. E allora laddove non ci sono interessi da bilanciare e nell’esercizio della discrezionalità del legislatore, operare in è pura discriminazione, perché quello è arbitrio.
E questo la Corte costituzionale avrebbe dovuto fare, in applicazione del principio di uguaglianza, che noi impariamo al primo anno dei corsi di diritto costituzionale. Non so se il professor Grosso conferma…

Le cose che ci sarebbero da dire sono tantissime. Il principio che voglio provare a condividere con voi è che, anche guardando all’estero, in un ordinamento non si possono più tenere insieme due affermazioni: l’una giuridicamente sancita a tutti i livelli, sia nelle fonti sia nella giurisprudenza, per cui l’omogenitorialità e l’identità di genere dei genitori non può comportare un pregiudizio per il minore; e l’altra, che differenzia le modalità di accesso alla genitorialità a seconda del genere. Queste due cose non sono giuridicamente conciliabili. Quello che sta succedendo in Italia, per cui effettivamente il panorama di come si diventa genitori se si è persone omosessuali determina una complicazione estrema e spesso delle violazioni di diritti gravi. Dire che un genitore può diventare genitore soltanto se adotta i propri figli ricorrendo uno strumento inadeguato quale quello d’adozione in casi particolari, vuol dire determinare una discriminazione che va in primo luogo contro il minore, colpevolizzandolo e facendo ricadere su di lui le scelte di orientamento sessuale dei genitori. Questi due principi non possono più stare insieme. L’unica possibilità è quella di permettere alle persone omosessuali di accedere alle stesse identiche possibilità di genitorialità che sono ammesse per le persone eterosessuali.
E scacciare questo spauracchio della surrogata perché non è questo il tema. Quello che possono fare gli uni, devono poter fare anche gli altri. E poi sulla surrogata si discute e possiamo discuterne per ore, però quello non è il punto.

Secondo intervento

Penso che possiamo dire che c’è un disegno in qualche modo. Io penso che questo disegno si manifesti chiaramente nelle parole della Presidente del Consiglio, la quale dice sostanzialmente: ma cosa volete, questi hanno l’adozione in casi particolari quindi il discorso si chiude. Che è una conquista, perché ricordiamo che nel 2016 c’è stata la stepchild adoption, che c’è stato il dibattito politico, che abbiamo stralciato una parte della legge… quindi il fatto che adesso questa maggioranza di governo ritenga che ci sia almeno l’adozione in casi particolari…

Però questo ci dice anche molto. Perché secondo me è questo silenzio che innestato su un panorama normativo così lacunoso è esattamente la strategia, cioè la non azione. Perché porta voi a dover dare risposte,  Ma visto che il giudice non è il legislatore – e in questo concordo col professor Grosso – quello che succede è una frammentarietà delle opzioni che non è sostenibile. Noi abbiamo una modalità di riconoscimento per i padri che fanno la surrogata all’estero; un’altra modalità di riconoscimento per le donne lesbiche che fanno la procreazione medicalmente assistita all’estero partorendo all’estero; un’altra modalità di riconoscimento per le donne lesbiche che fanno la procreazione medicalmente assistita ma partoriscono in Italia; e due modalità differenti di riconoscimento per le persone italiane che, residenti all’estero tornano in Italia, hanno adottato, si fanno riconoscere l’adozione. Ho provato a spiegare questa cosa ad un collega straniero negli Stati Uniti ed è rimasto sbalordito.

Se le persone omosessuali non creano disagio ai bambini, allora tutto uguale agli altri; altrimenti questa situazione non ha senso. Il problema è questa inazione, che è una strategia politica. Perché siamo talmente tanti inviluppati dentro al nostro sistema, che questa complicazione ci fa perdere un sacco di energie e di tempo. Qualche giorno fa sono andato a Verona in un convegno di confronto con la Corte di cassazione: il panel di famiglia era su tutte queste singole fattispecie, la trascrizione, l’iscrizione…

Perdiamo capitale politico, tempo, energie culturali e tecniche, nel cercare di dipanare questo problema. E in ordinamenti che hanno già superato da più di dieci anni la questione della parità, il problema è tutt’altro. Negli Stati Uniti, così come a Cuba – giusto per parlare di ordinamenti che poco o forse nulla hanno da dirsi – la questione della omogenitorialità è veramente da paleolitico. Si sta parlando adesso di come adeguare le forme di genitorialità alla famiglia che cambia e al fatto che la genitorialità deve passare dalla cura del minore. C’è sostanzialmente un procedimento di usucapione dello status – non stiamo parlando di due Stati progressisti dell’East Coast, ma di ben 33 Stati degli stati Uniti d’America, compresi stati conservatori – che il solo fatto di prenderti cura di un minore in modo continuativo usucapisci, con sentenza dichiarativa – attenzione non con l’adozione  – lo status di genitore. E questo a prescindere dal numero dei genitori: tre, quattro, cinque, due... ; relazione tra essi: sono essi una coppia romantica, non sono una coppia romantica, non sono una coppia, sono nonno e nipote, sono fratello e sorella, sono migliori amici, la famiglia ricomposta… Perché quello che si è capito è che il minore psicologicamente vede come genitore colui che se ne prende cura. Il diritto questo deve fare, dare delle strutture di riconoscimento ex ante. Quelle ex post si pongono su una bella clausola generale: per chi se ne prende cura e ti metto i parametri. Perché io non posso promuovere un certo modello familiare, perché non è il mio compito. Io devo promuovere degli interessi… e quindi lo riconosco così.

Allora qual è la strategia politica: che noi e voi, fintanto che dobbiamo impegnarci a dipanarci tra la trascrizione, l’iscrizione, l’adozione, la non adozione (è la politica che deve fare questo), non vediamo quello che veramente è il futuro. È questo, secondo me, è frutto di una strategia che è quella del silenzio.

Trascrizione a cura della redazione,
in attesa di approvazione del relatore

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Saluti

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