Tavola rotonda I diritti sotto attacco

Giuseppe Provenzano
Deputato

Secondo intervento

Vi ringrazio molto per questo invito. Io non mi sono mai occupato specificatamente di problemi della giustizia, se non nel senso in cui ci invitava a farlo Leonardo Sciascia, scrittore a me carissimo e che mi piace ricordare qui, in questo che come sapete fu il palazzo dell’Inquisizione spagnola in Sicilia. Sciascia diceva che intorno al problema della giustizia si legano tutti i problemi: quello della libertà, quello della dignità della persona, quello del rispetto tra uomo e uomo. E bisognerebbe aggiungere, a distanza di molti anni, tra uomo e donna.

Voglio fare due considerazioni preliminari, perché mi consentono di entrare subito nel merito di alcune cose che ho ascoltato nella relazione del segretario nazionale.

Io sono un proporzionalista convinto: si potrebbero citare molti studi politologici che spiegano e dimostrano lo stretto legame che c’è nei sistemi proporzionali rispetto ai sistemi maggioritari, nella capacità di tutelare, garantire e promuovere meglio l’uguaglianza sostanziale tra le persone e la difesa dei diritti del lavoro. E del resto la storia d’Italia ce lo insegna. E oggi sono convinto che i problemi del nostro Paese siano legati non alla governabilità, ma ad un deficit di rappresentanza che si traduce anche nella capacità poi di garantire e tutelare i diritti sociali di cui stiamo parlando.

L’altra considerazione è che l’indebolimento dell’uguaglianza è un processo lungo e profondo, che tuttavia si è molto acuito nell’ultimo anno, con l’attuale Governo. Voglio dire in premessa che anche la mia parte politica ha contribuito a questo processo di indebolimento dell’uguaglianza.  Nel migliore dei casi, con una responsabilità omissiva; nel peggiore dei casi, contribuendo anche all’indebolimento dei diritti sociali e, in particolare, dei diritti del lavoro.


E credo anche che il prisma del diritto penale, e in particolare del rapporto tra politica e giurisdizione, ci offra una lente, uno specchio, molto nitido di quello che a mio avviso è un attacco, più che ai diritti, all’uguaglianza fra le persone.

Per essere più chiari, dobbiamo dirci che sul tema dei diritti si fa anche molta retorica. Quello che più precisamente a mio avviso sta accadendo, non solo nel nostro Paese, non solo nell’ultimo anno, è un attacco all’uguaglianza. Voglio citare un episodio. In Parlamento accadono di rado delle cose notevoli, e quando accadono non sempre ce ne s‘accorge. Però all’inizio di questa legislatura un deputato della maggioranza si è alzato in piedi urlando alla Camera – era il 5 dicembre del 2022, lui si chiama Sasso – «abbasso l’uguaglianza», che è un po’ come dire «abbasso la Costituzione».

A me è parsa una rivelazione: il manifesto politico di una certa destra, che si è tradotto in atti concreti, peraltro nel pieno di una crisi economica e sociale a cui non vengono date risposte. Ricordiamo tutti che i primi atti del governo sono stati, prima ancora che legislativi, i provvedimenti amministrativi di selezione arbitraria dei naufraghi, compiuti dal Ministro dell’Interno al porto di Catania, poi rimangiati e poi recuperati attraverso il “decreto Cutro” e l’infamia del “decreto Migranti”.

Il primo provvedimento normativo del governo è stato un nuovo reato, il “decreto Rave”, che nella sua formulazione iniziale era un attacco al diritto di associazione, alla libertà di manifestazione, con la previsione di un palese arbitrio dell’autorità pubblica. Al punto che è stato corretto, passando dal pericolo al ridicolo di una distinzione legata allo scopo ludico, anzi allo scopo musicale o altro scopo di intrattenimento, che ha introdotto un’aggravante in grado di autorizzare intercettazioni, nel momento stesso in cui le stesse intercettazioni subivano una significativa stretta per i colletti bianchi.

In questo si aggravava la distanza, sempre più evidente, tra un codice per i “briganti” e un codice per i “galantuomini”, che nel nostro Paese c’è sempre stato, ma che noi stiamo sempre più cristallizzando fornendo la copertura giuridica di un diritto penale diseguale. Allora, perché tutto questo? Perché se dobbiamo cercare un filo rosso – anzi un filo nero – che lega l’azione di governo in quest’ultimo periodo, io lo trovo proprio lì: nell’attacco all’uguaglianza.  

All’uguaglianza sociale, in primo luogo, dove stiamo assistendo a una vera e propria redistribuzione di risorse alla rovescia. Potrei fare molti esempi. Forse quello più eclatante è stato il taglio al reddito di cittadinanza per fare contestualmente un regalo agli evasori fiscali e alle società indebitate di serie A.

C’è stata l’ulteriore precarizzazione del lavoro e l’indebolimento delle norme sulla sicurezza. Noi abbiamo assistito ad una liberalizzazione dei subappalti, dopo un tentativo compiuto all’interno delle norme del PNRR di una maggiore regolamentazione. Quando si parla della strage di Brandizzo come un problema di errore umano e, dunque, di una magistratura che, come diceva giustamente il vicepresidente del CSM, deve perseguire le responsabilità individuali, si perde di vista un sistema che produce quello che accade a Brandizzo. Il fatto che abbiamo le esternalizzazioni e una disuguaglianza tra lavoratori interna alla stessa filiera del lavoro. E questo è un punto fondamentale che, io credo, ci tornerò tra poco, interroghi la giurisdizione.

Poi, c’è un attacco all’uguaglianza territoriale, che nella storia del nostro Paese, connota particolarmente il tema dell’uguaglianza dei diritti. L’autonomia differenziata di cui parlava Anna Falcone è esattamente questo: cristallizzare quello che già esiste, un divario di cittadinanza. Il fatto che nel nostro Paese nell’accesso ai diritti fondamentali, nella loro garanzia, nella loro promozione, nella loro tutela esistono già oggi i cittadini di serie A e di serie B. E la possibilità stessa di colmare questo divario viene minata da questo processo di autonomia differenziata che, anzi, rischia di allargare queste disuguaglianze.

Su tutte queste cose, persino la parte politica che io rappresento, nel corso degli anni ha avuto una parte di responsabilità. Quello a cui non si era mai arrivati è a mettere in discussione l’universalità di tali diritti, come sta accadendo ora.

Che è l’ultimo anello della catena dell’attacco all’uguaglianza. Un attacco alla capacità espansiva dei diritti, di riconoscerli quindi ai diseredati, agli ultimi della Terra, a coloro che arrivano alle nostre coste. Un attacco ai diritti delle minoranze e anche ai diritti di una maggioranza ancora discriminata nel nostro sistema economico e sociale, cioè le donne.

E questi attacchi non avvengono solo attraverso le leggi, le innovazioni normative. Avvengono già prima, attraverso la minaccia di un mutamento normativo che incide sul clima politico culturale, su un “contesto” che poi condiziona l’applicazione del diritto e dei diritti.

E qui si pone la questione decisiva per capire il tempo che stiamo vivendo. Quali sono gli strumenti, “al tempo del maggioritarismo”, per avere delle costruzioni politiche che possano garantire il consenso sociale per quello che, essendo un attacco all’uguaglianza, è un attacco alla maggioranza delle persone?

Il primo strumento è la costruzione sociale dell’insicurezza. E qui si arriva direttamente a quello di cui parliamo, perché quando si parla di insicurezza – se ne è parlato a lungo nel nostro Paese – non si parla quasi mai della insicurezza legata al lavoro. Se non, appunto, nei casi eclatanti vere e proprie stragi che colpiscono l’immaginario pubblico e suscitano l’indignazione pubblica, anche a livello altissimo, come con le parole del Presidente della Repubblica che sono state ricordate. E che passata però l’indignazione, non rientrando nel discorso mediatico sulla sicurezza, questo tema torna nell’oblio della strage quotidiana delle tre morti sul lavoro, numeri paragonabili a quelli di fine Ottocento.

Lo stesso accade anche con le mafie, siamo qui a Palermo e non possiamo non parlarne. Le mafie sono la più grande minaccia alla sicurezza, alla democrazia e all’uguaglianza dei diritti, e ne parliamo soltanto quando arrestiamo qualche latitante (e lasciatemi ringraziare la Procura di Palermo per l’arresto di Matteo Messina Denaro, che è stato un arresto, non una consegna, non alimentiamo una narrazione di invincibilità della mafie, che invece qui subisce un duro colpo). Ma questo racconto sporadico delle mafie rischia addirittura di produrre un contraccolpo nell’opinione pubblica: “va bene, allora abbiamo messo carcere il capo o il presunto tale… il problema delle mafie non è più così allarmante, si può abbassare la guardia”. E qualche giornale persino titola: “la mafia non esiste più”.

La “costruzione sociale dell’insicurezza” ha bisogno dell’individuazione del capro espiatorio che, talvolta, serve anche alla “costruzione del nemico”. E questo non vale solo astratto, come per l’Europa o i mercati, ma può riguardare precise categorie sociali. C’è la disoccupazione? È colpa del giovane che sta sul divano (che è anche un po’ debosciato, perché poi va ai rave party) e non vuole lavorare. C’è la povertà? È  colpa dei poveri. C’è la denatalità? È colpa della donna emancipata, laureata, come dicono in Ungheria. Anche questa è costruzione sociale del nemico. C’è un disagio economico e sociale, c’è un indebolimento della capacità del nostro sistema di welfare di rispondere: la colpa è del migrante che rischia di minacciare quel poco di benessere che hai. Qual è l’obiettivo politico di tutto questo? È quello di frantumare le soggettività politiche e sociali, a cominciare dalla soggettività del lavoro – e questo è un punto fondamentale – creando nuove soggettività e, quindi, nuove fratture, nuove divisioni, che sono quelle identitarie: su tutte, gli italiani contro i migranti.

E qual è lo strumento per consolidare tutto questo? La cosa più antica del mondo: l’utilizzo del diritto penale. Luigi Ferrajoli qui è stato molto citato, e lo faccio anche io, ricordando quanto il populismo penale sia funzionale al populismo politico. E posso fare gli esempi di quello che è avvenuto nel solo ultimo anno, in termini di nuovi reati o di aumento delle pene: reato di “rave”; reato per traffico di migranti con pene aumentate fino a trent’anni; violenza di genere aumentata fino a cinque anni; reato universale di gestazione per altri; dispersione scolastica con genitori puniti fino a due anni; occupazione abusiva di immobili con prolungamento fino a 18 mesi. Potrei continuare.

Ma voglio chiudere sul punto di fondo. Il pan-penalismo è un elemento strutturale, perché il diritto penale è l’ultimo ambito in cui lo Stato esercita la sua sovranità persa in altri ambiti. E allora si può superare solo se si recupera sovranità sul terreno economico e sociale, e si torna a dare risposte politiche e giurisdizionali al tema dell’uguaglianza, imposto dalla Costituzione.

C’è un versante strettamente politico, per arginare e invertire una china che diventa sempre più chiara e sarà sempre più pericolosa: poiché non ci sono margini per ridare risposte economiche e sociali, lo vedremo sulla legge di bilancio, e si rischierà di allargare ulteriormente le disuguaglianze, avremo nuovo impulso al populismo penale e alla deriva securitaria. Anche qui, un po’ di autocritica della sinistra è necessaria: anche la mia parte politica ha una responsabilità, perché nel corso degli anni ha sostituito la giustizia sociale con la giustizia penale, essendo sempre meno attenta al tema dell’uguaglianza sociale.

È un tema che si può recuperare. Che stiamo cercando di recuperare. Anche perché ha a che fare con una politica costituzionalmente orientata. Ma io credo che anche una giurisdizione costituzionalmente orientata ha la possibilità di fare la sua parte e far valere questo tema dell’uguaglianza.

Faccio un esempio proprio sul tema del diritto al lavoro e della sicurezza del lavoro. Persino nel precedente governo – un governo di unità nazionale in cui c’erano visioni politiche diverse e persino alternative – una politica costituzionalmente orientata è riuscita a far passare un principio di uguaglianza sostanziale: quello secondo cui lungo tutta la filiera dell’appalto ci devono essere le stesse regole, lo stesso salario, le stesse garanzie contrattuali, gli stessi controlli, con effetti, per esempio, su tutto il tema della legalità, della mafia, eccetera. Ora è intervenuta una legge che ha cancellato quella disposizione e fatto saltare quel principio.

Io mi chiedo e vi chiedo:  una giurisdizione costituzionalmente orientata, in nome di quale parametro di ragionevolezza può giustificare una legge che, all’interno di una stessa filiera di appalto, legittima una disparità di trattamento tra lavoratori e tra persone? È o non è questo un compito autonomo della magistratura, di applicare le leggi alla luce della Costituzione? Ma forse è proprio per evitare che avvenga questo che si attacca l’indipendenza della magistratura. Non è un caso. E spero ci sia tempo di parlarne dopo.

 

Secondo intervento

Quando sottolineavo che sono una parte della politica, non era per sottrarmi a responsabilità, ma per rivendicare una partigianeria. Non rappresento tutta la politica ma, appunto, una parte. Così come voi non rappresentate tutta la giurisdizione, ma una parte della giurisdizione.

Devo precisarlo, prima di rispondere alla domanda di Grosso: la giurisdizione potrà svolgere questo ruolo di supplenza rispetto alla politica che ha abdicato alla funzione di difendere la Costituzione? E devo essere sincero, professore: io credo che noi siamo in un'altra fase storica. Molto più preoccupante e più grave di quella in cui io avrei potuto rispondere dicendo: c’è l'argine della giurisdizione, dobbiamo fare di più noi, i democratici, la sinistra, la parte più costituzionalmente orientata della politica.

Perché io sono convinto che non vi sia nulla di casuale ed estemporaneo, in quello che sta accadendo. Che il terreno dello scontro non sia più strettamente relegato al campo della politica. Perché l’attacco all'uguaglianza, di cui parlavo, è un attacco ai principi costituzionali.

Nella sua introduzione, la dottoressa Lia Sava citava il patrimonio costituzionale comune europeo, che è quello che nasce dalle costituzioni del dopoguerra, in tanti Paesi frutto della Resistenza al nazifascismo. Io credo che oggi questo patrimonio costituzionale comune sia minacciato anche in Europa, in molti Paesi. L'idea che l’attuale governo polacco ha dell'Europa è molto diversa dal patrimonio costituzionale comune che ha informato, con tutti i limiti (e con qualche lacuna, ad esempio sul terreno economico e sociale), il processo di costruzione dell’integrazione europea. Noi dobbiamo mettere bene a fuoco quello che sta avvenendo. Questo attacco è politicamente e culturalmente strutturato, e si riflette anche sulla giurisdizione attraverso l'attacco all'indipendenza della magistratura: matrice classica di tutti gli autoritarismi in tutto il mondo e dei tentativi di torsione autoritaria delle democrazie. È quello che, come abbiamo ascoltato, sta accadendo in Polonia. È quello che accade in Ungheria, o che sta avvenendo in Israele. È quello che avviene in Tunisia.

Approfitto dalla presenza di Tarquinio per allargare un po' lo sguardo. Non voglio farla lunga, ma vorrei dire che questa tendenza si inserisce in un contesto più ampio. In questo periodo storico, dopo la guerra in Ucraina, abbiamo ascoltato molta retorica, anche ai vertici delle nostre istituzioni, sullo scontro tra democrazie e autoritarismi. Bene, io credo che questo scontro tra democrazia e autoritarismo non si configuri come scontro tra blocchi contrapposti. Perché la minaccia alla democrazia non è solo una minaccia esterna, è una minaccia interna alle nostre società. Il conflitto tra democrazia e autoritarismo attraversa le nostre società. E le nostre stesse democrazie segue una precisa meccanica politica: la concentrazione del potere – nelle varie forme, compreso il presidenzialismo – è il risvolto necessario della concentrazione della ricchezza. E inevitabilmente mette a rischio l'esistenza e la difesa dei poteri terzi.

L'attacco ai poteri terzi che Albamonte ricordava nella sua relazione, è stato realizzato nell’ultimo anno anche con alcune norme. Ma non avviene necessariamente con le norme. C’è una manifesta insofferenza verso i controlli e gli organismi indipendenti. Ci sono forme di intimidazione, politica e mediatica. La più comune è l'attacco alla magistratura, alla cosiddetta “magistratura politicizzata”. Ma qual è questa magistratura politicizzata? Perché, se Albamonte parlava di “tribunalizzazione della politica”, io vorrei anche parlare di quella che potremmo definire una certa “politicizzazione dei tribunali”. E non nel senso in cui la retorica berlusconiana ce l’ha raccontata, ora assunta per intero da tutte le forze di questa maggioranza. Ma per un fenomeno più profondo. E cioè il fatto che la polarizzazione politico-culturale che lacera le nostre società si riflette  all'interno della giurisdizione.

Lo vediamo in tutto il mondo, non solamente in Italia. Quello che è avvenuto con la Corte suprema americana, con la sentenza “Dobbs contro Jackson”, che ribalta quella storica del ’73 “Roe contro Wade” sul diritto all’aborto, indica che la battaglia in quell’ordinamento si è già trasferita nella giurisdizione.

Lo pongo come elemento di riflessione, ma voglio parlare liberamente – perché spero che siano argomenti di dibattito – e dire fino in fondo quello che penso. A me pare che la svolta conservatrice, anche nel nostro Paese, non bisogna guardarla solo negli equilibri interni al CSM. Bisogna guardarla anche nella nostra giurisdizione. Le argomentazioni che il ricercatore Vercellone ha portato in questa discussione, con le alterne sentenze sulle coppie omogenitoriali, legato al mancato rispetto del criterio dell’uguaglianza, segnalano un conflitto interno alla giurisdizione e una spinta conservatrice nella giurisdizione che va messa a fuoco.

Potrei fare altri esempi, uno dei più eclatanti è la recente sentenza di Firenze sullo stupro. E sarà molto interessante quando bisognerà analizzare le sentenze, su questo tema o altri, quando i fatti lambiscono il potere, e specialmente il potere politico. Perché se io ragionassi come ha ragionato la destra, in questi anni, con il suo attacco alla cosiddetta magistratura politicizzata, dovrei stigmatizzare la richiesta di archiviazione per Del Mastro. E invece nel rispetto dell'autonomia della magistratura dico che per fortuna poi c’è un giudice. Dovrei stigmatizzare le cautele procedimentali utilizzate verso il figlio di La Russa. Ma noi non ragioniamo come loro e, ripeto, abbiamo rispetto dell’autonomia e dell'indipendenza dei magistrati.

E allora, in conclusione, voglio dire che se questa polarizzazione e questo conflitto si trasferiscono anche nella giurisdizione, allora serve discuterne apertamente. Rivendicando con coraggio da parte dei magistrati singoli e associati il diritto a esprimersi sulle grandi questioni della giurisdizione, che riguardano l'attuazione del principio di uguaglianza della nostra Costituzione. Perché, voglio ripeterlo al Vice Presidente del CSM, questo è un punto essenziale della funzione democratica e costituzionale della magistratura. E credo che sia un'esigenza che si imponga con sempre maggiore forza, anche per non cedere alla minaccia che arriva alla libertà di espressione della magistratura e delle sue forme associative, che è il corollario di alcuni ragionamenti che ho ascoltato anche oggi. Insomma, c’è bisogno di elevare ancora di più il dibattito pubblico sulla giurisdizione.

Certo, sono d'accordo con voi che la politica ha una responsabilità ancora maggiore, più alta e più grave. Penso che per parte nostra dovremmo passare da una funzione di difesa ad una funzione di attuazione della Costituzione. Una difesa della Costituzione verso la quale, anche qui, dobbiamo recuperare un po’ di credibilità, perché un pezzo degli attacchi che arrivano oggi – riforme a maggioranza, autonomia differenziata – sono frutto di errori compiuti da quelle parti politiche che si sono dette eredi delle tradizioni costituenti del nostro Paese. E la difesa della Costituzione è un movente politico importante nel nostro Paese, e la storia del nostro Paese l’ha sempre dimostrato, anche nel rapporto con l'opinione pubblica, nel recupero e nella costruzione del consenso popolare.

Ma passare dalla difesa all'attuazione della Costituzione è il compito più difficile di una politica che proprio sul tema dei diritti trova il naturale suo banco di prova.
Tema che andrebbe declinato cogliendo tutti quei legami forti che esistono tra i diritti. Non cedendo a una retorica, che abbiamo subito nel corso di questi anni, per esempio, sulla distinzione tra diritti civili e diritti sociali. Non solo Stefano Rodotà, ma anche i nostri padri costituenti ci hanno insegnato l'indivisibilità dei diritti, evidente nella prima parte della nostra Costituzione, a partire dall’articolo 3.

Del resto, che i diritti sociali e diritti civili vanno insieme, ce lo insegna la storia d’Italia, penso al decennio di grandi avanzamenti negli anni Settanta. Ed è, lasciatemelo dire, l’essenza stessa del socialismo democratico, a cui io mi ispiro, aver capito che libertà individuale ed emancipazione sociale andavano insieme, che non si doveva fare come la Russia, ma nemmeno come i regimi liberali dell’Ottocento.

Oggi, a questi si aggiunge un’altra categoria di diritti, che sono quelli ambientali. Diritti ancora più complicati, perché vanno affermati per coloro che non li possono nemmeno rivendicare: quella parte di mondo a cui neghiamo l’universalità dei diritti, le prossime generazioni sulla Terra, gli altri esseri viventi.

È una sfida politica fondamentale, e anche molto urgente. Proprio in questo tornante storico, la stessa torsione autoritaria e illiberale delle nostre democrazie punta a dire che i diritti ambientali non ce li possiamo permettere, perché hanno un costo. E punta a mettere in contrapposizione – ho spesso usato questa formula - la “fine del mondo” con la “fine del mese”. Noi, la mia parte, la politica costituzionalmente orientata, che ha a cuore il principio fondamentale dell'uguaglianza, è quella che, a mio avviso, deve dare risposta alla fine del mese e alla fine del mondo, perché le due cose vanno insieme se vogliamo ricostruire consenso a un’idea di progresso. Ma questo è tema di un altro confronto. Intanto, grazie ancora per la giornata di oggi.

Trascrizione a cura della redazione,
rivista dal relatore

Gli altri interventi

Saluti

Relazione introduttiva

Tavola rotonda:
I diritti sotto attacco

Dibattito congressuale