Intervento

Gian Domenico Caiazza
Presidente dell’Unione delle Camere Penali italiane

Grazie a voi tutti e grazie a te, Eugenio, per l’invito. Riflettevo che c’è questa coincidenza. Tu concludi oggi la tua fatica di responsabile associativo e rappresentante della tua associazione; a me succederà tra una settimana a Firenze, dove tu sarai nostro ospite, relatore sempre graditissimo proprio sui temi dell’ordinamento giudiziario. A sottolineare la certezza, da parte nostra, la convinzione profonda della necessità di mantenere serrato il dialogo e il confronto tra noi.

Tuttavia, credo che il dialogo è produttivo se si libera dalle gabbie ideologiche, che troppo spesso lo inquinano. E mi permetto di dirvi, con la franchezza che mi è consueta, che la gran parte delle riflessioni sul tema separazione delle carriere hanno il segno di una forte ideologizzazione, che significa semplificazione e indifferenza alla realtà obiettiva del fatto di cui si discute. Evocazione quasi automatica di significati che non sono necessariamente portati dal fatto del quale si discute questa. Questo automatismo tra un sistema ordinamentale a carriere separate e la lesione dell’indipendenza del giudice, insomma, è un automatismo che si infrange contro la realtà. Portogallo, Spagna, Germania, Svezia, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, India, Giappone: tutti Paesi con carriere separate. Cosa dovremmo immaginare? Cosa dovremmo conseguire dalle riflessioni che ho sentito fare? Che in questi Paesi, cioè nella stragrande maggioranza delle democrazie occidentali, nei più importanti paesi del mondo, la magistratura non sarebbe libera, sarebbe governata, non indipendente. E che quindi lo sarebbe solo qui? In Romania, in Bulgaria e in Turchia, dove la soluzione ordinamentale ha carriere uniche.

Dobbiamo liberarci da questo, perfino sul modello che noi non abbiamo scelto. Noi siamo orgogliosi di aver scelto nella nostra legge di iniziativa popolare, che è diventata il modello su cui si sono mutuate tutte le proposte di legge di cui si discute in Parlamento – il modello portoghese: pubblico ministero indipendente – con l’indipendenza blindata in Costituzione, e carriere separate.

Ma, si dice, è un’eccezione perché la gran parte dei Paesi a carriere separate, il pm dipendente dall’esecutivo. Benissimo, è un’eccezione e noi abbiamo scelto questa eccezione. Non ho il tempo di dire perché e qual è stato il dibattito che ci ha portato a questa scelta.

Ma lasciatemi dire – forte di questa scelta, non ci sono equivoci su questo – che anche nei paesi dove l’ufficio del pubblico ministero dipende formalmente dal potere politico, che cosa dovremmo dire? Dovremmo vedere queste esperienze come esperienze nelle quali la funzione giurisdizionale è condizionata, determinata, governata dal potere politico? A me non pare che si possa dire questo. Non mi pare che si possa dire con questa facilità. Così come, a parti invertite, in sistemi ad ordinamento unico – prendete la Turchia – non mi pare che si possa parlare di una magistratura indipendente dal potere politico.

Quindi il tema è più complesso. Cerchiamo di andare a vedere che cosa. Perché noi vogliamo la separazione? Sento il ministro stamattina dire che le Camere penali la immaginano come la panacea di tutti i mali. A lui piacciono queste iperboli. Noi non abbiamo mai detto che sia la panacea di tutti i mali. È una insensatezza che non abbiamo mai sognato di poter dire. Non c’entra nulla con la soluzione dei problemi, che noi sappiamo quanto siano gravi della giurisdizione e dell’amministrazione della giustizia. Quindi nessuna panacea. Noi semplicemente diciamo, che nei paesi con processo diritto accusatorio è coerente – perché è così, nella storia che ci troviamo a vivere quotidianamente – il sistema a carriere separate.

Si dice, la Francia ha un processo inquisitorio. È la prova del nove, perché il sistema carriera unica è coerente con il sistema processuale inquisitorio. Hanno i pm dipendente dall’esecutivo; e però vi faccio notare che gli ultimi tre presidenti della Repubblica, non vorrei sbagliare, sono stati incriminati. L’attuale ministro Moretti, con il quale c’è uno scontro di una violenza che noi ci sogniamo, diciamo così, è indagato per una sorta di reato di abuso in atti d’ufficio. Questo è che mi premeva di dire: cerchiamo di andare a guardare.

Già vedo che il discorso, finalmente dopo anni di fatica, si orienta meglio. Perché prima sentivamo addebitarci che volevamo il pm dipendente dall’esecutivo. Adesso, dato che scripta manent, poiché questo non si può dire più – basta leggere il testo della nostra proposta e di quelle che sono in Parlamento, modello portoghese, con articolo 104, riscritto, che blinda l’indipendenza – adesso sento dire che il problema è nella equivalenza numerica dei componenti laici dei due consigli superiori e nell’azione penale non più obbligatoria. Ma se ci sono questi problemi, discutiamone. Per carità, tutto qui? Non è che questa è una soluzione che non può essere ragionata. Il pari numero di membri laici è stato oggetto di discussione appassionata nell’Assemblea Costituente, da parte di giuristi che non penso si possano sospettare di non so cosa. Giovanni Leone, che l’ha sostenuto fino all’ultimo, diceva: stiamo attenti perché facciamo del Consiglio superiore della magistratura un organismo che per gli equilibri che si verranno a creare diventa autoreferenziale e questo mette in gioco l’indipendenza interna della magistratura. E mi pare che siano parole abbastanza profetiche per quello che abbiamo potuto vedere, soprattutto negli ultimi anni. È un tema serio, non è un tema vitale. Discutiamone.

Sull’azione penale, è vero che noi abbiamo inserito questo tema, perché è un tema coerente. Ora qui dovremmo aprire un discorso sull’azione penale, dove siamo tutti convinti. Mi permetto di dire che il principio di obbligatorietà è un principio che non funziona. È un principio che viene derogato regolarmente da decenni. La riforma Cartabia ha fatto un ulteriore passo. Noi abbiamo immaginato l’idea di un’azione penale temperata come principio costituzionale. Se ne deve discutere? Discutiamo di questo. Non affrontiamo ogni volta questo tema, come se fossimo i vampiri, rispetto ai quali bisogna mettere il crocifisso.

Prendiamo atto che esiste una coerenza storica, inveterata nella realtà politica, ordinamentale, contemporanea che i Paesi a regime accusatorio hanno il sistema ordinamentale a carriere separate. Partiamo da questo dato. Interroghiamoci, misuriamo.

E un’ultima riflessione. Quando ragioniamo in modo de-ideologizzato noi e voi siamo in grado di fare grandi cose. Io vorrei ricordare - Eugenio lo ricorda – il ministro Bonafede che ci dice che deve ridurre i tempi del processo. Ci convoca. Noi ci guardiamo in faccia e diciamo: lasciamo le nostre posizioni più estreme. Noi lo sappiamo quali sarebbero le soluzioni per accelerare i processi: potenziare fortissimamente i riti alternativi, abbreviati condizionali, patteggiamenti senza limitazioni oggettive e soggettive, depenalizzazione. Anm fece una proposta intelligentissima di depenalizzazione dei reati contravvenzionali. Sottoscrivemmo questo pacchetto e dicemmo al ministro Bonafede – che lo ha capito – che era un’occasione irripetibile, perché puoi fare una riforma con l’accordo di avvocati e magistrati. Andò dalle sue forze di maggioranza, Lega e Cinquestelle, che gli dissero di no. Perché? Perché non era una soluzione spendibile con un elettorato aizzato ogni giorno dal tema del ‘in galera, in galera, in galera…’

Quel documento è ancora nelle commissioni ministeriali, semmai serviranno a qualcosa, lo abbiamo rimesso in circolazione. Quando ci si concentra fuori da posizioni ideologiche, noi conosciamo come funzionano le cose, noi siamo nelle condizioni di dire dove bisogna orientare le soluzioni.

Non sprechiamo questo patrimonio di conoscenza comune con guerre ideologiche, che francamente non hanno più senso.

Trascrizione a cura della redazione,
in attesa di approvazione dal relatore

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Saluti

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