Intervento

Piergiorgio Morosini

Il titolo di questo congresso è un titolo molto impegnativo. Lo voglio interpretare come un invito a tutto l’associazionismo giudiziario, ad una riflessione ad ampio spettro sugli orizzonti della magistratura italiana, in un tempo di grandi cambiamenti nella società e nelle istituzioni, anche per fatti che vanno ben oltre i confini del nostro Paese.

Penso sia una sollecitazione ad andare oltre al governo del presente dell’ANM, che si caratterizza per un impegno costante sulle proposte di riforma, sulle dinamiche organizzative e ordinamentali, sulle condizioni di lavoro dei magistrati. Insomma, è tempo di una riflessione più profonda sull’evoluzione delle nostre funzioni, sull’approccio nell’affrontare, sull’adeguatezza del nostro prodotto professionale rispetto alle attese di giustizia dei cittadini. Un riflessione in grado di indicarci quale sia il modo per cooperare, attraverso il nostro lavoro quotidiano, nella individuazione di soluzioni utili, praticabili, civili, sulle questioni che preoccupano tante persone comuni. Mi riferisco ai problemi connessi ai fenomeni migratori, alla sicurezza reale o percepita, alla crescente difficoltà di trovare un lavoro, alla tutela delle tante minoranze che ogni giorno si formano nella nostra società.

Solo se partecipiamo fattivamente, in base alle nostre funzioni e ognuno con le sue idee e con la sua sensibilità, alla ricerca di quelle soluzioni, la nostra voce sarà ascoltata nel dibattito sulle riforme costituzionali, che riguarda anche il rapporto tra politica e magistratura.

L’ANM, in ogni sua componente, oggi è chiamata, innanzitutto, ad interpretare una stagione in cui i fondi stanziati dal PNRR per la giustizia offrono una grande possibilità di rinnovamento tecnologico, organizzativo e culturale. Quei fondi, tuttavia, possono trasformarsi in una grande occasione perduta, se non determiniamo un effettivo cambiamento, che va coltivato con le risorse normative e istituzionali a disposizione e non con l’illusione che altre riforme possano risolvere i nostri problemi.

Credo che, per la realizzazione di quel cambiamento, la magistratura debba rafforzare lo spirito di collaborazione con l’Avvocatura, con gli enti territoriali, con il privato sociale.

L ’Avvocatura deve essere il nostro interlocutore privilegiato, perché quotidianamente con lei collaboriamo. In molti territori, da tempo, condividiamo con essa le scelte organizzative di fondo, i momenti di formazione sulle novità normative e sulle innovazioni tecnologiche, le modalità di svolgimento del nostro lavoro (penso ad esempio ai protocolli d’udienza.

E d’altronde è ineludibile la collaborazione con enti territoriali e privato sociale. Lo constatiamo ogni giorno sul versante del processo penale, se pensiamo a come la riforma Cartabia abbia promosso istituti che richiedono una sinergia tra magistratura e enti che si preoccupano di accogliere persone che sono alla messa alla prova e, quindi,  per implementare istituti importantissimi per il reinserimento di persone che hanno sbagliato.

Così come nel civile è importantissima la collaborazione con gli enti territoriali, ad esempio, sul versante dei cosiddetti sportelli di prossimità, che poi sono un modo per agevolare l’accesso alla giustizia dei soggetti più deboli.

Ma per costruire solide collaborazioni e per incidere, è importante il modo in cui siamo percepiti anche come categoria professionale. Non godiamo più, da qualche tempo, di quella fiducia acritica di qualche anno fa.

Le cadute etiche e anche le violazioni penali di alcuni incidono, purtroppo, sul modo in cui tutti siamo percepiti. Penso che sia ineludibile ripartire dai comportamenti di ciascuno di noi nella nostra attività quotidiana, anche nei gesti più normali e ripetitivi, nei rapporti con testimoni, imputati, parti, avvocati. Coltivando sempre la capacità ascoltare, cercando sempre di rendere il più possibile trasparente il nostro operato.

Certo, in tutto questo dobbiamo tener conto di alcune novità degli ultimi anni. Ad esempio, se pensiamo alle riforme sul versante della giustizia civile e alla forte implementazione del processo scritto, mi chiedo se pregiudizi e opinioni negative su noi magistrati si alimentino anche della progressiva erosione del rapporto diretto tra magistrato e fruitore del servizio, tra magistrato e avvocato in udienza.

Ma la questione della nostra credibilità è strettamente connessa all’incidenza del contenuto che possiamo offrire al dibattito pubblico e al dibattito parlamentare già iniziato sulle riforme costituzionali. Non facciamoci fuorviare dalle etichette. I cinque disegni di legge presentati con il titolo “Separazione delle carriere” di cui diciamo il primo progetto è quello delle Camere penali del 2017, su cui c’è stata una raccolta importante di 70.000 firme, in realtà parla di molto altro. Basti pensare ai due CSM dominati dalla componente laica e, quindi, con forti insidie per la magistratura su ogni scelta che riguarda la vita professionale del magistrato. O al nuovo assetto del Consiglio superiore della magistratura, a cui in questi disegni di legge si attribuisce un ruolo di alta amministrazione e non più un ruolo di organo di rilevanza costituzionale. Senza contare che quei progetti di riforma superano persino il principio del reclutamento per concorso dei magistrati, perché per ogni grado di giudizio si prevede la nomina da parte del Parlamento di una quota di magistrati della giudicante, da reclutare nella avvocatura e nel circuito accademico. D’altronde, le tradizionali argomentazioni addotte per la separazione delle carriere sembrano davvero inattuali, soprattutto dopo il rafforzamento della separazione delle funzioni, che si è avuto con la riforma Cartabia.

Pare avverarsi la profezia del professor Pizzorusso quando, immaginando la separazione delle carriere e parlando dell’atomizzazione del corpo dei pubblici ministeri, faceva riferimento proprio a questo organo di 2.000-2.500 unità, che dà ordini alla polizia giudiziaria, con ampie garanzie di status e con una grandissima forza nel panorama degli organi istituzionali del nostro Paese. Un organo, quindi, destinato come tale a passare sotto il controllo della politica. D’altronde, in questo momento ci sono esponenti della maggioranza, che esplicitamente parlano di pubblico ministero da sottoporre all’esecutivo.

Al momento non si comprende quale sarà il percorso delle proposte di revisione costituzionale presentate in Parlamento. Non è chiaro, ad esempio, il rapporto con la preannunciata riforma costituzionale sulla forma di governo. Se sono riforme che devono andare su canali diversi oppure devono andare avanti di pari passo.

E occorrerà chiarire, anche nella valutazione dei giuristi, in particolare dei costituzionalisti, se questa riforma possa definirsi come attività di mera manutenzione della Costituzione, tipica di una fase non costituente come quella attuale caratterizzata dalla presenza di una maggioranza di governo. Oppure, se si vada ad incidere su un principio supremo della nostra Carta costituzionale – la separazione tra poteri dello Stato – con evidenti rischi di incostituzionalità delle leggi costituzionali.

In questo panorama, mi chiedo come possa la magistratura tutta affrontare una fase che si preannuncia così insidiosa, senza poter contare su forme di impegno collettivo, unitario, di critica e di controproposta. È una domanda che dobbiamo rivolgere a quanti, seguendo il costume del momento all’interno della nostra categoria, rivendicano la distanza da ogni istanza associativa o la superiorità di un sindacalismo attento solo al profilo retributivo.

Su questo il Congresso si sta interrogando e sono convinto che ci saranno delle risposte molto importanti, spero convincenti.

Trascrizione a cura della redazione,
rivista dal relatore

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Saluti

Relazione introduttiva

Tavola rotonda:
I diritti sotto attacco

Dibattito congressuale